di Monica Calzolari
Un viaggio pericoloso
Il viaggio da Roma verso Napoli, piazza assai più importante di quella della capitale pontificia, dotata di un conservatorio e di un Teatro tra i maggiori a livello europeo, è un viaggio difficile e pieno d’insidie. Le Compagnie possono seguire due itinerari.
L’uno, interno, lungo il tracciato dell’antica via Casilina che corre al di sopra del corso del fiume Sacco e attraversa la Delegazione di Frosinone fino a Ceprano dove è attivo un Teatro che può dare occasione di un’esibizione, per poi proseguire fino a Pontecorvo e poco dopo deviare verso la costa, per andare a riprendere la via Appia, essendo la via Latina abbandonata e impraticabile.
L’altro itinerario lungo l’antica “regina viarum”, la via Appia, con una sosta nella prima stazione di posta a Velletri, la cui locanda è segnalata dalle guide turistiche come la migliore del percorso e dove gli artisti possono trovare occasione di esibirsi in uno degli spazi disponibili, anche in mancanza di un vero e proprio Teatro comunale. Il viaggio prosegue poi per Cisterna e Terracina, dove sono altre due stazioni di posta, e di lì ripiega verso l’interno e prosegue verso sud, per Gaeta fino a Napoli.
Qualunque sia la scelta, il punto di transito del confine tra lo Stato pontificio e il Regno, è obbligato: tutti i viaggiatori sono costretti a percorrere il breve tratto della via Appia compreso fra il presidio pontificio di Epitaffio e la guarnigione napoletana alla Portella, dove avviene il controllo doganale, superato il quale il primo centro abitato del regno che si incontra è Monticelli (l’odierna Monte San Biagio), tra il 1815 e il 1821, patria e dominio incontrastato del feroce brigante Alessandro Massaroni detto il ‘Mancinello’.
Il rapimento
Accade, dunque un giorno, intorno al 1820, che a Portella transiti il carro di una Compagnia che annovera nel suo organico una giovane e bellissima ballerina.
Aggrediti dai briganti della banda Massaroni, gli artisti sono rapinati e la ballerina viene rapita a scopo di riscatto.
Il capo della banda, colpito dalla folgorante bellezza della donna, per sottrarla alle ingiurie volgari dei balordi, delinquenti e criminali che formano la sua banda, tristemente noti per la crudeltà verso i sequestrati e le sregolate abitudini sessuali, la conduce presso una vecchia e povera donna filatrice, bisognosa di cure.
Tornato quindici giorni più tardi a trovare le donne Massaroni, resta commosso dalle cure gentili prodigate dalla giovane ballerina alla vecchia e povera filatrice e senza attendere il pagamento del riscatto, la libera subito e le dona un orologio d'oro, in ricordo della sua simpatia.
Il fatto di cronaca è immortalato da Bartolomeo Pinelli in una deliziosa incisione che ci restituisce l’immagine “romantica” di due personaggi assai rappresentativi della nuova mentalità che, nel secolo da poco iniziato, baldanzosamente si va facendo strada sulle note della Carmagnola.Se molto si è scritto sul brigante, rappresentato nei panni di un gentiluomo, meno, si è scritto sulle figure femminili protagoniste insieme a lui dell’edificante apologo. La vecchia povera filatrice, emblema della difficile condizione femminile nelle classi lavoratrici subalterne, e la ballerina, in abito e acconciatura “stile impero”, simbolo dell’emancipazione femminile avviata in Europa dalla Rivoluzione francese.
Le donne in teatro
Con la prima Repubblica romana giacobina, le donne hanno fatto irruzione sulle scene anche nelle terre del papa, prendendo finalmente per sé “… le parti da donna…” che fino ad allora “… erano sempre eseguite dagli uomini, anche nei balli”, sottolinea Cesare Bruscagli, all’inizio della sua Cronaca Teatrale di Viterbo. Narra egli, infatti, che la sera dell’inaugurazione del Teatro del Genio, il 24 agosto 1805, quando compare la prima donna Annibali, il pubblico prorompe in applausi entusiastici, non solo perché è bellissima, ma perché è la prima volta che una donna agisce nel Teatro.
È solo un inizio: a Viterbo nel 1810 si rappresenta l’opera “spettacolosa eroica-tragica” L'eroina viterbese, ossia La Morte di Galeana la Candida, un copione con protagonista femminile scritto dall’attrice Teresa Mariani, esponente con il marito Vincenzo Broccoletto del teatro giacobino. La dedica è a un'altra donna impegnata nel milieu intellettuale progressista viterbese: la contessa Elena Pagliacci Zelli.
Ma fra tutte le donne di teatro, è la ballerina, con i costumi di velo sottile, le braccia e le gambe scoperte in armoniosa evidenza, l’icona di questa straordinaria liberazione del corpo femminile.
Le carte, dunque, si popolano di nomi di donne e di ritratti. Adelaide Moneghini Rossi, Maddalena Liuzzi e la procace americana Augusta Maywood spopolano nel ballo Il Fornaretto, durante la stagione inaugurale del Teatro dell’Unione sempre a Viterbo, alla fine dell’estate del 1855.
La parabola immortalata dall’artista Pinelli, propone un’immagine della donna di teatro, autenticamente rivoluzionaria, non ancora costretta entro il rigido e angusto recinto del pregiudizio moralistico che identifica la libertà femminile con la frivolezza, la leggerezza, la fragilità e la dissolutezza, in funzione dell’ordine e della gerarchia su cui si reggerà la società borghese.
bibliografia
E. Casini Ropa, Corpo e costume nella storia della danza: appunti per guardare, in AA.VV., Mascheramenti. Tecniche e saperi nello spettacolo d’occidente e d’oriente, Bulzoni, Roma 1999 p. 47 e sgg.
P. Bignami, Storia del costume teatrale. Oggetti per esibirsi nello spettacolo e in società, Roma, Carocci, 2005, pp. 162-163.