La “cesta” è l’oggetto più importante che segue l’attore in tutti suoi spostamenti.
L’artista vi custodisce gelosamente gli strumenti di lavoro: il “corredo” di abiti di scena e da sera, di scarpe, gioielli, cappelli e accessori, cui deve provvedere a proprie spese, per contratto.
In relazione al ruolo occupato nella macchina teatrale – prima donna, primo uomo, amorosa o amoroso, servetta, tiranno, madre nobile o padre nobile – e dei personaggi che è chiamato a interpretare, il commediante si procura i costumi, scegliendoli nell’ambito del repertorio di costumi italiani consolidato dalla tradizione e affidandone la realizzazione alle mani svelte di sarti, modiste, calzolai, ricamatrici e sartine.
Le maschere della commedia dell'arte
di Monica Calzolari
Sopravvivono le maschere della commedia dell’arte che si aggirano sui palcoscenici, riscuotendo ancora molto successo, ma sollevano la riprovazione degli intenditori più alla moda e di “quelli che contano” in città.
“Pulcinellate!” tuonano nel 1822 i deputati del Teatro dei condomini a Rieti, respingendo la richiesta d’uso del Teatro, presentata dal capocomico Filippo Zinelli che in repertorio ha “per lo più commedie dell’arte”.
Attore: precettore di valori etici
Dall’attore, oggi l’élite pretende che non sia più, o non solo, strumento di svago e di piacere per il popolo, ma precettore di valori etici.
La nuova deontologia professionale impone, dunque, di applicare nei costumi e nelle scenografie un inedito rigore storico-filologico che punta a rievocare – soprattutto attraverso gli abiti di scena, dato che i soldi per nuove scenografie non ci sono quasi mai – un passato distante e distinto dall’oggi.
Gli abiti diventano “pedagogici”, al servizio del progetto educativo destinato all’incivilimento dello spettatore.
La cesta dell’attore si svuota dei simulacri dei tiranni, delle servette, degli amorosi e delle maschere degli arlecchini, dei pulcinella e degli stenterelli e si riempie fino all’orlo dei mitici panni di poco probabili eroi ed eroine greche e romane, di personaggi biblici, di regine e di cavalieri, altrettanti modelli delle virtù civili sulle quali fa perno il processo di disciplinamento sociale, cui il teatro è chiamato a concorrere con i suoi mezzi peculiari.
La prima volta in scena di Adelaide
All’inizio dell’anno 1822, quello in cui a Rieti si respingono i pulcinella, in una fredda giornata del mese di gennaio, a Cividale del Friuli nasce Adelaide Ristori, figlia di due modesti attori che si spostano con compagnie di second’ordine lungo la Penisola, portandosela con sé ancora in fasce, in una cesta che si colloca nella carrozza, accanto alle ceste del corredo dei due genitori.
Una cesta, o meglio un paniere, segna, a soli tre mesi d’età, il suo esordio nell’arte drammatica. Il colpo di scena che scioglie l’intreccio della commedia in cui, quella sera di maggio, recitano i suoi genitori, esige un neonato che spunti da un paniere! Nel paniere c’è Adelaide che sul più bello - “… infastidita … prima del tempo stabilito…” - si mette “… a vagire: Huaa! … Huaa! …”, provocando un putiferio che sarà in famiglia sempre ricordato con grande ilarità.
Adelaide a Viterbo
Quando noi la incontriamo a Viterbo, nell’agosto del 1845, Adelaide, nel fiore della giovinezza, è la prima donna assoluta della Compagnia ducale di Parma diretta da Romualdo Mascherpa e ancora non sa che un colpo di fulmine, di lì a tre mesi, le cambierà la vita, unendola a un nobile romano, proprietario di ben tre Teatri nella capitale dello Stato del papa, che diverrà il suo compagno di vita e il sostenitore della sua carriera: il marchese Giuliano Capranica del Grillo.
Nella sua “cesta” ci sono due abiti molto importanti. Quello di Francesca da Rimini, con cui ha debuttato nel 1836 come protagonista nella Compagnia Moncalvo, a soli 14 anni, riscuotendo grandissimo successo: un ricordo e un portafortuna, che non sarà mai abbandonato, neppure dopo molti anni, quando l’età non le permetterà più di indossarlo in scena. E poi quello della regina prediletta, del personaggio che la accompagnerà per tutta la vita: Maria Stuarda della tragedia di Friedrich Schiller, che ella interpreta divinamente anche il 10 agosto 1845 nella beneficiata in suo onore.
