Seminare tra le vecchie pagine. Massimo Baucia

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Siede al tavolo accanto a me, alla mia sinistra, Zita Zanardi dell'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, che è anche la curatrice del volume che costituisce il fulcro di questa serie di incontri. E’ questo splendido volume che vi mostro e del quale vi raccomando caldamente la lettura – ed è questa intrapresa certamente piacevole, ma impegnativa per la quantità degli spunti che suggerisce e per la qualità e quantità di informazioni che offre –, magari prendendo  in prestito le copie che sono a disposizione in biblioteca o acquistandolo. Il volume si intitola Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna: antologia di antichi testi (Il volume è già disponibile nella versione web qui, nella sezione intitolata "Il progetto ispiratore").

Per non farvi attendere troppo e non mettere così a troppo dura prova la vostra curiosità vi presento, alla mia destra, il professore Michele Antonio Stanca, ex-direttore del Centro di ricerca per la genomica e la postgenomica animale e vegetale di Fiorenzuola d’Arda e docente dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. L'incontro di oggi si sostiene essenzialmente sulle impressioni di lettura che il professor Stanca ha ricavato dal volume e che condividerà con noi. Egli saprà sicuramente guidarci alla scoperta delle notizie più curiose e interessanti che il patrimonio documentario proposto contiene e metterne in luce la portata sul piano della storia dell’agricoltura e dell’alimentazione.

Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna. Antologia di antichi testi, Modena 2015, p. 173. L'immagine dell'uva è tratta dalla Pomona italiana di Giorgio Gallesio posseduta dalla Biblioteca Passerini LandiHo già detto che si tratta di un volume molto ricco che si propone come antologia di antichi testi, i quali non solo hanno come oggetto gli argomenti annunciati nel titolo in relazione all’area geografica indicata, cioè l'Emilia-Romagna, ma che pure hanno circolato e tuttora sono conservati nelle biblioteche di quest’area. Per la realizzazione dell’opera sono state coinvolte le biblioteche dell'Emilia-Romagna sia quelle pubbliche sia quelle delle istituzioni private, affinché emergessero dalle loro raccolte librarie i materiali utili a delineare la storia del tema trattato. Sono più che certo che non si sia trattato di una impresa facile, complicata inoltre dal fatto che era necessario anche armonizzare le peculiarità di ciascuna area territoriale (Parma non è Piacenza, Faenza non è Ravenna). Era prevedibile che testi specifici per singole realtà fossero presenti in alcune biblioteche e assenti in altre, ma anche che in ciascuna di esse potesse reperirsi un gruppo di opere di carattere più generale, trasversale cioè alle realtà locali. Alla base del volume, sta quindi non soltanto la difficoltà della ricerca, ma anche quella derivante dalla necessità di cogliere e di evidenziare le peculiarità di ciascun territorio e di ciascuna biblioteca e, insieme, i tratti comuni del tutto. Occorreva insomma tratteggiare, o almeno non appiattire, anche la fisionomia del posseduto di ciascuna biblioteca, ove la presenza di questa o quell’opera può assumere valenze assolutamente diverse a seconda della provenienza. Basta pensare, per rendersene conto, a quali conclusioni diversissime si possano trarre dal considerare la presenza di un consunto volumetto in 8° sulla coltivazione dell’orto, e magari con rendiconti della resa stagionale scarabocchiati negli spazi lasciati liberi dalla stampa, proveniente da un fondo conventuale o di un sontuoso libro di scalcheria, impreziosito dal ritratto dell’autore inciso nell’antiporta e da tavole raffiguranti le portate dei banchetti, con legatura in marocchino e impressioni in oro sui piatti, giunto in Biblioteca nel contesto della libreria di un raffinato collezionista.

Prima di passare la parola al professor Stanca, indugio  ancora per illustrare quale sia stata la mia reazione personale alla lettura del libro e quali conseguenze ne siano derivate.

