di Monica Calzolari
Figli d’arte
Gli attori professionisti, per lo più figli d’arte, che hanno appreso la tecnica fin da bambini, lavorano in Compagnie spesso a carattere familiare, sotto la guida di un capocomico. È il caso ad esempio dei fratelli Taddei, Rosa e Luigi, che si esibiscono fin da adolescenti nella Compagnia del padre Francesco e di Adelaide Ristori che insieme ai suoi genitori fa la sua prima entrata in scena a soli tre mesi.
Anche nella Compagnia di Angelo Lipparini, che si propone a Corneto nel 1850, figurano i membri di ben tre importanti famiglie di attori: Lipparini, Feoli e Vitaliani.
Strutture economiche in movimento
Le Compagnie sono vere e proprie strutture economiche in movimento, in cui vige una consolidata gerarchia scenica e una divisione del lavoro in ruoli distribuiti tra “donne” e “uomini”, in cui spiccano la “prima donna” o “prima attrice” e il “primo uomo” o “primo attore”, ai quali si richiede bella presenza, disinvoltura scenica, grande pratica del teatro, buone capacità vocali, piacevole inflessione e buon portamento. Immancabile è inoltre il “caratterista” che interpreta parti da comprimario, incarnando personaggi colpiti da debolezze o dominati da passioni che ne condizionano i comportamenti e perciò producono effetti comici in cui il sorriso si accompagna all’umana comprensione. Non mancano poi il “padre” e la “madre nobile”, la “servetta” e il “tiranno”. Ai giovani, attrici e attori in erba, sono riservati i ruoli di “primi amorosi” e le "parti ingenue". Un ruolo importantissimo, a volte sostenuto dallo stesso capocomico, è infine quello del “rammentatore”. È un sistema bloccato in cui l’interprete maggiore tende a tenere saldamente nelle sue mani il ruolo migliore. Gradualmente, nel corso del secolo, prevale il governo della prima donna che a un certo momento diviene il cardine della Compagnia.
Le maschere
Nelle Compagnie della prima metà del secolo che attraversano le nostre città si esibiscono ancora le maschere tradizionali del teatro italiano: Pulcinella, Stenterello sono la specialità di alcuni famosi attori. I Pulcinella che calcano le scene dei nostri Teatri sono: Giuseppe Sabato a Corneto nel 1822, Gaspare de' Cenzo a Genzano nel 1842. Tra i più noti attori che impersonano Stenterello, Vincenzo Fracanzani è a Viterbo nel 1807, Cappelletti a Viterbo nel 1815, Domenico Mazzoni a Viterbo nel 1836, Cannelli a Velletri tra il 1848 e il 1849, Raffaello Landini a Corneto nel 1852.
In scena
Per mantenere vivo l’interesse degli spettatori, infatti, le compagnie drammatiche hanno in repertorio contemporaneamente moltissimi testi ̶ trenta all’anno in media ̶ e li recitano in successione, cambiando spettacolo quasi ogni sera: ciò comporta che spesso gli attori non conoscano a memoria le battute e debbano essere sostenuti, appunto, dal “rammentatore”.
Le compagnie drammatiche sono abbastanza povere e soggette ai capricci del pubblico e all’andamento delle stagioni e, disponendo di risorse limitate, adattano a tutti gli spettacoli sempre gli stessi scenari e gli stessi costumi. I costumi, come spesso anche i copioni, sono proprietà dei singoli attori che li conservano gelosamente e li trasportano al seguito di città, in città.
Le Deputazioni teatrali elette all’interno dei Consigli comunali e le associazioni dei proprietari dei palchi del Teatro premono per ottenere un livello di spettacoli migliore attraverso il controllo preventivo dei repertori, degli allestimenti e dei costumi e la concessione di “doti”, ossia di finanziamenti pubblici che, garantendo almeno la copertura delle spese, permettano alle Compagnie di offrire spettacoli migliori, in nome dell’idea - affermatasi con la Rivoluzione francese - che il teatro sia mezzo di educazione civile del cittadino.
I cantanti e musicisti si raccolgono in compagnie di musica proposte nelle diverse piazze dagli impresari teatrali che, dopo essersi aggiudicati il Teatro per una o più stagioni investono negli spettacoli.
Il melodramma che passione!
Il melodramma è la grande passione del pubblico ed è il genere teatrale di maggior prestigio, ma è costoso, perché richiede oltre ai cantanti, l’orchestra, i cori, i figuranti e un direttore maestro di musica, scene e costumi di maggiore importanza. L’organico di professionisti scritturati dall’impresario molto di frequente è completato con dilettanti, filarmonici e bandisti locali. La musica è talmente amata e praticata dai ceti borghesi emergenti delle nostre dieci città che, nonostante le difficoltà, non mancano allestimenti anche nelle situazioni in cui, come a Frosinone, Sezze e Velletri, non è disponibile un Teatro comunale. Laddove sono presenti sia la Filarmonica, aperta a uomini e donne, sia la Banda, l’opera è spesso eseguita, anche senza scenografia, dai musicisti e dai cantanti locali e, in questi casi, libretti e programmi, nei quali sono elencati i ruoli e gli interpreti, svelano una società in cui le famiglie dei notabili, aristocratici e borghesi, ritengono la musica componente indispensabile della formazione dei figli e assegnano a ciascuno, senza differenze di genere, lo studio di uno strumento, compresa la voce, e si adoperano attivamente grazie alla loro partecipazione alla magistratura comunale nelle cariche di anziani, consiglieri e gonfalonieri, affinché si creino spazi e occasioni per le loro esibizioni.
bibliografia
C. Meldolesi, Ferdinando Taviani, Teatro e spettacolo nel primo Ottocento, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 189 sgg.
Il sipario di carta, manifesti teatrali della Raccolta Salce 1849-1951, Venezia, Marsili, 1994, spec. pp. 22-25.
M. Cambiaghi, I cartelloni drammatici del primo Ottocento italiano, Milano, Guerini scientifica, 2014.