Renato Castelfranchi nasce a Ferrara il 6 novembre 1878 da Michelangelo e Emma Camis.
Nel 1906 sposa Cleopatra Piccinini. Di professione è professore di chimica.
Per motivi di pubblica sicurezza, il 16 maggio 1901 viene fermato dai Carabinieri di Bologna dopo una conferenza sulle condizioni dei contadini.
Negli anni successivi ricopre la carica di segretario della Camera del Lavoro di Bologna e di redattore del giornale socialista “La Scintilla”.
Tutto questo fino al 1911, anno in cui viene fermato per cattiva condotta. Non si hanno più sue notizie per i dodici anni successivi, fino al 1923 quando il questore chiede notizie sulla sua condotta, sulle cariche ricoperte e tendenze politiche.
Risulta residente a Bologna, militante e segretario del Fascio di Pesaro e Macerata. Viene riconosciuto ormai come fascista convinto, tanto che l’iscrizione al partito risale al 1920.
Nel 1938 viene autorizzata la sua radiazione dallo schedario politico, perché non più riconosciuto come soggetto pericoloso.
A seguito delle leggi razziali emanate nello stesso anno, Castelfranchi fa richiesta di discriminazione.
Da convinto fascista si converte nuovamente agli ideali socialisti. Nell'agosto del 1940 partecipa ad alcune riunioni di “sovversivi”.
Nel settembre dello stesso anno, a seguito dell’ammonizione ricevuta per aver partecipato a riunioni politiche non autorizzate nella calzoleria di tal Giacometti Giuseppe, il Ministero dell’Interno dispone il suo internamento nel comune di Apecchio in provincia di Pesaro.
Successivamente, nel mese di novembre, invia una lettera al Prefetto di Ferrara, nella quale chiede di poter ritornare nella sua città natale. La richiesta non viene accettata.
Nel 1941 è lo stesso parroco di Apecchio a richiedere la revoca del provvedimento preso nei confronti di Renato, ma neanche questa volta la richiesta viene accettata.
Finalmente nel 1943 viene disposta la sua liberazione e ritorna a Ferrara, prendendo alloggio in Via Cortebella 16. Il 15 novembre viene arrestato, portato nel carcere di Ferrara, poi ricoverato all’Arcispedale S. Anna, poi di nuovo trasferito al Carcere di Ferrara.
Durante l’arresto scrive una lettera, dichiarando di essersi convertito al cattolicesimo e esprimendo il timore di una possibile deportazione in un campo di concentramento.
Tra le carte relative a Castelfranchi si trova un verbale di Questura datato 2 febbraio 1944, da cui risulta il sequestro presso la Sinagoga di Via Mazzini di un orologio d’argento.
Il 12 febbraio viene inviato nel campo di concentramento di Fossoli di Carpi.
Il 22 febbraio da Fossoli viene inviato ad Auschwitz. Muore all'arrivo il 26 febbraio.