Palladio, L'antichità dell'alma ... 1600

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PALLADIO, AndreaL’antichità dell’alma città di Roma … Raccolta breuemente da gli auori antichi, e moderni.In Roma : appresso Guglielmo Facciotto, 1600.


LAntichità di Roma fu pubblicata da Palladio nel 1554, in occasione del suo quarto e ultimo viaggio nell’Urbe, compiuto tra il febbraio e il giugno di quello stesso anno assieme a Daniele Barbaro e ad altri gentiluomini veneziani. Stando alla testimonianza di Girolamo Gualdo, Palladio aveva già soggiornato una prima volta a Roma nel 1541, con il suo protettore, il letterato Gian Giorgio Trissino, e poi lungamente tra il 1545 e il 1547, in compagnia ancora di Trissino e di altri due amici vicentini, il poeta Marco Thiene e il pittore Giovan Battista Maganza. Un altro viaggio è documentato nel 1549.

Il reiterato pellegrinaggio romano, rispondeva all’esigenza di un diretto contatto con le venerate antichità, per studiare, misurare rilevare piante e alzati, murature, colonne, capitelli di templi, basiliche,  terme, teatri, archi trionfali, ponti, al fine di restituire, nel clima di  acceso classicismo  alimentato da uomini come Trissino e Barbaro, “i disegni di quegli edificij […] e ponere breuemente ciò che in essi mi è parso degno di consideratione”, come scriverà lo stesso architetto nel Proemio dei Quattro Libri dell’Architettura.

Il viaggio del 1554, il cui il primo frutto fu L’Antichità di Roma, era soprattutto finalizzato in realtà alle rilevazioni e allo studio degli antichi monumenti in vista dell’edizione dei Dieci Libri di Vitruvio, dati alle stampe nel 1556 da Barbaro con la collaborazione dell’amico architetto.

L’Antichità di Roma fu il primo scritto di Palladio ad essere pubblicato; all’edizione romana ne seguì immediatamente una veneziana, e poi moltissime altre, in un crescendo di consensi che finì per consacrarne il ruolo di vademecum privilegiato del viaggiatore colto, fino ben dentro il Settecento, quando l’opera poteva vantare ormai  

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più di trenta edizioni. Sebbene il volumetto s’inserisca nella lunga tradizione dei Mirabilia Urbis medievali, largamente diffusi e divulgati nel Quattrocento dalla nuova arte tipografica, Palladio ha tuttavia cura di emendare i molti errori e stravaganze che infarcivano le guide tradizionali, destinate più al pellegrino che al cultore di antichità, al quale invece esplicitamente il libro si rivolge:  infatti, tralasciando gli edifici ecclesiastici, l’architetto  si propone di descrivere in modo accurato e preciso le vestigia della Roma archeologica, “conoscendo quanto sia appresso ciascuno grande il desiderio di intendere veramente le Antichità”.

È la risposta nuova e aggiornata a un nuovo e aggiornato pubblico, fatto di intenditori e di amateurs, cresciuti all’ombra dell’ umanesimo e nutriti di filologico entusiasmo  per l’antico. I precedenti erano quelli degli antiquari e dei topografi, a cominciare da Flavio Biondo e dalla sua Roma ristaurata, grazie ai quali la consueta letteratura periegetica si sdoppia: un filone più popolare continua l’impostazione devota e più o meno ingenua dei Mirabilia, un altro, più rigoroso e colto,  se ne stacca per privilegiare l’archeologia.

E’ il modello di Palladio, che per la sua opera fece ricorso alle fonti antiche, da Dionigi d’Alicarnasso a Livio, Plinio, Plutarco, Appiano Alessandrino, Valerio Massimo, Eutropio, e agli antiquari moderni: Flavio Biondo, appunto, ma anche i più recenti Lucio Fauno, Andrea Fulvio, Bartolomeo Marliani, Pirro Ligorio. “Ne mi sono contentato di questo solo - avverte nel proemio ai lettori - , che ancho ho voluto vedere, et con le mie proprie mani misurare minutamente il tutto”: testimonianza di un’attitudine  “scientifica” che accompagna l’architetto e ne giustifica il coinvolgimento in quegli anni nel progetto dell’edizione vitruviana di Daniele Barbaro

Sempre nel 1554, e per i tipi dello stesso editore romano Vincenzo Lucrino, Palladio pubblica la Descritione de le Chiese, Stationi, Indulgenze et Reliquie de Corpi Sancti, che sonno in la città de Roma, che in qualche modo integra il libro sull’Antichità, con un excursus sulle chiese romane e le connesse devozioni di ciascuna destinato ai pellegrini, ma che si distingue  dalla consimile pubblicistica per l’attenzione riservata agli aspetti propriamente artistici.

Si noti sul primo frontespizio in alto, un errore tipografico nel cognome dell'Autore. mentre sul secondo frontespizio oltre al timbro dell'Impero austriaco, sono presenti due note di possesso manoscritte, la prima di Pietro Comboni e la seconda di una "Natio


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