Roma fuori dell'Urbe (sez.3)

print this page

Insieme e in parallelo al fiorire degli studi su Roma, anche in altre città iniziò a manifestarsi un più generale interesse per l’archeologia e per le memorie antiche municipali. Verona ebbe in questa rinascita un posto di assoluto rilievo, in forza del suo ricco patrimonio di vestigia romane. Il confronto con l’Urbe divenne un luogo comune: anche Flavio Biondo nella sua Italia Illustrata scriveva che Verona possedeva “un teatro così magnifico e bello che, toltone il Coliseo di Roma non si trova facilmente un altro edificio simile”; senza contare che l’arco dei Gavi, ospitando l’iscrizione L.VITRVVIVS L. L. CERDO ARCHITECTVS, era ritenuto opera del celeberrimo autore del De Architectura. 

Se già nel Trecento si registrano significative ricerche epigrafiche, è soprattutto a partire dal tempo delle appassionate perlustrazioni di Feliciano, Marcanova e Mantegna tra le rovine della villa di Catullo a Sirmione e delle descrizioni di tono encomiastico di Francesco Corna da Soncino e di Giovanni Antonio Panteo, che la città diventa una delle privilegiate palestre per eruditi e architetti, prima di tutto veronesi e veneti.

Veronese è Fra Giocondo, che nel 1511 darà alle stampe il suo Vitruvius, corredato di illustrazioni. Veronesi sono Falconetto, pittore e architetto di profonda cultura classica, disegnatore indefesso di antichità a Pola, Verona, Roma, e Sanmicheli e altri. Ma le antichità di Verona saranno fondamentali anche per la maturazione dello stile di Palladio, che rileverà in bellissimi disegni i principali monumenti della città; e anche Peruzzi, Antonio da Sangallo e Serlio ci hanno lasciato vari fogli riproducenti antichità veronesi, alcuni poi pubblicati a stampa, come nel caso di Serlio che li inserisce nel suo Terzo Libro nel 1540. 

Consapevole esito di una piena coscienza nutrita di orgoglio patrio, è il De origine et amplitudine civitatis Veronae, pubblicato anch’esso nel 1540 dallo storico e giurisperito Torello Saraina in forma di dialogo: uno dei quattro interlocutori è il pittore locale Giovanni Caroto, autore delle stupende immagini che accompagnano l’opera e nelle quali i monumenti cittadini sono raffigurati ora nella loro condizione reale, ora, e per lo più, restituiti con variabile aderenza e tuttavia sempre a partire da dati archeologici e letterari, alla loro presunta originaria forma. Il fine non è solo erudito: deplorando l’incuria del passato, e constatando le antichità “di giorno in giorno stare in non poco pericolo”, Saraina intende promuovere la conservazione e il restauro delle memorie cittadine. lLe incisioni di Caroto saranno riutilizzate dal pittore stesso nel suo De le antiquità de Verona (1560), ma anche da altri in seguito.

Padova con la sua Università (e sulle lagune la respublica Venetiarum) non saranno da meno nel farsi interpreti di questa riappropriazione anche attraverso il collezionismo, lo studio delle epigrafi, la riscoperta delle tradizioni leggendarie di Antenore e della tomba di Livio, il lavoro di calligrafi e miniatori: una riscoperta piena dell'entusiasmo dei neofiti su cui si innestò proficuamente l'eredità di Petrarca e che trasse sostegno nella stabilità offerta dal dominio Carrarese.

_

Galleria  Precedente   Successiva  CElenco