Il volume sugli antichi testi di agricoltura: una magnifica "miniera verde". Lisa Bellocchi
print this pageIl volume Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, curato da Zita Zanardi per l’Istituto Beni culturali, con la pregevole collaborazione, per la redazione delle schede, di Massimo Baucia, Giuseppina Benassati, Patrizia Busi, Rosaria Campioni, Alberto Carciolari, Paola Errani e Anna Chiara Marchignoli, è un elegantissimo e stuzzicante aperitivo della mente, uno sguardo cólto ed accattivante sul ricchissimo patrimonio che biblioteche ed archivi della nostra regione conservano sui temi agricoli ed agroalimentari. Cioè sull’ossatura portante, ieri come oggi, dell’economia agroindustriale dell’Emilia Romagna.
Una conferma si trova scorrendo quanto, del volume, è dedicato a Reggio Emilia.
E’ vero che, per dichiarazione stessa della curatrice, l’arco cronologico del volume va dal XIII al XX secolo, ma – sempre per riconoscimento della Zanardi, il primo e più antico documento è proprio reggiano: è la pergamena di Marola, del 13 aprile 1159, redatta dall’Abate Giovanni per concedere in affitto un terreno ai fratelli Giovanni, Domenico e Martino di Formolaria. Questo documento (scheda n. 54) è noto e famoso perché in esso si trova la prima citazione del formaggio parmigiano reggiano, il “formadio” distinto dal “caseus”, cioè il formaggio (di latte vaccino e stagionato) distinto dal cacio di pecora.
Una successiva, più completa citazione del nostro famoso DOP sarà poi quella di Boccaccio, che nella Contrada di Bengodi colloca una golosa montagna “tutta di formaggio Parmigiano grattugiato”.
Dall’Abate Giovanni, con un salto di quasi sette secoli, il libro ci accompagna a conoscere il grande reggiano Filippo Re, che possiamo definire il padre della moderna agronomia. E che ci dà ancor oggi una lezione di dirittura morale, oltre che di serietà scientifica.
Tra le tante pubblicazioni del botanico reggiano, il volume analizza (scheda n. 12) l’opera L’ortolano dirozzato, due tomi nei quali sono elencati i più aggiornati metodi di lavorazione agricola, dalla natura dei terreni alla semina, dall’irrigazione alla concimazione. Tra i pregi a mio avviso più significativi dell’Ortolano dirozzato ci sono quelli di attenzione linguistica. Filippo Re infatti abbina i nomi latini delle piante a quelli in volgare ed unifica anche i termini con cui una stessa pianta è indicata nei diversi dialetti. Il record è della cuscuta, che nell’Italia ancora da unificare era chiamata in 26 modi diversi.
Ma Filippo Re ci è maestro, come dicevo, anche di dirittura morale. L’epoca in cui vive è quella della Rivoluzione francese, e, da noi, della Repubblica Cispadana e poi del governo napoleonico. Filippo Re partecipò ai moti rivoluzionari, salvo poi dimettersi da tutte le cariche per non voler prestare, contro la propria coscienza, il giuramento “di odio eterno al governo dei Re e degli Oligarchi”, come gli richiedeva il potere giacobino. E qualche anno dopo, allorché la Società Agraria di Bologna, di cui era segretario, venne accorpata all’Università, si dimise anche da questa segreteria, contestando in ciò un attacco alla libertà di ricerca.
Data la specificità dell’Istituto promotore e la qualificazione professionale della curatrice, il volume Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna non poteva che essere rigorosissimo anche sotto il profilo biblioteconomico.
Diverse opere schedate nel volume (schede nn 24, 28, 29) provengono dal fondo antico della Biblioteca dell’Arcispedale ed in specifico dalla biblioteca di Pietro Giuseppe Corradini. Spinta da questa noticina, mi sono incuriosita ed ho rintracciato che Corradini fu un illustre medico scandianese del XVIII secolo, autore di importanti ricerche cliniche su temi d’avanguardia, come ad esempio la relazione tra condizioni meteorologiche ed organismi umani. Alla sua morte, egli donò al Santa Maria Nuova la sua cospicua biblioteca. Tra i temi cari al Corradini, le qualità salutistiche delle acque di Reggio e dintorni. Questo interesse emerge anche dalle opere che egli fece confluire nella propria biblioteca: ad esempio, lo studio del sassolese Giovanni Battista Moreali sull’acqua della Salvarola e quello del bolognese Ferdinando Bassi sulle terme porrettane.
