Coppi l'africano
di Marco Pastonesi
La prima volta da prigioniero di guerra degli inglesi: in Algeria, tra il 1944 e il 1945. La seconda volta da campione del ciclismo di sempre: in Alto Volta, dicembre 1959. In tutte e due le occasioni contrasse la malaria: la prima volta riuscì a sconfiggerla, la seconda volta ne uscì sconfitto. Coppi l’africano: un’attrazione fatale, una vita finita, una storia infinita. Quel continente gli regalava una continua curiosità e gli sembrava una gigantesca opportunità. Lui, dominatore di altitudini, sfidante della latitudine. Lui, campione anche di serietà, colpito dalla allegria dei locali. Lui, fuoriclasse anche dei silenzi, travolto dalla agitazione vocale dei bambini e gestuale degli adulti. Lui, sposato ormai con la Dama Bianca, confuso e imbarazzato fra tante bellezze nere. Coppi aveva pensato, probabilmente già progettato, di commerciare le sue biciclette in Paesi dove si girava soltanto a piedi: un mercato enorme, una piccola pedalata per l’uomo ma anche una grande pedalata per l’umanità. La seconda volta partecipò a due kermesse (nella prima fu superato da Jacques Anquetil uno dei suoi eredi minori, nella seconda si fece superare da un corridore locale, Moussa, il suo ultimo regalo) e ad alcune battute di caccia, l’altra sua passione. Pare che non avesse sparato neppure un colpo, sopraffatto da ammirazione e commozione per animali scoperti sui sussidiari e poi raccontati, sognati, anche paragonati (Magni, il Leone delle Fiandre). Coppi l’africano: e l’Africa la sua ultima cittadinanza onoraria.