Venetia felix (sez.3)

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Il veronese Onofrio Panvinio, erudito e storico agostiniano, nell’edizione postuma dei suoi Antiquitatum Veronensium libri octo  (1647), segue fedelmente Caroto, autore delle illustrazioni nel De origine et amplitudine civitatis Veronae (1540) di Torello Saraina:  l'incisione scelta presenta l'arco dei Gavi uno dei più bei monumenti romani della città scaligera, abbattuto dai Francesi nel 1805 e ricostruito nel 1932, che suscitò in epoca rinascimentale un vivo interesse. Antonio da Sangallo e il Peruzzi ce ne hanno lasciato testimonianze grafiche; Sebastiano Serlio lo studiò con grande attenzione demolendo, sulla base di rilievi stilistici, l’opinione che lo voleva opera di Vitruvio sulla base di un iscrizione posta sul lato sinistro; Andrea Palladio, che lo menziona nei Quattro libri, ne lasciò alcuni disegni.

La splendida immagine del teatro romano di Verona disegnata da Caroto per l’opera di Saraina sarà ripresa anche dal geografo tedesco Sebastian Münster che la inserirà nella sua Cosmographia universalis, ponderoso e fortunatissimo trattato di geografia riccamente illustrato con vedute urbane per lo più del tutto generiche, tranne alcuni casi come questo veronese.

Padova fin dall’epoca comunale e carrarese era stata culla di un precoce umanesimo, con connotazioni anche in questo caso di esaltazione politica e patria glorificazione, basti pensare ad Albertino Mussato e alla sua tragedia “all’antica” Ecerinis, o all’allestimento della tomba del mitico fondatore della città, Antenore, alle medaglie di Francesco II, e poi ad altri episodi e personaggi fino a Mantegna e oltre. A dispetto di una così avvertita coscienza del valore dell’antichità, la città non poteva tuttavia contare su sopravvivenze monumentali romane significative.

Manca però a Padova un’opera come quella di Saraina. Bisognerà attendere il Seicento per vedere illustrato, all’interno de Le origini di Padova (1625) dell’erudito locale Lorenzo Pignoria, l’anfiteatro cittadino. Ridotta a pochi resti, all’Arena sono dedicate alcune immagini piuttosto grossolane, che non pretendono di fornire un esauriente resoconto archeologico dell’edificio. Pignoria, sulla scorta dei resti, incorporati nel palazzo romanico dei Dalesmanini, poi Scrovegni, demolito all’inizio dell’Ottocento e delle indicazioni fornite nel De amphitheatro del Lipsius, che non cita tuttavia quello padovano, ricostruisce la pianta ellittica dell’anfiteatro e ne presenta quattro prospettive; qui è visibile la porta meridionale di accesso nel cui scorcio sembrano combattere due gladiatori; non fu però lo “zelo de’ nostri christiani antichi” a causare “la rouina & distruttione di queste machine gigantee [...] sedie di crudeltà & d’abominatione” dove fu versato il sangue dei martiri, ma sicuramente l’opera devastatrice dei barbari; e poi quelle che “per suo credere” erano le volte delle grotte nelle quali erano custodite le fiere per i combattimenti.

Un discorso analogo vale per Vicenza. E’ tuttavia indicativo che delle quattro xilografie, piuttosto approssimative, a corredo de La historia di Vicenza di Giacomo Marzari nell’edizione del 1601 (la prima, del 1591, è priva di immagini), ben tre siano riservate ai pochi resti del teatro Berga, dell’acquedotto di Lobia e del “pozzo antico fatto dalla natura”, a testimonianza del significato speciale attribuito alle vestigia dell’antichità, per quanto scarse; il primo era stato oggetto di vivo interesse in loco e lo stesso Palladio e Silvio Belli l’avevano rilevato. 

Ben più ricche di memorie romane, Pola e Nîmes richiamarono anch’esse l’attenzione  di eruditi e architetti. Falconetto, come scrive Vasari, “andò a Pola d’Istria, solamente per vedere il teatro, anfiteatro ed arco che è in quella città antichissima”, e Serlio e Palladio ne pubblicarono nei loro trattati i monumenti. Una ricognizione delle antichità di Pola è nella Portus et urbis Polae antiquitatum […] descriptio (1633) dell’architetto militare francese Antoine de Ville, progettista della cittadella che sovrasta l’abitato. Lo scritto, esposto in mostra nella raccolta Thesaurum Antiquitatum Italiae del Graevius, è illustrato con immagini dell’arena e del tempio di Augusto.

I monumenti di Nîmes furono studiati e pubblicati da Jean Poldo d’Albenas, nel Discours historial de l’antique et illustre cité de Nismes (1559 e 1560). I suoi punti di riferimento sono Vitruvio, Alberti e Philandrier, ma è sulla scorta di misurazioni e studi archeologici che egli ricostruisce la pianta della città antica e ne esamina i famosi edifici: la Maison carrée, il tempio detto “de la Fontaine”, la Tour Magne, il pont du Gard e l’anfiteatro. Bellissimo l’apparato iconografico, primo esempio di rilevazione architettonica in Francia, cui s’ispirò anche Palladio per le tavole dei due templi oltralpini inserite nell’ultimo dei suoi Quattro Libri dell’architettura.

Di grande interesse, anche per le belle illustrazioni, è il De amphitheatro (1584) dell’umanista fiammingo Joost Lips, studio monografico attento più ai riti che all’architettura, come confessa l’autore, ma che fornisce un ricco elenco delle arene a Roma e altrove, esaminandone partitamente alcune (oltre al Colosseo, gli anfiteatri di Verona, Pola, Nîmes). All’arena di Verona è dedicata la tavola più bella, il cui prototipo va individuato in una stampa di Enea Vico, utilizzata anche da Antonio Lafreri nel suo Speculum romanae magnificentiae del 1575, al quale il De amphitheatris sembra attingere. In mostra è esposta una tavola raffigurante l’interno di un anfiteatro, un’immagine ideale del Colosseo, con giochi gladiatòri nell’arena.

Apre questa sezione la "Raccolta o album di disegni d'architettura e ornato" (Ms. 764), priva del nome dell'autore e forse assegnabile all'ambito dell'Ammannati: un raro esempio di taccuino, testimone di una tradizione che trova i suoi antecedenti nelle raccolte di modelli medievali, in uso al singolo artista o in dotazione alla bottega e che avvicinandosi al Rinascimento si fa sempre più raccolta di impressioni ricavate dalle visite ai resti antichi delle grandi città d'arte -soprattutto Roma-  allo stesso tempo documento storico, diario e quaderno di lavoro per le reinterpretazioni soggettive e gli esercizi di stile, fino poi a trasformarsi nel quaderno di schizzi dell'età moderna; tra i numerosi disegni di antichità, notevole quello relativo al tempio di Minerva -già nel lato di fondo del foro romano di Nerva- demolito nel 1604.     

 

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