Tra le salubri acque reggiane note nei secoli passati, vale la pena di citare anche le sorgenti sulfuree di Quara, citate fin dal Cinquecento da Gabriele Falloppio.
Oltre a Pietro Giuseppe Corradini, un altro scandianese illustre, che ritorna nelle citazioni del volume, è Antonio Vallisneri, medico e naturalista del XVII secolo, che si trasferì a Bologna, divenendo l’allievo prediletto del grande medico Marcello Malpighi; e poi si spostò a Venezia, Padova e Parma. Una notazione geografica che dice della “internazionalità” della cultura dell’epoca.
Di reggiani geniali “in trasferta” la città ne ha avuti tanti. Ad esempio, il frate cappuccino padre Gregorio da Reggio, che all’inizio del ‘600 nel convento di Bologna coltivava e studiava l’affascinante mondo dei peperoni e peperoncini, cui dedicò un’opera (De capsicum historia) che lo mise in contatto con il famoso botanico francese Charles de l’Ecluse.
E sarà, pochi anni dopo, nel 1642, un altro reggiano – l’erborista montecchiese Jacopo Zannoni - a dirigere, a Bologna, il glorioso Orto Botanico impostato da Ulisse Aldrovandi.
Delle saline di Cervia si occupò invece Pietro Antonio Zanoni (scheda n. 71) che in un’opera in latino (poetica ma non priva di basi scientifiche) pubblicata a Cesena nel 1786, racconta la formazione del sale. Zanoni era membro della “Accademia degli Ipocondriaci”, a proposito della quale vale la pena di ricordare che essa ammetteva fra i soci anche le donne. La nota docente Laura Bassi Veratti (la prima insegnante donna dell’Alma Mater bolognese), vi era ascritta col nome di “Eudossia”; la guastallese Gaetana Secchi Ronchi come “Filomusa”. Pietro Antonio Zanoni vi era noto come “Logistico” e il già citato Antonio Vallisneri come “Ortobolo”. Così elenca Luigi Cagnoli scrivendo la storia degli Ipocondriaci Accademici.
Nel volume diversi reggiani sono citati per il loro contributo all’innovazione: ad esempio, i conti fratelli Spalletti, che da allevatori moderni parteciparono all’Esposizione Emiliana del 1888, inaugurata a Bologna dal re Umberto I° in persona. L’assetto agricolo imprenditoriale della famiglia Spalletti risalta ancora negli edifici che si incontrano, vicini alla splendida villa omonima, a San Donnino di Liguria (un toponimo che da solo si meriterebbe uno studio!).
All’inizio del Novecento, Natale Prampolini fu unanimemente riconosciuto come “uno dei più insigni bonificatori italiani”. A lui si devono (il rinvio è alla scheda 42) la progettazione e la conduzione della Bonifica Parmigiana Moglia, del cui Consorzio fu direttore dal 1915 al 1945. L’elegante palazzetto della Parmigiana Moglia è in Corso Garibaldi, di fianco alla Basilica della Ghiara.
Il volume curato dalla Zanardi è diviso in sezioni. Il principale contributo reggiano alla sezione sui “Libri di casa” è quello della nobile Famiglia Cassoli: un eclettico manoscritto risalente al Settecento, che riunisce la ricetta dei cappelletti di grasso e il rimedio per il mal di denti; insegna a fare la scagliola e a togliere le macchie dalle calze di seta. Un vademecum su tutto quel che può essere utile sapere per la conduzione domestica. La correttezza dei suggerimenti non può essere costantemente suffragata: non sono sicura, ad esempio, che per estrarre un dente senza patire dolore occorra cominciare prendendo un ramarro vivo e cuocendolo in forno. Ma tant’è. Quelli erano i tempi!
