Il teatro del primo Novecento
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Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo si afferma il teatro contemporaneo, intriso del bisogno di rinnovamento che permea l'Europa intera; il teatro della parola si trasforma in teatro dell'azione fisica, del gesto, dell'emozione interpretativa.
Le avanguardie storiche, nello specifico il Futurismo, il Dadaismo e il Surrealismo, contribuiscono alla nascita di nuove forme, come il teatro della crudeltà di Antonin Artaud, la drammaturgia epica di Bertold Brecht e il teatro dell'assurdo di Samuel Beckett ed Eugène Ionesco.
Nel definire queste nuove forme dello spettacolo appare inevitabile il rimando all'organizzazione della struttura sociale, in cui strati sempre più ampi di popolazione intervengono attivamente nel sistema della produzione, della politica e delle comunicazioni. Il rapporto con il pubblico è un problema che il teatro affronta e risolve introducendo innovazioni tecniche, spazi scenici moderni e testi innovativi.
Nel caso specifico del teatro italiano si assiste a lievi mutamenti e, soprattutto, non decolla, in contrapposizione all'andamento europeo, il ruolo del regista, termine coniato, insieme a regia, solo nel 1932 dal linguista Bruno Migliorini, sulla rivista «Scenario». Leader indiscussi dei primi anni del Novecento restano il primo attore e il modello della compagnia capocomicale di giro all'antica italiana, concentrato sull'affermazione delle competenze recitative soggettive. Ermete Zacconi, ad esempio, è un esponente della tradizione all'antica italiana, capace di una varietà di registri con cui riesce a dominare la scena, sprigionando enfasi e potenza retorica, soprattutto laddove va a presentare il degrado del genere umano, mentre esperienze quale quella di Anton Giulio Bragaglia stentano a rendere una concezione più organica dell'atto registico e gli stessi drammaturghi esercitano un'azione frenante, fraintendendo la nuova possibilità del teatro di regia. Anche l'assenza di compagnie e di strutture teatrali stabili rallentano l'affermarsi della regia nel nostro Paese, dove lo spettacolo continua a essere concepito in modo tradizionale; non a caso attori italiani, elogiati all'estero per meticolosità artistica, appaiono in Patria poco colti e poveri di conoscenze tecniche, dunque responsabili della decadenza teatrale. Il monito della critica è rivolto non ai figli d’arte, ma agli attori professionisti, colti e borghesi, con uno stile controllato e rigoroso, perché sappiano rendere un nuovo modo di fare teatro. Fra i maggiori attori italiani del periodo possono essere citati Virgilio Talli, Ruggero Ruggeri ed Eleonora Duse.
Una chiara rivolta alla poetica del documento si ha, invece, con Roberto Bracco e Gabriele D'Annunzio, impegnati drammaturgicamente e guidati da una concezione di teatro e di evento spettacolare di indubbia novità. Sulla scia del dannunzianesimo, nello specifico, si affermano autori come Sem Benelli (La cena delle beffe, L’amore dei tre re, Rosmunda, Le nozze dei centauri), Ercole Luigi Morselli (Orione, Glauco), Renato Simoni (La vedova, Tramonto, Congedo), o ancora Fausto Maria Martini, Cesare Vico Lodovici, Luigi Chiarelli, Luigi Antonelli, Enrico Cavacchioli.
Massimo drammaturgo italiano del Novecento, Luigi Pirandello è l'unico a imporsi sulle scenario teatrale mondiale, con un'impronta completamente rivoluzionaria. Meritevole la sua collaborazione con il commediografo Nino Martoglio, fondatore della compagnia del teatro Minimo e interessato a promuovere un repertorio siciliano e dialettale, per il quale compone Lumie di Sicilia, La morsa e Il dovere del medico. I principi pirandelliani, uniti alle sperimentazioni dell'avanguardia futurista, sono il perno intorno al quale si dipana la poetica drammaturgica di autori di spicco nel panorama teatrale degli anni Venti: Massimo Bontempelli, Pier Maria Rosso di San Secondo e Dario Niccodemi.
