di Vincenzo Ruggiero Perrino
Introduzione
Il territorio sorano – intendendo con questo termine non soltanto la sola città di Sora, ma anche gli altri territori amministrati dal ducato – ebbe, al pari dei secoli precedenti, una vita teatrale e spettacolare, piuttosto intensa nel corso dell’Ottocento. A noi ne sono giunte diverse testimonianze, tanto in ambito religioso, quanto in ambito laico.
Nel 1818 a Napoli viene pubblicato un opuscolo contentente Poesie italiane e latine, che autori vari avevano voluto donare in segno di amicizia e stima, in occasione delle nozze tra Lodovico Martini signore della città di Atina e la nobil donzella Flavia Ferrari, figlia di un colonnello della città di Ceprano.
La città di Arpino fu sede di alcune interessanti manifestazioni, delle quali è rimasta traccia. Infatti, a Napoli sono conservati due opuscoli relativi al Collegio Tulliano, all’epoca retto dai Padri della Compagnia di Gesù.
Il primo, datato 1853, contiene la descrizione del Saggio che offrivano al pubblico gli alunni di grammatica media e superiore, una sorta di recital ante litteram. Il secondo, che risale invece al 1857, è il resoconto della cerimonia, con tanto di recite e declamazioni, per la Solemnis praemiorum distributio, svoltasi nel collegio alle calende di ottobre di quell’anno.
Altri due testimonia provengono invece dal Monastero di Sant’Andrea Apostolo. Il primo è un libretto stampato in occasione di una vestizione monacale. Infatti, analogamente ad altre cittadine della zona, anche in Arpino v’era un monastero benedettino, quello di S. Andrea Apostolo. L’8 maggio 1856 prese i voti, vestendo appunto l’abito delle figlie di S. Benedetto, la signorina Letizia Cossa, ed in quella occasione furono date delle pubbliche letture di versi, in una sorta di recital poetico ante litteram, che si possono leggere nel libricino stampato (e attualmente conservato) a Napoli quello stesso anno.
Il secondo è, dal canto suo, una vera chiccha teatrale. Infatti, presso l’archivio diocesano è conservato un quaderno (risalente all’incirca al 1870 – a dar credito alle immagini di prima e quarta di copertina che ritraggono Garibaldi nell’atto di accedere a Porta Pia) nel quale, alle prime pagine, è riporato il Dialogo per la festa della Revedenda Madre Superiora.
Redatto in una calligrafia ordinatissima, il quaderno riporta innanzitutto tutte le battute di questo dialogo, di gusto encomiastico (talora stucchevole per il lettore di oggi), suddivise tra cinque interlocutrici. Il dialogo è chiuso da un canto, che è un inno per festeggiare appunto la ricorrenza di festa in onore della Madre Superiora.
A questo segue un’altra scena, intitolata Nella reggia della carità, che ha per protagoniste un gruppo di educande – i cui nomi sono riportati con l’assegnazione dei rispettivi ruoli – in atto di accostarsi in dialogo con l’allegoria della carità. Questa seconda azione teatrale è chiusa da preghiere, esortazioni e inni di riconoscenza nei confronti della Madre Superiora.
Le brevi operette teatrali ritrovate nell’archivio e riferibili al monastero benedettino arpinate rappresentano un’importante testimonianza del fatto che, ancora sul finire del XIX sec., presso i cenobi benedettini le ricorrenze importanti erano festeggiate, tra l’altro, con rappresentazioni teatrali.
Qualcosa di analogo avveniva anche presso il sorano monastero di Santa Chiara. In verità, non si tratta di un’azione scenica nel senso proprio del termine, bensì della cerimonia liturgica di vestizione delle novizie che vestivano l’abito monacale.
Il manoscritto In benedictione et consacrazione virginum, che possiamo ascrivere ai primissimi anni dell’Ottocento, contiene una vera e propria “sceneggiatura” con tanto di “battute” da proclamare, di gesti e movimenti da compiere, e di canti da intonare. Le rubriche sono estremamente chiare e dettagliate, così come sui righi del tetragramma sono riportate tanto le note quanto le parole.
