Il soggetto delle due iniziali figurate è in rapporto con il monastero di Sant’Antonio di Como, prima sede di conservazione del codice: il busto di Sant’Antonio abate è identificabile grazie al pastorale, alla campanella degli eremiti e, ricamato o cucito sul mantello, al tau, la croce priva del braccio superiore che prende il nome dalla lettera dell’alfabeto greco.
Le miniature sono attribuite all’ambito del Maestro del Libro d’Ore di Modena alias Tomasino da Vimercate, formatosi nelle botteghe milanesi di fine Trecento, da cui derivano il repertorio decorativo, le proporzioni aristocratiche e l’espressione poco individualizzata dei personaggi.
Aldini 176, Regula beati Augustini; Statuta noua monasterii sancti Antonii Viennensis dioecesis (1367); Forma per fare professione, sec. XV, membranaceo, ff. I, 22, I’; 245 × 185 mm.
Sant'Antonio
L’iniziale del f. 5r introduce gli Statuta nova del monastero di Sant’Antonio a Vienne, nella Francia del Sud, appartenente all’ordine ospitaliero degli Antoniti.
In questa e nell’altra iniziale figurata, al f. 1r, il fondo quadrettato alle spalle del santo è una versione economica di formule decorative di ascendenza francese, diffuse nella miniatura gotica lombarda.
L’assenza di lamine metalliche e i colori acquerellati esemplificano la tecnica rapida ed economica tipica dei manoscritti non lussuosi.
Storia del codice
Il piccolo codice composito raccoglie una congerie di testi funzionali al suo uso all’interno delle comunità religiose di Como: la Regola e gli Statuti rimandano al monastero di Sant’Antonio, complesso ospedaliero sorto nel sec. XIII ed affidato nel 1270 ai padri di S. Antonio abate di Vienne, che lo gestirono fino al 1426 quando, in seguito ad alcune controversie, fu trasferito ai Francescani e nel secolo successivo ai Carmelitani, fino alla sua soppressione nel 1772.
Le note quattrocentesche di rinvio ai registri dell’Archivio cittadino comasco attestano una permanenza del codice in città, mentre la formula di professione in volgare, datata al 1483 e compresa nel fascicolo finale, più tardo, riguarda l’ingresso della professa Marina Albrici nel monastero benedettino comasco di Santa Margherita, dove prese i voti la più nota beata Maddalena Albrici (m. 1465), verosimilmente una parente, superiora del monastero di S. Andrea a Brunate, sorella di Zanino, podestà cittadino nel 1450 e intima della duchessa Bianca Maria Visconti.
A rendere interessante il codicetto sono inoltre una ricetta per fare l’inchiostro (De atramento) al f. 17r e un foglio di provenienza eterogenea (f. 22) da un manoscritto trecentesco dei Dictamina rethorica di Guido Faba.
Infine, al f. 17r, leggibile ai raggi ultravioletti, nota di possesso quattrocentesca: Iste quaternus est Luchini de Agaro[ttis].
Sul contropiatto la precedente segnatura: CXXX. F. 30 corrispondente all’Inventario dei libri della Biblioteca dell’I. R. Università di Pavia, pubblicato nel 1849 e comprendente sia libri manoscritti sia libri a stampa.
LEGATURA: moderna in cartone e carta marmorizzata.
Bibliografia
Pietro Vittorio Aldini, Manuscriptorum codicum series apud Petrum Victorium Aldinum In I. R. Ticinensis Universitate archeologiae numismaticae diplomaticae atque heraldicae professorem adnotationibus illustrata, Pavia, Fusi, 1840, p. 23
Luigi De Marchi – Giovanni Bertolani, Inventario dei manoscritti della Regia Biblioteca Universitaria di Pavia, Milano, Hoepli, 1894, p. 95
Jole Agrimi, Tecnica e scienza nella cultura medievale. Inventario dei manoscritti relativi alla scienza e alla tecnica medievale (secc. XI-XV). Biblioteche di Lombardia, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1976, p. 210