Adelaide è "Maria Stuarda"
Il suo primo incontro con la sfortunata regina scozzese è avvenuto, quattro anni prima, quando a 19 anni è divenuta primattrice assoluta della Compagnia di Mascherpa. Maria Stuarda è la sua prima regina: le manca un modello e perciò si documenta quanto può. Adelaide si persuade in quel momento “… di quale importanza fosse l’espressione del volto, il contegno ed il portamento…”, per presentarsi “… sulla scena sotto le vesti di quella regina”.
Da quella sera la regina scozzese la accompagna sul palcoscenico per ben 576 volte fino al definitivo addio alle scene avvenuto nel 1885 a New York.
L’abito è il suo personale biglietto da visita. Le incisioni restituiscono immagini decisamente romantiche e non molto filologiche, per un personaggio barocco come Maria Stuarda: il collare plissettato secentesco, la gorgiera a forma di ruota – chiamata “pietra di mulino” e nell’Ottocento Rendiglie – che tuttavia le appaiono sufficienti a garantire un’attenzione adeguata all’iconografia tradizionale. Un rosario intorno alla vita, enorme, in modo che lo possano vedere anche gli spettatori delle ultime file, e le ampie sopra maniche che esaltano la gestualità, devono rispondere alle esigenze sceniche più che alla verosimiglianza storica. Delle pantofole ricamate di Maria Stuarda, Adelaide va a lungo in cerca come di un agognato feticcio, senza mai riuscire a scovarlo.
Il riscatto della donna e dell'attore italiano
Il fortunato matrimonio con Giuliano Capranica, le permette in seguito di riempire la cesta di costumi eccezionali, per la ricerca antiquaria di cui sono il risultato e per il livello della manifattura.
Le sue ceste alla fine della lunga e fortunata carriera sono così colme di vesti regali, la cui progettazione è stata, in qualche caso, affidata a illustri pittori, disegnatori e incisori e la cui confezione è stata eseguita da sartorie parigine sempre più importanti, man mano che la fama e la fortuna crescevano.
Adelaide con la sua nuova teatralità rende concrete, visibili, palpabili le passioni delle sue eroine, da grande attrice contende ai soprani, alle ballerine e alle cavallerizze il posto nel cuore del pubblico, conquistando le platee d’Europa e d’America.
Le regine, le maghe, le profetesse che impersona, offrono un canone di sentimenti, un codice morale che per il pubblico risulta valido e operante.
Francesca da Rimini, Maria Stuarda, Mirra, Pia dei Tolomei, Medea, Lady Macbeth, Giuditta, Béatrix, Elisabetta regina d’Inghilterra, Cassandra, Lucrezia Borgia, Maria Antonietta … gli abiti rispettano il canone sartoriale ottocentesco che privilegia l’accoppiamento di gonne rotonde con sottogonna e un bustino del medesimo tessuto o associato ad esso, tramite passamanerie e ricami.
Sono figurini che dettano la moda a Parigi, dove Adelaide ha più a lungo vissuto, ma anche in Italia dove si cuciono “abbiti al Color della Ristori”.
E’ la rivincita di Adelaide: figlia d’arte, in scena ha recitato le “regine” e nella vita è entrata nell’intimità di quelle vere, si è gettata in costume di Mirra ai piedi di Isabella di Spagna per ottenere la grazia di un condannato a morte e ha partecipato all’azione diplomatica di Cavour a Parigi, a Vienna e a Pietroburgo.
E’ il riscatto della donna e quello dell’attore italiano, dopo secoli vissuti ai margini della Storia.
Bibliografia
Mostra dei costumi di Adelaide Ristori, “Donazione marchese Giuliano Capranica del Grillo” al Museo-Biblioteca del Teatro stabile di Genova. Catalogo, a cura di Sandro D’Amico, Genova, Ente manifestazioni genovesi, Teatro stabile di Genova, 1967.
T. Viziano, Il palcoscenico di Adelaide Ristori, repertorio, scenario e costumi di una Compagnia dell'Ottocento, Roma, Bulzoni, 2000.
P. Bignami, Storia del costume teatrale. Oggetti per esibirsi nello spettacolo e in società, Roma, Carocci, 2005, pp. 146-148.
A. Ristori, Ricordi e Studi artistici, a cura di Antonella Valoroso, Roma, Dino Audino Ed., 2005.