E quando si avvicina l’ora di cena, spostiamoci metaforicamente a tavola anche noi. Il volume curato da Zita Zanardi ci accompagna a spasso tra varie golosità nostrane. L’acqua d’orcio è uno dei più antichi prodotti testimoniati: nel 1412 il nonno di Ludovico Ariosto, il conte Ippolito Malaguzzi, governatore della città, ne autorizzò la vendita in piazza del Duomo (per la ricetta tradizionale si consulti E-R Agricoltura e pesca. Produzioni agroalimentari: acqua d’orcio).
Su un lato il nostro “formaggio” veniva storicamente “strattonato” verso Parma (come abbiamo detto all’inizio), sull’altro confine è sempre stata Modena a far la parte del leone sul lambrusco, di cui pure Reggio è stata storica produttrice. E partendo dalle ricerche enologiche compiute a fine Ottocento da Augusto Pizzi, recentemente si è potuta isolare la varietà “lambrusco di Rivalta” o “lambrusco Corbelli”, dal nome della famiglia che lo impiantò nelle proprie vigne pedecollinari; la stessa famiglia di cui i reggiani ricordano la famosa “Vasca” sulla Strada Statale 63, tra Rivalta e Puianello.
Un'altra eccellenza locale è senza dubbio l’aceto balsamico tradizionale, di cui già parlava Donizone ai tempi di Matilde di Canossa. Anch’esso è obbligatoriamente spartito con l’adiacente Modena. Ma la spartizione non è arrivata fino ad unificare i due Consorzi provinciali del Balsamico tradizionale, lasciando forse con questo un più ampio spazio ai fantasiosi taroccatori di DOP.
Inequivocabilmente reggiana resta invece la spongata. Il dolce natalizio di Brescello deve però all’impegno dello storico modenese Alessandro Giuseppe Spinelli se la sua storia è stata raccolta (nel 1904) in un libro: storia antica, con citazioni risalenti al 1454, quando il duca d’Este mandava spongate di Brescello in dono all’illustre Francesco Sforza, a Milano.
Il racconto potrebbe continuare con i piatti tradizionali: la “Nota per fare la bomba” di riso, oppure il “Fritto così detto arbazone”, che noi moderni, più salutisti, conosciamo soprattutto nella versione di erbazzone al forno.
L’opera curata da Zita Zanardi, edita per accompagnare la presenza emiliano romagnola all’Expò 2015, è un’inesauribile miniera. Io mi auguro che (anche senza bisogno di un’altra esposizione mondiale) la strada tracciata prosegua e le notizie di altri gioielli (di cultura agricola ed agroalimentare) escano dalle biblioteche e dagli archivi della regione. Io ho già una richiesta per la prossima edizione. A colazione, nei bar di Reggio (e solo di Reggio) si può accompagnare il cappuccino con una “maddalena”. Sarebbe interessante scoprire come e perché la citazione proustiana si è travasata proprio nella città del Tricolore. Conto di apprenderlo dal volume “Agricoltura e Alimentazione in Emilia Romagna – parte seconda”. Che sarà sicuramente bello come il primo!
Lisa Bellocchi, reggiana di nascita, vive a Bologna, dove si è laureata in Lettere Classiche. Giornalista "di lungo corso", per oltre un decennio ha curato per la Rai trasmissioni televisive nazionali dedicate all'agricoltura e al comparto agroalimentare. Da questa esperienza è nata una rete di rapporti internazionali che l'ha portata a rappresentare i giornalisti agricoli italiani nella Federazione mondiale di settore e ad entrare (la prima volta di un esponente italiano!) nel Consiglio direttivo di Enaj, European Network of Agricultural Journalists.Studiosa di numismatica, Lisa Bellocchi si è occupata di monetazione antica (schedando e pubblicando le collezioni greca e romana repubblicana dei Civici Musei di Reggio Emilia) e medioevale, con un volume sulla zecca di Bologna. Vice presidente dell'Accademia Italiana di Studi Numismatici, è socia corrispondente della Deputazione di Storia Patria di Reggio Emilia.