Va innanzitutto ricordato che, a partire dall'unità d'Italia fino alle leggi antiebraiche del 1938, gli ebrei italiani hanno goduto degli stessi privilegi dei loro concittadini italiani, e sono stati attivi in tutti i settori della vita professionale e politica del paese.
Ciononostante correnti di antisemitismo si diffusero in Italia come nel resto d'Europa nella seconda metà dell'ottocento, strumentalmente sfruttate in certi ambienti cattolici e da organizzazioni nazionaliste per mobilitare le masse. I pregiudizi, gli stereotipi e le false accuse religiose e politiche vengono diffusi tramite libri, vignette e articoli di giornali; per la prima volta volta vengono pubblicate in Italia le traduzioni di violenti testi antisemiti.
Alla vigilia dell'emanazione dei Provvedimenti per la difesa della razza italiana del 17 novembre 1938 uscì – dall'agosto 1938 al giugno 1943 con cadenza quindicinale- la rivista diretta da T. Interlandi “La difesa della razza”. Attraverso i suoi articoli (nel primo numero veniva presentato il Manifesto degli scienziati razzisti) e le sue eloquenti copertine, essa avrebbe indicato negli ebrei non solo un popolo di razza inferiore che, come tale, andava dominato, ma anche un subdolo nemico dal quale era necessario difendersi.
Aumentato il controllo sulle comunità ebraiche, e ridotta progressivamente la presenza degli ebrei nelle sfere dirigenti, dopo aver elaborato una definizione giuridica di "ebreo", il governo fascista introdusse una legislazione antiebraica e la Direzione generale per la demografia e la razza (DEMORAZZA).
Secondo l'impostazione biologica del fascismo si è ebrei attraverso il sangue, perciò il caso di figli di matrimoni misti è un argomento delicato: infatti la legge principale vieta agli ebrei di contrarre matrimoni con italiani non-ebrei.
Inoltre agli ebrei è proibito di possedere aziende di rilievo per la difesa nazionale. La normativa sul lavoro dispone la loro cancellazione in determinate professioni; viene sospesa la pubblicazione di tutta la stampa ebraica.
Gli ebrei sono allontanati da tutti i settori pubblici e privati: l'esercito, gli impieghi statali, gran parte dei posti di lavoro privati. Si vuole cancellare la loro presenza nella vita nazionale, e il loro contributo deve sparire in ogni sua manifestazione.
Per la grande maggioranza degli ebrei in Italia le leggi costituirono un colpo improvviso. Circa seimila ebrei emigrarono verso la Palestina , Stati Uniti e Sud America, scelta difficile per motivi economici ed organizzativi.
La promulgazione e l'applicazione della legislazione antisemita vennero accolte dalla maggior parte degli italiani con indifferenza e acquiescenza. Gli effetti della legislazione antiebraica si manifestarono anche nei comportamenti di molti non-ebrei che voltarono le spalle ad amici e colleghi. In Italia pochi capirono la gravità della situazione.
Nel giugno del 1940, in concomitanza con l'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale, tutti gli ebrei stranieri e gli ebrei italiani ritenuti "pericolosi nelle contingenze belliche" vennero internati; nel frattempo in ogni regione d'Italia erano stati allestiti campi di concentramento, che, gestiti dal Ministero degli Interni, dovevano essere situati in luoghi isolati, lontano da porti, strade importanti e linee ferroviarie. In questi edifici dismessi, ora riutilizzati allo scopo di isolare dal mondo quegli individui, il freddo, il vitto insufficiente, la convivenza forzata, la scarsità di acqua ed energia elettrica, misero a dura prova la resistenza fisica e psicologica degli internati.
La svolta della persecuzione in Italia avvenne con l'8 settembre 1943, quando- diffusa la notizia dell'armistizio tra il Regno d'Italia e gli Alleati- il territorio italiano si trovò diviso in due parti, separate dalla linea mobile del fronte. Nelle regioni del sud, controllate dagli Alleati e dal Regno d'Italia, nazisti e fascisti non poterono adottare nuove misure antiebraiche e gli ebrei che si trovavano ancora in stato di internamento vennero definitivamente liberati. Nelle regioni centro-settentrionali, invece, cominciò in quei giorni la “persecuzione delle vite”.
Il 23 settembre 1943 Mussolini formò il nuovo Stato fascista repubblicano e riprese la guerra al fianco della Germania nazista. Nel "Manifesto di Verona" al punto 7 si legge: "gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica". Alcuni perseguitati riuscirono a passare la linea del fronte raggiungendo il meridione, o a entrare clandestinamente in Svizzera, ottenendo poi il permesso di restarvi. Ma per quelli che al confine svizzero furono respinti, come per tutti quelli che non trovarono i mezzi per scappare, in tempi diversi, a seconda delle varie province, iniziarono arresti sistematici.
Il 30 novembre 1943 il Ministero dell'Interno Buffarini Guidi dispone l'arresto di tutti gli ebrei, il loro internamento in campi, e il sequestro dei loro beni.
A tutti i Capi delle Province Libere
Nr. 5. Comunicasi, per la immediata esecuzione, la seguente ordinanza di Polizia che dovrà essere applicata in tutto il territorio di codesta Provincia:
1. Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni, mobili ed immobili, debbono essere sottoposti ad immediato sequestro, in attesa di essere confiscati nell'interesse della Repubblica Sociale Italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche.
2. Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazione delle leggi razziali italiane vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi di polizia.
Siano per intanto concentrati gli ebrei in campi di concentramento provinciali in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati.
(Archivio Centrale dello Stato-Roma, RSI, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gabinetto b. 57, cat. 3.2.2, f. 2012)
Gli arresti non furono particolarmente problematici dal momento che nel quinquennio 1938-43 gli ebrei erano stati ripetutamente censiti e schedati e che, anche dopo il 25 luglio '43, nonostante l'avvicendamento al governo di Badoglio, i Comuni avevano continuato a segnalare nascite, morti e cambiamenti di residenza della popolazione “di razza ebraica”.
Secondo i dati forniti da Michele Sarfatti, le persone di 'razza ebraica' da quel momento assoggettate alla persecuzione furono circa 43.000, suddivise in 8000 stranieri e in forse 35000.