Coppi e Fossati
di Sergio Meda
Nell'esplorazione del mito Coppi si sono cimentati, con alterne fortune, scrittori e giornalisti, la gran parte rifacendosi al già noto. I più accorti ne hanno scritto avendolo direttamente frequentato, altri grazie alle testimonianze dei familiari o di chi lo aveva accompagnato in un percorso sportivo e umano sempre complicato: la guerra gli negò cinque anni di carriera quando già aveva vinto un Giro d'Italia, alcune rovinose cadute dopo i trent'anni lo costrinsero a bruschi stop e lunghe degenze. E ancora, a partire dal 1953 Coppi dovette fare i conti con l'Italia di allora, un mondo bigotto che mai gli perdonò la relazione con la Dama Bianca, il figlio avuto fuori dal matrimonio e quel vincolo infranto.
Di quelle vicende è stato testimone e amico – senza mai indulgenze – Mario Fossati, un grande del giornalismo che da giovane cronista alla Gazzetta seguì il Coppi impegnato sulle piste di mezza Europa e dai primi anni Cinquanta nella sua attività su strada. Di quella frequentazione sono rimasti molti articoli magistrali e un solo volume, sul Giro di Francia del 1952, quando un editore amico vinse la ritrosia di Fossati che non si reputava scrittore, diceva di non averne il passo. Vero il contrario: la sua prosa andrebbe studiata nelle scuole di giornalismo: impeccabile la costruzione sintattica, aggettivi con il contagocce, pennellate di arguzie distribuite a tempo e modo.
Quel volume non ebbe repliche, ci godemmo solo gli articoli che, dopo la “Rosea” e Il Giorno, Mario scriveva su Repubblica, alla quale approdò prossimo alla pensione, sollecitato a scrivere di Coppi in alcune ricorrenze della morte. Memorabili anche i pezzi che Fossati ha scritto su Fausto per l'Enciclopedia Illustrata del Ciclismo. E' nato così il volume “Il mio Coppi”, un tributo a Mario Fossati, un fratello maggiore e un maestro, anche di vita.