Passando in rassegna l'architettura teatrale, desta interesse il teatro Odescalchi in Roma, ristrutturato dall'architetto e scenografo Virgilio Marchi, e frutto di una commistione tra elementi tradizionali all'italiana e altri, innovativi, come la galleria in cemento armato e il palcoscenico trasformabile grazie all'uso mutevole delle scalinate. Il risultato è una sintesi adeguatamente bilanciata. Inaugurato nel 1925, è diretto nel periodo immediatamente successivo da Luigi Pirandello.
Anche il concetto di verità storica, che nel teatro europeo induce alla ricerca di costumi e oggetti autentici, in Italia non è facilmente applicabile: l'arredo del palcoscenico è, infatti, strettamente connesso all’abilità del trovarobe nel reperire materiali, e del direttore di scena nel rivolgersi a mobilieri. I costumi sono affare degli attori che li procurano autonomamente, attingendo al corredo personale. Negli anni Trenta gli elementi della spettacolarità continuano a non essere considerati mentre il regista, seppur lentamente inizi ad affermarsi, in realtà è riconducibile al ruolo di traduttore del testo drammaturgico in spettacolo, al servizio della poesia. Nuovi orizzonti sembrano comunque aprirsi con Tatiana Pavlova, Renato Simoni, Silvio D'Amico e Guido Salvini.
Il pubblico italiano si innamora presto di Tatiana Pavlova, attrice russa, accattivante, ammaliatrice e dall’accento vagamente esotico.
La cura particolare da lei riservata al lavoro dell’attore sulla scena ma anche alle luci, alle scenografie consone all’ambientazione del testo e ai costumi disegnati per l’occasione, conducono alla legittimazione di una personalità drammaturgica mediatrice fra il testo e gli interpreti.
La centralità dell'aspetto letterario continua a essere una prerogativa anche durante gli anni del fascismo, con rare eccezioni quali Enrico Fulchignoni (regista de La piccola città di Thornton Wilder, rappresentata dal Teatro delle Arti di Anton Giulio Bragaglia a Roma) e Orazio Costa, mentre Luchino Visconti si indirizza verso il teatro di regia, attraverso spettacoli intrisi di perfezione, dove cultura e sensibilità artistica sono resi attraverso una sublime commistione.
L'attività di Orazio Costa, Luchino Visconti ed Eduardo De Filippo, non a caso, pone le basi per un modello registico a spettacolo unico. Proprio Eduardo De Filippo fonda, insieme ai fratelli Titina (1898-1963) e Peppino (1903-1980), la compagnia Teatro umoristico i De Filippo.
Primo esempio di teatro stabile in Italia è il Piccolo teatro di Milano, fondato da Paolo Grassi e Giorgio Strehler nel 1947 e caratterizzato da una prassi registica eretta a sistema.
"Il Teatro è un diritto e un dovere per tutti. La città ha bisogno del Teatro. Il Teatro ha bisogno dei cittadini". Paolo Grassi
Nel ventennio fascista, il rapporto tra regime politico e mondo del teatro italiano appare contrassegnato da un'autonomia di evoluzione delle forme drammaturgiche e sceniche dalle direttive ideologiche del partito e dalla repressione messa in atto dalla censura: nonostante il cauto interesse di Benito Mussolini nei confronti del teatro, il governo fascista non giunge a farne uno strumento di aggregazione del consenso politico, né si mostra interessato a modificare i caratteri della scena teatrale prefascista che, fino al 1930, rimane immutata nelle scene e nel repertorio.
Nel 1930 si costituisce una Corporazione dello spettacolo finalizzata al riordino delle strutture teatrali ma destinata a esaurirsi sul piano formale, rinunciando a esercitare un reale controllo sull'attività degli artisti e sulla programmazione.
Nel 1933 Mussolini lancia un nuovo progetto di dramma, invitando i drammaturghi italiani a preparare il teatro di masse, capace di rappresentare le passioni collettive contro gli abusati contenuti borghesi. Un gruppo di giovani raccoglie l'appello: Sandro De Feo, Gherardo Gherardi, Nicola Lisi apprestano un teatro colossal, 18 BL, incentrato sulle peripezie del camion BL, utilizzato per la marcia su Roma, nel corso delle campagne di bonifica e durante la Prima guerra mondiale.
