L'uomo misura del cosmo (sez.5)

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Il tema delle proporzioni, fondamentale tanto per gli architetti quanto per pittori e scultori, trovava in Vitruvio, con il suo homo ad quadratum et ad circulum un paradigma di straordinaria efficacia, col quale si misurarono gli artisti più diversi, da Ghiberti ad Alberti, a Filarete, a Francesco di Giorgio Martini, a Luca Pacioli, a Leonardo, e, fuori d’Italia, il tedesco Albrecht Dürer, il quale scriveva “vorrei raccontare come dovrebbe essere un uomo ben strutturato, e poi una donna, un bambino e un cavallo. Così potrai all’occasione misurare tutte le cose. Perciò ascolta innanzitutto cosa dice Vitruvio delle forme umane”. Alla teoria delle proporzioni egli dedicò i Vier Bücher von menschlicher Proportion usciti postumi nel 1528, e poi a più riprese riediti e tradotti, a testimonianza di un successo straordinario. In essi l’artista, partito da Vitruvio, finisce con l’elaborare una complessa tecnica antropometrica volta a determinare le proporzioni non di un tipo ideale, classicamente inteso, com’era nella mentalità italiana, che non lo soddisfaceva, ma di differenti tipi, come è dato sperimentare nella molteplicità sempre sfuggente della natura.

Per pittori, scultori, architetti e scenografi del Cinquecento, la prospettiva continuava infatti a essere scienza imprescindibile, della quale si esploravano le possibilità più sofisticate, fino a giungere nel secolo successivo alle straordinarie macchine teatrali dei Bibbiena, o alle altrettanto e più straordinarie invenzioni sceniche del pesarese Nicola Sabbattini, formatosi sugli studi prospettici del matematico Guidubaldo dal Monte, e autore della Pratica di fabbricar scene e macchine ne’ teatri (1638).  Le illustrazioni esposte raffigurano l’illuminazione della scena teatrale, rispettivamente dal fondo e, soluzione raccomandata, di lato.

Nello stesso anno in cui uscivano i Quattro Libri, Palladio, insieme a Vignola, Vasari e Bertani, fu consultato dall’architetto milanese Martino Bassi intorno a un contrasto su un problema prospettico attinente al rilievo marmoreo dell’Annunciazione all’interno del duomo di Milano, che lo opponeva al capomastro della fabbrica, Pellegrino Tibaldi. Le risposte degli architetti interpellati confluite nei Dispareri in materia d'architettura et perspettiva con pareri di eccellenti e famosi architetti che li risolvono, pubblicato dallo stesso Bassi a Brescia nel 1572, offrono un interessante esempio “dal vivo” dei dibattiti artistici e scientifici connessi alla teoria e alla pratica architettonica, e in particolare prospettica.

Anche Daniele Barbaro s’era occupato di problemi prospettici, pubblicando nel 1568 La pratica della perspettiva. Opera molto utile a pittori, a scultori, e ad architetti: al pari del suo commento a Vitruvio, anche quest’opera riscosse un favore straordinario. Tra le altre cose vi si divulga il modello di una camera oscura con lente biconvessa; le due immagini della scena tragica e comica sono tratte dal Secondo libro di SerlioVignola a sua volta aveva preparato un lavoro analogo, Le due regole della prospettiva pratica, che tuttavia fu pubblicato solo nel 1583, postumo, per iniziativa di Ignazio Danti. Già nel titolo quest’opera di Vignola, al pari della precedente sugli ordini architettonici, si presenta come un agile strumento pratico, senza tutta la sofisticata attrezzatura teorica di gran parte degli altri trattati prospettici dell’epoca. per la Galleria è stata scelta l'illustrazione con la costruzione prospettica di un portico coperto con volte a crociera.

A fronte delle trattazioni enciclopediche e teoriche, già nel Cinquecento si erano affermati manuali specialistici, rispondenti a esigenze ben circoscritte. Al tema della misurazione, analizzato anche da Vitruvio nel libro VIII, e inserito di solito all’interno di più complessive summe matematiche, come quella di Luca Pacioli (1494), furono dedicati alcuni libri specifici, come, per ricordare solo i maggiori, quello di Niccolò Tartaglia (General trattato di numeri e misure, Venezia  1560) e quelli pressoché contemporanei del fiorentino Cosimo Bartoli e del vicentino Silvio Belli, autori rispettivamente Del modo di misurar le distantie (1564), del Libro del misurar con la vista (1565). Bartoli, uomo di studi e attività amplissimi, storico, letterato, accademico, diplomatico, è personaggio rappresentativo della cultura fiorentina di pieno Cinquecento. Partendo da Alberti, del quale aveva curato la pubblicazione dei Ludi Matematici e la traduzione italiana del De re aedificatoria, egli ne sviluppa le idee conferendo al tema una veste autonoma. L’immagine scelta dimostra il modo di misurare le reciproche distanze di oggetti posti in alto con l’uso dell’astrolabio, il più diffuso strumento di misurazione nel Medioevo e nel Rinascimento.

Silvio Belli, “matematico eccellentissimo” come lo definì l’amico Torquato Tasso, era membro dell’Accademia Olimpica vicentina, dove leggeva il De Sphera del Sacrobosco. Le sue competenze di ingegnere, più specialistiche di quelle di Bartoli, gli consentono di mettere a punto sistemi agrimensori, come la “misura col tamburo”, ormai svincolati dalla tradizione trattatistica classica.

Gli interessi per le novità teoriche e artistiche provenienti dall’Italia ebbero una precoce eco nella Francia di Jean Pélerin (latinamente noto come Pelerinus Viator), al quale, anzi, spetta in assoluto la prima edizione a stampa di un testo sulla prospettiva, il De artificialis perspectiva, uscito a Toul nel 1505. Nel 1564 usciva a Venezia anche la Descrittione et uso dell’holometro, traduzione italiana dell’originale francese, Usaige et description de l'holometre, pubblicato a Parigi nel 1555 dall’ingegnere Abel Foullon. Un’opera che merita di essere ricordata perché l’holometro, “necessario a quelli, che vogliono prontamente, et senza far alcuna ragione arithmetica sapere le distantie de' luoghi; misurar la terra; et tor in disegno paesi, et città”, come recita il titolo, era stato studiato anche da Daniele Barbaro che l’aveva incluso, insieme ad altri strumenti come l'astrolabio, il planisfero di Juan de Rojas, il bacolo, il torqueto, nel trattato De Horologiis describendis libellus, rimasto poi inedito.

Il progresso delle tecniche e della strumentazione legata al mestiere dell’architetto e dell’agrimensore è ulteriormente documentato in mostra dal libro L’uso della squadra mobile che il padovano Ottavio Fabri pubblicava nel 1598 divulgando lo strumento da lui ideato, al tempo stesso quadrante, quadrato geometrico e bussola, e destinato ai più vari tipi di misurazione (altezze, profondità, rilievo urbano e territoriale). Nelle immagini scelte  Al tema obbligato degli ordini architettonici è destinato infine l’archisesto, messo a punto dal vicentino Ottavio Revese Bruto che ne trattò nel suo Archisesto per formar con facilita li cinque ordini d'architettura, pubblicato nel 1627, che aveva messo a punto uno specifico strumento per disegnare con facilità gli ordini architettonici.

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