Guerra e propaganda

Creatura del Ministro della Cultura Popolare Alessandro Pavolini, ben conscio dell’importanza dello strumento propagandistico, specie in momenti in cui la ricerca del consenso è inversamente proporzionale all’andamento delle operazioni belliche, il Nucleo di propaganda si avvale della collaborazione di alcuni dei massimi esperti del settore, strappati per l’occasione alle loro abituali attività di pubblicitari, bozzettisti, vignettisti, psicologi e sociologi. Nella vasta tipologia della sua produzione propagandistica (opuscoli, volantini, chiudilettera, etichette, copertine, giornaletti ecc.) la parte del leone è sicuramente assunta dal manifesto murale, che si propone, specie negli ultimi mesi di guerra, come vero e proprio baluardo interno contro un nemico «...già in casa…». Basta, per dirla con Isnenghi, «…tratteggiarne l’immagine e appenderla su tutti i muri…». La grave crisi economica di quegli anni, che tocca prepotentemente anche il settore della carta, sembra non toccare l’area dell’affisso propagandistico, diffuso capillarmente in tutti i centri della Repubblica Sociale, con l’esposizione nei circoli, nelle scuole, nelle sedi di associazioni, nelle fabbriche e soprattutto, come suggerisce l’intraprendente e attivissimo Giorgio Almirante, nelle vetrine dei negozi, ritenute molto più sicure delle pubbliche strade. Disegnatori e creativi anche di grande fama come Boccasile, Coscia, Ross, lavorano a tempo pieno alla preparazione di bozzetti in grado di colpire ancora, se possibile, l’immaginario collettivo di una popolazione sfiduciata e stremata. Ne scaturiscono immagini dal grande impatto visivo, dalle tinte sanguigne e fosche che molto più delle stesse didascalie che le accompagnano vogliono imporsi all’occhio del lettore con il peso, secondo una consuetudine ormai radicata nello stile fascista, di un maglio d’acciaio. Gli argomenti di facile presa e di sicuro effetto certo non mancano: dalle austere madri di famiglia che incedono eroicamente nel loro abito nero e con sul petto il crocione di guerra del figlio o marito caduto, alle immagini di bambini ischeletriti che la propaganda vuole deportati nei lager russi o arrossati del loro stesso sangue in seguito a un bombardamento alleato, dalle pretese crudeltà dei «liberatori» angloamericani, «moderni barbari» devastatori, stupratori e ingannatori, alla conclamata immoralità delle razze non ariane che si somatizza, secondo la lombrosiana ottica di regime, in caratteri esteriori del tipo «…Australiane fanterie sanguinarie, cappelli alla Buffalo Bill, tendenza all’assassinio, occhio da alcolizzato… grugni bestiali dello Zululand e del Basutoland…». E poco conta se ne risultano manifesti ingenui nella loro demagogia e inverosimiglianza, poco conta se sono tecnicamente incurati e disarmonici, quel che conta è colpire l’occhio e far così presa sui dubbiosi, come impongono le direttive del regime.