di Luca Purchiaroni
Il fenomeno delle bande musicali
La banda come la conosciamo noi oggi è un fenomeno che si origina agli inizi del XIX secolo, sulla scia delle formazioni musicali proprie delle truppe napoleoniche. Non che prima di allora i Comuni non si fossero mai dotate di un proprio organico per scandire le varie festività e solennità a suon di musica. Già durante l’epoca delle signorie, infatti, esistevano gruppi di suonatori di strumenti a fiato designati a svolgere una funzione civile oltre a quella militare per cui erano nati. E poi, lo stesso termine ha origini antichissime e pare che derivi dal gotico bandwa, che significa segno o insegna (da cui tutte le derivazioni come bandiera, bando, benda o banda intesa come striscia, segnale, ecc.). Tuttavia, è con l’evolversi degli strumenti impiegati e la creazione di un repertorio sempre più operistico che questo fenomeno ebbe quell’impulso decisivo per cui si allargò a macchia d’olio in tutto il mondo occidentale. Un successo dovuto anche al fatto che gli strumenti a fiato, come ben si sa, permettono più di altri l’esecuzione en plain air, per cui, senza bisogno di amplificazione, riescono a riempire le piazze e le vie cittadine con le loro festose sonorità, sottolineando i momenti più salienti della vita cittadina e riscuotendo così il consenso generale.
Un nome da cambiare
Si può ben immaginare quale fosse il motivo, o almeno una delle ragioni principali che, un bel giorno del 1922, spinsero la medievale città di Corneto ad abbandonare questo equivoco toponimo in favore del più antico e altisonante “Tarquinia”. A dispetto, bisogna dirlo, del ritroso Cardarelli, il quale ci tenne a precisare che “per avere un bel paio di corna non è necessario essere nato a Corneto”. Il poeta sapeva bene che cambiandogli il nome, la sua cittadina avrebbe perso un po’ della sua identità culturale, immortalata anche dall’Alighieri in un paio di canti dell’Inferno.
Una parte di colpa, dobbiamo dirlo, ce l’ha avuta sicuramente anche l’Opera: non fu forse Donizetti che giocò su questo nome attraverso il protagonista di una sua opera buffa, il celeberrimo Don Pasquale “da Corneto”?
È pur vero che precedenti letterari non mancavano, a partire dal Boccaccio quando muta in Cornieri il brigante Rinieri da Corneto descritto da Dante. “Credeano che da lor si fosse tolto/ per gire a Roma, e gito era a Corneto” recitava Ariosto nel suo Orlando furioso (XXVIII, 24) e “i cornieri si sparsero per tutto il mondo, chi edificò città come fu Corneto, chi prese un paese come Cornovaglia”, scriveva Anton Francesco Doni (“La zucca”, Venezia 1565, p. 49).
Ma il compositore bergamasco potrebbe aver preso spunto da qualcos’altro, o qualcun altro, nello scegliere così opportunamente i natali per il suo Don Pasquale. Forse lo dobbiamo proprio a uno sconosciuto compositore dell’Ottocento, una giovane promessa locale che incontrò sul suo cammino quel grande autore di capolavori operistici.
Donizetti e Corneto
Nel 1837 il talentuoso ventiduenne Francesco Capocci fu riconosciuto dal Comune di Corneto degno di andare a studiare Composizione al Conservatorio Reale di Napoli, con il proposito di ritornare istruito e in grado di ricoprire il posto di Maestro di Cappella al Duomo e di Direttore Musicale della nuova Accademia Filarmonica che si sarebbe costituita di lì a poco. Bisognava solo aspettare che cessasse il colera, che dal 17 aprile stava falcidiando la popolazione partenopea. Capocci partì sul finire di quell’anno, ma dovette aspettare sei mesi prima di ricevere la prima lezione da Donizetti, visto che l’epidemia aveva portato via tra gli altri anche la moglie del celebre compositore. Il destino sembrava essersi accanito contro quest’uomo, perché in quello stesso anno aveva già perso il padre, la madre e due figlie. Tuttavia, il maestro non si era perso d’animo e aveva subito ripreso a lavorare a pieno ritmo, insegnando e scrivendo nuove opere buffe di successo. Fu allora che egli si imbatté, forse per la prima volta, con un cornetano, dal quale sentì pronunciare il nome della sua città. Un nome che rimase così impresso nell’immaginario del maestro e che dovette suonare alle sue orecchie così buffo da meritarsi un’opera! La qual cosa accadde circa quattro anni dopo quel primo incontro.
Corneto conosce un “risorgimento” musicale
I precedenti di questo fortuito incontro musicale furono che a Corneto, nel 1836, si era costituita una Congregazione Musicale composta da rappresentanti del clero e del municipio, con lo scopo di bandire un concorso atto a individuare la figura più adatta a ricoprire l’incarico di Direttore della Cappella Musicale (una tradizione che già esisteva a Corneto ma che si era interrotta con l’arrivo delle truppe francesi) e di un’orchestra allo stesso tempo, utile anche al Teatro Comunale. Il primo aggiudicatario fu un certo Terenzio Geminiani il quale, dopo appena un anno di servizio, si assentò (più tardi si arruolerà tra i garibaldini) e mandò suo fratello a sostituirlo. Questi tardò ad arrivare e il Comune, spazientitosi, decise di insediare il giovane concittadino Francesco Capocci il quale, però, non tornò erudito prima del 1840 da Napoli. Oltre all’obbligo di far lezione gratuitamente ai giovani di canto e di violino, il Maestro di Cappella era tenuto, per contratto, a partecipare alle rappresentazioni teatrali che si tenevano nel palazzo comunale. Nel frattempo, la direzione della banda municipale, altra realtà musicale locale che si era costituita già da una ventina di anni ma non si era ancora stabilizzata, veniva assunta da un volontario, tale Salvatore Benigni, che riuscirà a ricomporla e a darle un assetto più affidabile.
I primi passi della Banda Musicale e dell’Accademia Filarmonica
Abbiamo visto quindi che la Banda Musicale di Corneto, l’embrione di quella che diventerà l’odierna Banda Setaccioli (dal nome del noto compositore tarquiniese Giacomo Setaccioli, 1868-1925), muove i primi passi nel 1816, come si evince da un documento comunale che attesta la custodia di due trombe. Essa però non raggiungerà piena autonomia ed efficienza che nel 1838, cioè venti anni dopo, proprio grazie al Benigni di cui sopra. Poco più tardi, e precisamente nel 1841, nascerà, sul modello di quella celeberrima di Bologna, anche l’Accademia Filo-armonica di Corneto, “per esercizio dei virtuosi e per onesto sollievo della Popolazione”, come recita la richiesta ufficiale del gonfaloniere Lodovico Benedetti. Da questo momento in poi le sorti della Banda, costituitasi in società, saranno intimamente legate con quelle della Cappella Musicale, poiché il maestro che verrà nominato per la direzione di quest’ultima si dedicherà parallelamente anche all’istruzione degli strumentisti.
Incontri letterari e… scontri musicali
Alla direzione del corpo bandistico si susseguirono negli anni vari maestri, i più importanti dei quali furono, dopo Francesco Capocci, i maestri Giovanni Dasti, Pompilio Antonelli e Francesco Mencarelli. Sotto la bacchetta di quest’ultimo, vale la pena ricordare che suonò le sue prime note, inizialmente sul genis (più conosciuto come flicorno contralto) e in seguito sul corno, nientemeno che il giovanissimo Vincenzo Cardarelli, destinato a diventare l’emblema letterario di Tarquinia. È lui che ci ricorda gli scontri tra le due bande rivali che si erano originate a Tarquinia per cause politiche, “la Rossa” e “la Nera”:
Allora il Municipio non aveva più una banda, ma la città ne aveva due, che s’azzuffavano financo nell’intonazione degli strumenti, suonando l’uno mezzo tono più su dell’altra, tanto per non correre il rischio di fare un concerto insieme.
Il Cav. Cesare De Cesaris, consigliere comunale nonché ex suonatore di flicorno, scriveva che queste due bande “erano capaci di suonare insieme d’amore e d’accordo dandosi il cambio come di affrontarsi a viso aperto usando gli strumenti come armi contundenti”.
Cardarelli vive in prima persona il triste epilogo di questa istituzione musicale, causato soprattutto dai grossi investimenti pubblici a favore del nascente acquedotto, che pure innumerevoli benefici ha portato, inaugurato nel 1903. Bisognerà aspettare nientemeno che il primo dopoguerra, per poter riascoltare le note di una banda per le vie di Tarquinia.
Un passato importante e una preziosa eredità
Abbiamo così avuto modo di vedere come, a parte alcuni periodi bui dovuti a epidemie, guerre, ristrettezze economiche e quant’altro, Tarquinia abbia un passato musicale di tutto rispetto. Essa può vantare la presenza sul proprio territorio di una banda tra le più antiche d’Italia ma anche di musicisti che hanno saputo dare un contributo importante alla crescita culturale dei suoi abitanti. Musicisti che per tradizione si è preferito trovare tra i propri concittadini o che, quando questo non era possibile, venivano accuratamente selezionati tramite bandi di concorso. Abbiamo visto, inoltre, come clero e municipio collaborassero gomito a gomito nel perseguire un unico scopo, che era quello di dotare la città di musicisti utili tanto nelle funzioni religiose quanto in quelle civili, ivi comprese le rappresentazioni teatrali.
Questo passato importante è testimoniato anche dai magnifici organi a canne custoditi nelle varie chiese della città, per lo più ottocenteschi. Maestri organari come la famiglia Morettini e Camillo Del Chiaro, tra i più rinomati della loro epoca, sono ancora oggi in grado di parlarci con la voce degli strumenti che ci hanno lasciato.
Ciò di cui oggi si sente di più la mancanza, invece, è senz’altro il teatro comunale, che non aveva nulla da invidiare ai più bei teatri settecenteschi italiani. Una volta andato in rovina, esso fu soppiantato dall’odierna sala consigliare e le opere liriche, o le commedie, non hanno più trovato una sede degna dove essere rappresentate fino a data odierna.
bibliografia
L. Purchiaroni, La Banda Setaccioli, due secoli di musica, cultura e tradizione a Tarquinia, Tipografia Lamberti, Tarquinia 2008.
P. Ceccarini, Istituzioni musicali cornetane dopo la Restaurazione (1815-1870), in “Bollettino STAS”, VIII (1979).
C. Santi-M. L. Santi, Breve storia del teatro del pubblico palazzo ovvero del teatro comunale di Tarquinia, in “Bollettino STAS”, XV (1986).