Un altro interessante documento proviene invece dalla Cattedrale sorana. Parliamo dell’Officium Assumptions B. M. V., che venne pubblicato quando era vescovo della città Agostino Colajanni, e quindi grosso modo nella prima decade dell’Ottocento. Il libretto fornisce tutte le indicazioni liturgiche, con canti e scambi di dialoghi tra celebranti e fedeli, in occasione della festa del quindici agosto.
Il Teatro di Corte di Alvito
Il teatro di corte di Alvito, nel corso dell’Ottocento, veniva utilizzato da attori amatoriali per recite più popolari in occasione del carnevale o di altre festività, finché nel 1839 esso venne messo all’asta e rilevato da un gruppo di cittadini. Poi, nel corso del Novecento, esso fu sede di una serie di messinscena di drammi sacri, tra i quali S. Valerio soldato martire (circa 1920).
Il Teatro comunale di Atina
Il Teatro comunale di Atina, ricavato dalla sala di giustizia dei Cantelmi fu oggetto di un primo restauro nel 1786, durante un periodo in cui sono registrate alcune rappresentazioni di melodrammi composti dall’atinate Giovanni Sabatini (stimato anche dal più famoso Metastasio). Nell’ottobre del 1895 andava in scena il dramma Marco di Galilea sotto Domiziano scritto da Salvatore Concialini e pubblicato qualche anno più tardi per interessamento di Pietro Vassalli a Caserta (1902). Il dramma era dedicato alla figura del martire, che la tradizione vuole essere il fondatore e primo vescovo della diocesi di Atina, elevato alla dignità porporale da San Pietro in persona. È interessante notare come l’autore non dovette trascurare un’attenta ricostruzione storica dell’Atina del tempo, indicandola come una delle città più antiche dell’Italia preromana, nella quale si adoravano divinità quali Giano e Saturno, il cui culto era precedente a quello di Giove e degli altri dei pagani. A parte l’opera della Filodrammatica cittadina, attiva almeno fino al 1939 (l’ultima opera data sul palcoscenico di Atina fu la tragedia Borghese e Sparadozzi), il teatro fu oggetto di numerose esibizioni anche di compagnie di altre parti d’Italia: anche Eduardo Scarpetta vi recitò. Poi, fu nuovamente restaurato nel 1912, per interessamento di Giuseppe Visocchi, che fece eseguire lavori di abbellimento e ristrutturazione.
Il Teatro comunale di Cassino
Al 1863 risale l’idea di edificare un Teatro a Cassino: in quell’anno il Consiglio Comunale, ottenuta la cessione di un terreno dall’allora abate benedettino Simplicio Pappalettere, deliberò di costruire un teatro nel “giardino di Montecassino”, ossia dove iniziano i fabbricati dell’Abbazia. Tuttavia, a quella prima ubicazione ne fu preferita una meno decentrata, nei pressi del canale della Candelera (dove attualmente sorge il fabbricato dell’ex hotel Excelsior), per poter aggregare alla struttura del teatro, il palazzo comunale ed altri uffici pubblici.
Ottenuta l’approvazione della deputazione provinciale di Caserta nel febbraio del 1865, il progetto venne affidato agli architetti Antonio Bellino ed Oreste Toscani. Tuttavia, se il progetto del teatro sorano ebbe difficoltà soprattutto legate alle opposizioni dei confinanti ai quali si era reso necessario espropriare alcuni appezzamenti di terreno, a Cassino la vicenda incontrò ostacoli tanto di natura “geologica”, atteso che nell’esecuzione delle fondamenta erano comparse delle sorgenti per cui si rendeva necessario incanalarle, quanto di natura giuridica, considerato che i venditori del terreno su cui edificare, avevano posto condizioni di vendita particolarmente vessatorie.
La vicenda, che arrivò a coinvolgere il Prefetto e innescò contenziosi che durarono anni, si risolse nel 1866, allorché l’amministrazione retta dal sindaco Mascioli deliberò lo spostamento del sito di costruzione in piazza Regina Margherita, presso gli stabili della dismessa stazione ferroviaria, dove poi il teatro è stato effettivamente realizzato, divenendo, tra il 1875 al 1943, il centro propulsore della cultura cassinate non solo per gli spettacoli, che erano sempre di alta qualità, ma anche per il suo utilizzo per frequenti conferenze e convegni.
