Le opere
print this pagerte non mimetica, fondata sui principi della matematica e della geometria, l’architettura godette assai per tempo di uno statuto che ne marcava la distanza dalle arti sorelle, pittura e scultura, fondate anch’esse sul disegno, ma condannate da Platone nel decimo libro della Repubblica, a causa del loro carattere imitativo: arti del sensibile, e non dell’intelligibile.
Non sorprende perciò che l’architettura sia stata la prima tra le arti a emanciparsi dalla condizione meccanica. Del resto, geometria e matematica, con musica e astronomia, erano da sempre annoverate tra le arti liberali del Quadrivio. Lo riconosceva anche Federico da Montefeltro che, confermando con patente del 1468 Luciano Laurana “Ingegnero e Capo di tutti li maestri” del palazzo di Urbino, così si esprimeva: “è la virtù dell’architettura fundata in l’arte dell’arismetrica e geometria, che sono delle sette arti liberali e delle principali, perché sono in primo gradu certitudinis e è arte di gran scienza e di grande ingegno da noi molto stimata e apprezzata”.
Era stato Leon Battista Alberti, dotto umanista prima che architetto, a sancire la nuova concezione della disciplina e il nuovo status dell’artefice. L’architettura è sempre meno questione di mera pratica, di empiria, e sempre più questione razionale, che chiama in causa la riflessione teorica. Alla tradizionale formazione di cantiere del mondo gotico, basata sulla diretta trasmissione di nozioni tecniche e stilistiche da maestri ad allievi, o al più col sussidio di raccolte di schizzi come quelli del Livre de portraiture di Villard de Honnecourt (XIII secolo), si venne affiancando e sostituendo lo studio dei monumenti dell’antichità e degli scritti d’architettura antichi e moderni.
Gli architetti rinascimentali impararono presto a misurarsi con i libri. All’inizio fu Vitruvio: il suo De architectura libri decem, composto tra il 27 e il 23 a. C, e riscoperto da Poggio Bracciolini nel 1416, fu subito considerato la bibbia degli architetti moderni, che sanciva tra l’altro il loro ruolo di intellettuali “literarum et artium nutriti”, per usare le parole dello stesso Vitruvio. Il confronto con questa fonte riverita e impervia, pubblicata più volte in latino, italiano e altre lingue lungo il Quattro e Cinquecento, fu imprescindibile, a cominciare proprio da Alberti, che su Vitruvio modellò liberamente il proprio De re aedificatoria, alla metà del Quattrocento.
Dal momento che il lavoro dell’architetto (il progetto) è fondamentalmente un’attività intellettuale, basata sul calcolo e la regola –e dunque codificabile e trasmissibile per via teorica– il passaggio alla scrittura e al libro era esito inevitabile. Non meraviglia allora che, forti anche del modello vitruviano, tanti architetti rinascimentali si siano cimentati nella trattatistica. Tanto più che la scoperta della stampa aveva enormemente allargato il pubblico dei lettori, costituito non solo dagli architetti strettamente intesi, ma, per usare le parole di Palladio, da “tutti i belli ingegni che sono desiderosi di edificar bene”.
Se già al tempo di Giotto un pittore poteva vedersi affidato un importante cantiere architettonico, dal Quattrocento in poi il numero di coloro che abbracciavano la professione senza passare per il tradizionale apprendistato crebbe considerevolmente. Bramante, Falconetto, Raffaello, Peruzzi e Vasari, per fare solo qualche esempio, approdarono all’architettura passando dalla pittura. Lo stesso Brunelleschi non si era formato, ragazzo, in cantiere, e all’inizio della sua carriera non fu nemmeno architetto. Il discorso vale anche per Ghiberti, affiancato a Brunelleschi per la cupola di Santa Maria del Fiore, o per Sansovino, l’uno e l’altro scultori, o per Michelangelo e Bernini, all’inizio della loro attività pittori e scultori, ma gli esempi potrebbero continuare.
Accedere alla progettazione architettonica passando dalla pittura e dalla scultura (che voleva dire, almeno a Firenze, disegno, e dunque idea) era anzi considerato cosa conveniente, mentre lo era molto meno accedervi venendo dalla pratica della carpenteria e della manovalanza edile. Per non dire di Alberti, modello per quei dilettanti di architettura, per lo più di origine aristocratica, che avevano una tradizione anche precedente in Italia, e che nel Cinquecento rispondono al nome di personaggi, soprattutto veneti, come il padovano Alvise Cornaro, il vicentino Giangiorgio Trissino e i veneziani Marcantonio e Daniele Barbaro. Ma vasto fu il novero di coloro che si accostarono alle tematiche della disciplina dibattendo anche soltanto sul piano intellettuale e teorico all’interno di accademie o circoli eruditi.
Diamo così inizio a questo viaggio attraverso i libri di e sull'architettura nel Rinascimento, articolato in cinque tappe: