Coppi il piemontese
di Gian Luca Favetto
Fausto Coppi è insieme un uomo, un campione, un silenzio a pedali e il riassunto preciso della sua terra in due gambe, due braccia, due occhi, una schiena, una faccia e un naso. È nato a Castellania il 15 settembre 1919, è morto di malaria a Tortona il 2 gennaio 1960. In mezzo, due donne, due figli, 666 corse ciclistiche, più di 200 vittorie, 119.078 chilometri e 300 metri percorsi sommando tutte le gare cui ha partecipato, vale a dire tre volte il giro completo della Terra
Castellania, una ventina di chilometri da Novi Ligure, una ventina di chilometri da Tortona, è la sua Terra. Un mare di colline in quella parte di Piemonte che scende verso Genova. Una terra con una pedalata secca, severa, ardita, alla ricerca della fatica più che del piacere; una pedalata potente che dà l’idea della leggerezza, elegante ma quasi sempre a disagio con la felicità.
Fausto è un atleta che tiene insieme grazia e asprezza in nome della sofferenza, proprio come la parte più impervia delle colline tortonesi, la parte più esposta al vento, creste ripide, un’agricoltura di montagna che richiede quella tenacia che, a volte, a occhi foresti può apparire insensata. Come insensate sono state le sue pene e i suoi dolori, persino le imprese vittoriose, Giri, Tour, Campionati del Mondo, Milano-Sanremo, record dell’ora, quasi sempre solitarie, giocate contro se stesso prima ancora che contro gli avversari.
Quello che rimane di Fausto, al di là della gloria, è che era Faustino. Il bambino che è sempre stato ha corso dentro di lui, insieme a lui, negli anni della Bianchi, dei Giri, dei Tour. Era solo un bambino e voleva la bicicletta: non il lavoro dei campi, come chiedeva il padre; non lo studio, come sperava la madre; solo una biciletta. Per andare. È andato. E ancora va.