Profilo del teatro a Sora nell’Ottocento e spoglio dell’Archivio comunale
Lo spoglio dei documenti dell’Archivio comunale di Sora ha restituito un’interessante documentazione inerente la vita teatrale e musicale della città. I materiali sono sostanzialmente divisi – invero senza un particolare ordine archivistico, nemmeno sotto il profilo cronologico – in quattro faldoni del periodo postunitario, oltre ad alcune deliberazioni, risalenti al periodo preunitario.
Questi (pochi, ma interessanti) documenti del periodo precedente l’unificazione d’Italia, sono tre deliberazioni del Decurionato della città.
La prima è datata 25 agosto 1844, ed è relativa all’approvazione delle riparazioni da apportare ai locali di proprietà del Comune adibiti a Teatro. Il Consiglio municipale approvò la perizia effettuata dall’architetto Tommaso Orsi sugli “accomodi” da apportare al locale di proprietà del Comune adibito a teatro, considerando che «vi è grandissimo desiderio presso il pubblico di vedere delle comiche rappresentazioni queste però per effetto del cattivo stato del teatro non si possono eseguire». Il “depauperamento” del locale derivava dal fatto che il teatro non era ormai utilizzato da anni, e inoltre era stato danneggiato durante una recente inondazione causata dal fiume Liri.
La seconda deliberazione è del 15 febbraio 1851. Con questo provvedimento veniva approvata la cessione del locale adibito a teatro, già facente parte del Collegio dei gesuiti, ai fini della ricostituzione del Collegio stesso per l’istituzione di una scuola gesuitica.
Infine, una terza deliberazione, risalente all’8 maggio 1855, riguarda l’approvazione delle spese per lo smantellamento delle strutture e delle suppellettili all’interno del locale adibito a teatro ceduto al Collegio dei gesuiti.
Più nutrita è la documentazione afferente al periodo post-unitario, che, come suddetto, è raggruppata in quattro faldoni, che presentano caratteristiche invero diseguali sia tra di loro, che all’interno delle singole unità archivistiche.
Gli atti ci raccontano l’intenso iter burocratico che fu seguito dal Comune di Sora nella seconda metà dell’Ottocento per la realizzazione di un Teatro comunale nei locali del vecchio ospedale (probabilmente lo stabile fu grandemente rimaneggiato a seguito del terremoto del 1915, e oggi è sede di una casa privata e di attività commerciali). Il progetto fu ideato e realizzato dall’ingegner Vincenzo Valente, che fu padre del famoso Antonio, architetto che, nel corso dei primi decenni del Novecento, avrebbe rivoluzionato non solo l’architettura civile, ma anche la scenotecnica teatrale e cinematografica. L’ideazione e progettazione del teatro fu preceduta da almeno un ventennio di dibattito. Punto di partenza può essere una lettera – datata 2 settembre 1865 – con la quale l’allora sindaco Tronconi replicava ad una comunicazione pervenuta dalla Prefettura.
Dunque, nel 1865, ad eccezione del piccolo Teatro privato (che altro non era che l’antico Teatro comunale ceduto nel 1851 ai Gesuiti), non vi erano sale idonee per lo svolgimento di opere drammatiche. Ed infatti, altra corrispondenza dimostra indirettamente lo scarso interesse che le amministrazioni comunali dell’epoca, per almeno un ventennio, ebbero per il teatro.
Solo nel 1885 troviamo una relazione, a firma dell’ing. Vincenzo Valente, contenente un progetto di “Teatro con Casino” (in realtà l’idea primitiva risale almeno al dicembre del 1881, tanto che esiste una precedente relazione preliminare, sempre del Valente, datata 1882). Il progettista apre la sua relazione, sottolineando l’importanza e l’utilità di un teatro per il decoro di una città, tanto che “la Giurisprudenza non ha esitato a sanzionare il principio che tali opere sien dichiarate di pubblica utilità, da potersi compiere anche con l’occupazione della proprietà privata, cessando il dritto individuale ove incomincia l’interesse della società”.
