Le accuse di eresia che l'Inquisizione romana mosse contro le religiose udinesi nel corso del XVI secolo furono certamente determinanti nella storia e nelle vicende del monastero.
L'eresia si concepì dal forte legame esistente tra le monache e il ceto nobiliare della città, dal quale provenivano. Oltre alla generale degradazione dei costumi e l'insofferenza verso la clasura, le influenze politiche e concettuali derivate dalle nobili famiglie benefattrici condizionarono il loro pensiero che fu accostato all'anabattismo radicale. Già nel 1556 il monastero era stato valutato dall'Inquisizione romana, ma i provvedimenti presi avevano ottenuto scarsi risultati. Dopo una fase di stallo, nel 1584-1585 il vescovo Cesare de Nores fece visita al monastero e denunciò la situazione indecorosa presente al suo interno. Il vescovo notificò soprattutto il deterioramento dei principi della Regola di Santa Chiara primo tra tutti l'obbligo di clausura, e la mancanza di disciplina. A seguito di questa visita, furono aperti diversi altri procedimenti dal Sant'Uffizio con l'obbiettivo di riprisinare la Regola originale del secondo ordine francescano.
La riforma della Regola si formalizzò nel 1601 con il patriarca Francesco Barbaro e fu applicata nel 1613. Dopo questo lungo periodo di cambiamenti e rivoluzioni, solo sei Clarisse rimasero all'interno del monastero, anche se il cammino verso l'ortodossia si rivelò ancora lento e controverso.