È un progetto, quello del teatro fascista, destinato al fallimento, abbandonato dopo il primo allestimento di 18 BL, nel 1934, con la regia di Alessandro Blasetti, conclusosi nella noia e nell'insuccesso.
All'inizio della Grande Guerra la Fiat costruisce il 18 BL, autocarro che avrà ampio successo per uso militare, posto in dotazione anche a numerosi eserciti stranieri, tra cui Francia e Germania.
La politica spettacolistica del regime si indirizza piuttosto verso il cinema e la radio: nel 1924 hanno inizio le attività dell'Istituto Luce, nel 1934 si inaugurano gli stabilimenti Tirrenia; nel 1928 nasce l'Ente italiano per le audizioni radiofoniche (Eiar) e nel 1934 l'Ente Radio rurale (Err). La produzione teatrale si orienta verso un teatro d'evasione, disimpegnato e gradevole, caratterizzato da commedie brillanti e sentimentali a lieto fine, etichettate come teatro delle rose scarlatte e dei telefoni bianchi. Sviluppatosi al di fuori di qualsiasi intenzione di sfuggire a censure fasciste, il filone si ricollega alla produzione ungherese, con autori del calibro di Ferenc Molnár che, giunto in traduzione in Italia, cattura il pubblico con intrecci convenzionali e malinconiche storie d'amore.
La commedia sentimentale italiana, testimoniando cambiamenti di costume della società tra le due guerre mondiali, raggiunge un buon livello artigianale nella costruzione del dialogo con Sergio Tofano, Vittorio De Sica e Giuditta Rissone, primi tre attori di una compagnia brillante, la Tofano-De Sica-Rissone, e, ancora, con Luigi Cimara e Evi Maltagliati.
L'autore più significativo della drammaturgia brillante in voga prima della Seconda guerra mondiale è Aldo De Benedetti, cui si deve la più celebre commedia degli anni Trenta, Due dozzine di rose scarlatte (1936), apprezzata in Italia quanto all'estero.
Riflessioni su temi di giustizia e verità conducono al teatro d'indagine morale, dove la lezione pirandelliana è resa con schemi processuali che rendono la disgregazione dei valori morali e lo smarrimento dell'uomo contemporaneo. È utile ricordare, in questo senso, l'impegno morale di Ugo Betti e di Diego Fabbri.
Nell'immagine di sinistra Evi Maltagliati e Luigi Cimara in La Nostra età di Giulio Cesare Viola (da «Scenario» di dicembre 1940, pagina 554); in basso la Compagnia Tofano-Rissone-De Sica in Intorno alla tavola di Fodor, Lakatos e Leuvard (da «Comoedia» di dicembre 1934, pagina7).
Ai margini della drammaturgia ufficiale si sviluppa il teatro comico in dialetto, destinato a entrare nel repertorio di intrattenimento dei café chantants e delle riviste, mescolato a numeri di ballo, recitazione e canto. I testi drammatici in dialetto, troppo lontani da una propria dignità artistica, si limitano piuttosto a battute che scivolano in una comicità grossolana. È doveroso citare, a tal proposito, Ettore Petrolini che già negli anni Venti inventa Gastone, Giggi er bullo e altri personaggi buffoneschi e Eduardo Scarpetta, con la sua più celebre commedia Miseria e nobiltà.
In ambito napoletano si afferma Raffaele Viviani, attore versatile e completo che passa da scene e atti unici a opere più elaborate, capaci tutte di incarnare personaggi del complesso mondo napoletano.
Raffaele Viviani, nel 1939, in «Miseria e nobiltà», commedia in tre atti, in napoletano, composta da Eduardo Scarpetta nel 1887.
Ciò che, infine, nei primi anni del '900 non manca al teatro italiano è il grande pubblico, affezionato al genere di varietà, ricco di scene, musiche, bellezza delle ballerine, battute di attori comici. Una perfetta rappresentazione del teatro di massa che il Fascismo non riesce a realizzare ma che veramente vorrebbe. Un teatro verso il quale non si oppone perché capace di allontanare la sensibilità pubblica dai gravi avvenimenti che segnano la storia d'Italia nella prima metà del Novecento.