La città di Sora era venuta alla determinazione di fornire ai cittadini, insieme agli altri mezzi di istruzione, anche quello più pratico e conveniente del Teatro. La località era un vecchio fabbricato, addetto in altri tempi a pubblico Ospedale, ed attualmente inutilizzato. Lo stabile era di proprietà enfiteutica dell’Amministrazione Comunale, che pagava 200 lire annue alla Congrega di Carità, e si trovava “all’esterno della strada Volsci, prospiciente alla piazza Indipendenza, ed isolato a due lati dai vicoli Annonj e Renzi che lo fiancheggiano”. A ridosso del fabbricato c’erano alcuni vani che facevano corpo col fabbricato stesso, ed erano di proprietà del sig. Gaetano Renzi, e che, a detta dell’ingegnere, “fa d’uopo espropriare unitamente al piccolo cortiletto dello stesso”. L’intero fabbricato, secondo il progetto, doveva essere diviso in due parti, delle quali l’anteriore era per uso di Casino e sala di aspetto e di concerto ed altri usi relativi; la parte posteriore per il Teatro. Continua la relazione: “Si sono progettati, oltre la platea, due ordini di palchi, più un loggione per le classi meno agiate […]. Il teatro ha una capacità di 380 spettatori circa”. La somma dei lavori da appaltare, derivante dal computo metrico e dalla stima che Valente diligentemente allega al progetto, era di 15400 lire, alla quale bisognava aggiungere i costi per l’esproprio, giungendo così ad un totale di circa 22.000 lire, ovvero circa 150.000 € di oggi. Sui tempi di cantiere l’ingegnere scrive: “L’opera suddetta dovrà compiersi nel termine di mesi dieci dal giorno dell’aggiudicazione del relativo appalto, giusta il Capitolato d’appalto allegato al progetto”. Il progetto fu approvato il 2 febbraio 1885 con delibera consiliare, a cui fece seguito la dichiarazione di pubblica utilità dei fabbricati adiacenti da parte della Giunta. La Prefettura, sentito il Genio civile (con nota del 17 marzo 1885) indicò la necessitò di fare delle modifiche al progetto, che il Consiglio comunale votò in data 2 febbraio 1885. Il progetto ritorna sul banco di lavoro dell’architetto Valente, che poche settimane dopo, con una missiva dell’aprile del 1885, trasmette il progetto corretto secondo le indicazioni del genio civile. Purtroppo, i vicini proprietari – in particolar modo il Gaetano Renzi – si opposero, proponendo un reclamo avverso la dichiarazione di P.U. I reclami vennero rigettati con deliberazione del consiglio comunale del 17 agosto 1886 (cioè oltre un anno dopo). Inoltre, il 25 novembre 1886, il Consiglio concesse alla Giunta il proprio assenso per proporre un ricorso al Re, contro le decisioni ministeriali e per insistere per la regolarità della dichiarazione di pubblica utilità. Il Comune può così provvedere, nel maggio del 1886 a pubblicare sul foglio degli annunci legali Provincia di terra di lavoro. Il Sindaco scrive al direttore di quell’antica gazzetta di annunci, e l’avviso viene finalmente pubblicato. Tuttavia, nel novembre di quello stesso anno arriva il secco diniego prefettizio alla dichiarazione di pubblica utilità: i vicini espropiandi hanno così il via libera per fare ricorso al re, tanto che il 25 novembre 1886 il consiglio comunale si riunisce per decidere il da farsi sul ricorso (del quale è conservata un’ultima corrispondenza con il Renzi della fine del 1886).
Altra documentazione si riferisce alla vita della Banda musicale: corrispondenze di carattere amministrativo con vari comuni presso i quali la banda si è esibita (municipi viciniori e con la città di Torino che, nel giugno 1881 fece un festival musicale internazionale, Siena, Grosseto), domande presentate dagli aspiranti al posto di direttore della civica banca, e gli atti amministrativi inerenti la nomina del vincitore.
Approfondimenti
- Sora, 1819. Mantenimento dell’ordine nel Teatro
- Sora, 1835. La Banda musicale va in trasferta
- Sora, 1844. Riparazioni del locale adibito a Teatro comunale
- Sora, 1851. Cessione del locale adibito a Teatro comunale al Collegio dei Gesuiti
- Sora, 1855. Smantellamento delle strutture del Teatro nel locale ceduto al Collegio dei Gesuiti.
- Sora, 1861 - 1886. Teatro del Liri: rappresentazioni teatrali
- Sora, 1870. Civico concerto
- Sora, 1885-1886. Mappe e disegni del nuovo Teatro comunale
- Sora, 1885-1886. Progetto di costruzione del Teatro comunale