Coppi il fratello
di Gianni Rossi
ATTENZIONE! L’ultimo kilometro fu fatale a Serse.
UNA FAMIGLIA COPPI A CASTELLANIA
Già al Giro del Piemonte, ma soprattutto durante la corsa rosa del 1940, perlomeno fino alla fuga solitaria sull’Abetone quel cognome, Coppi, stanava la curiosità del tifo che si interrogava scandendo, pur con sole cinque lettere, tutta una gamma di svariate presunte identità. “Ma chi è questo Cappi, Ceppi, Copi, Coppi…”. Fino a quando finalmente i titoli, sempre più accentuati, della Gazzetta blindavano l’esatta anagrafe Di quel novello Davide che stava per impallinare addirittura il suo Capitano
I Coppi originari di Quarna, paesotto adagiato sulla riva del lago D’Orta, erano molto apprezzati per la vocazione al mestiere di calzolai, “savaten” come pronunciavano allora i Quarnesi che, con frequenza stagionale, emigravano nei paesi piemontesi, a Castellania in particolare che allora contava una popolazione di circa settecento abitanti. Del capostipite Nicolao si trovano tracce della presenza nel territorio tortonese a partire dalla fine del ‘1700. Posta fine alla lunga stagionalità quattro famiglie, prime, si accasarono in un unico vetusto fabbricato da cui nel tempo sloggiarono verso separate collocazioni abitative, lasciando posto alla locanda del paese. La progenie ben presto, causa frequenti naturali apparentamenti. crebbe suggellando l’inizio della storia infinita dei Coppi di Castellania.
Domenico il babbo, che impalmò Angiolina Boveri il 29 luglio 1914 proprio all’inizio della Grande Guerra ebbe la gioia di vedere il suo “Faustei” giovanissimo vincitore del Giro del 1940. Consumato dalle ferite e dalla vita di trincea se ne andò nei primi mesi del 1942 senza poter applaudire il record dell’ora strappato al Vigorelli il 7 novembre 1942 al francese Archambaud. La figliolanza della famiglia era composta dalla minoranza femminile. Dina, anche lei morta prematuramente per “Ar brùt ma” e Maria, venuta al mondo tre mesi dopo il matrimonio (promuovendo un antico gossip paesano). Le ragazze sollevavano Angiolina dalle incombenze della casa e soprattutto da quelle del cortile frequentato da qualsiasi razza di pennuto domestico, i cui trilli erano, però, sovrastati dagli abbai dello “Spinone” e dai grugniti imperiosi dell’immancabile maiale, la cui costante crescita corporea annunciava un imminente martirio
Il rapporto tra i tre fratelli maschi era speciale. Livio il saggio governava e faceva rispettare la cronologia di nascita. Era prodigo di consigli e nonostante l’apparenza mite seguiva i fratelli in ogni loro corsa, dove scatenava il proprio incitamento sfrenato dai cigli delle strade.
Fausto posato con quel sorriso malinconico nutriva grande rispetto per Livio col quale frequentemente si alleava per tentare di limitare l’esuberanza, non solo ciclistica, dell’ultimo genito. Serse che vedeva in Fausto l’idolo sportivo da imitare, non perdeva occasione per sfoggiare nome e successi come opportuno passepartout per sfuggire alle conseguenze delle soventi bravate ed alla sistematica, spesso clandestina, presenza alle balere dei paesi circostanti dove il successo verso le ragazze era incontrastato. Renzo Zanazzi, talvolta suo compagno di merende, testimoniava le conquiste di Serse tra le quali eccelleva quella consumata con l’attrice Isa Barzizza. Eppure Serse era così per dire, di primo acchito, piuttosto “bruttotto” con quel viso attraversato da un sorriso sgangherato che raggiunse l’apice del suo scompiglio al traguardo di Roubaix nel 1949 dove, con quell’abbraccio incredulo a Fausto, suggellava la sua più grande performance ciclistica.
Questa storia di gente di Castellania evoca una variazione all’epico annuncio di Mario Ferretti che oggi potrebbe suonare così: “Una famiglia sola al comando…”