Quando compare un libro del genere, l'impulso irrefrenabile del bibliotecario (o almeno di quella particolare declinazione della figura del bibliotecario che è il bibliotecario che si occupa  dei fondi antichi e, certamente, il mio) è quello di ricorrere immediatamente al catalogo per accertare quali opere vi siano in biblioteca tra quelle comprese nel volume. Alla base di questo comportamento sta l'idea – che è poi idea non particolarmene acuta né altrimenti stravagante –, che se quelle opere sono come pietre miliari grazie alle quali la storia di un sapere può essere ricapitolata, riscontrare la loro presenza in biblioteca è ricognizione qualificante di un settore del patrimonio: è ovvio che quanto è maggiore il numero di quei libri, tanto più si può concludere in ordine alla ricchezza del patrimonio e alla completezza di documentazione in quel campo. E, davvero, il ragionare della copertura del patrimonio della biblioteca in un certo settore non è cosa che si possa o si debba verificare soltanto per la collezione moderna. Certo è importante – e ne va della efficacia dell’offerta ed è leva gestionale per orientare gli acquisti, nonché indicatore della qualità del servizio – sapere, ad esempio, se il lettore possa trovare tra i libri moderni destinati alla pubblica lettura quelle opere che rappresentano adeguatamente il panorama editoriale contemporaneo nei settori delle letterature italiana e straniere, oppure se l’aggiornamento e l’ampiezza del posseduto relativo alle opere scientifiche sia congruo alle esigenze di una informazione di base o avanzata, a seconda degli obiettivi che la biblioteca si propone. Ma è altrettanto vero che un riscontro analogo è utilissimo anche per il patrimonio antico. Non sarebbe strano neppure se da questo accertamento, anche per i fondi antichi venissero indicazioni per gli acquisti. Ma la realtà è diversa: oggi, almeno per biblioteche come la nostra, acquistare per incrementare il patrimonio antico è di fatto un miraggio.

La conseguenza più importante di una simile verifica è, allora, almeno l’occasione, che per questa via si offre, di ragionare sul significato della presenza / assenza di alcune di quelle opere, e particolarmente sulla loro appartenenza alle diverse raccolte librarie confluite poi in biblioteca; è l’opportunità di capire, considerandoli ad uno ad uno, come e perché quei libri (e magari non altri) abbiano circolato sul territorio, chi ne siano stati i proprietari e i lettori, quali siano state le ragioni per cui sono stati comprati e letti e sono giunti a noi, e del perché altri ancora, che pure dovrebbero esserci, non ci sono più. Da qui l’esposizione dei nostri esemplari delle opere comprese nel volume.

La sommatoria dei risultati di più indagini di questo tipo porta ad una conoscenza approfondita del patrimonio. Talora il punto di partenza è una suggestione esterna, proprio come il volume al centro delle iniziative in corso – e ben vengano dunque libri stimolanti come questo –, talaltra si tratta di progetti di indagine avviati autonomamente. Così è stato per la nostra mostra sui trattati di architettura nel 20041 e per le successive: quella del 2005 sulla complessa interferenza degli studi di anatomia sulla raffigurazione del corpo umano nell’arte e del sostegno offerto alle pubblicazioni anatomiche dall’attività di disegnatori e incisori;2 quella del 2006 sui libri di botanica e sull’uso terapeutico delle piante;3 e l’altra ancora del 2008 su atlanti e libri di viaggio.4

Semi di cartaLa stessa mostra «Semi di carta» dà voce all’ingentissimo e notevolissimo materiale documentario (pubblicazioni monografiche e periodiche) del Consorzio Agrario, della Federconsorzi, della Cattedra ambulante di agricoltura, perché raccontino quella storia – come si diceva – del progresso e del consolidarsi di buone e innovative pratiche agrarie e della loro valenza per l’assetto produttivo ed economico del nostro territorio di cui sono insieme strumento ed espressione. E’ dalla storia, che grazie ad essi si scrive, che vengono illuminati e possono essere compresi. A questa mostra si è voluto affidare il compito di rappresentare Piacenza, la sua biblioteca ed altre realtà operanti nel settore, nell’anno dell’Expo. Era stata concepita, stante la quantità del materiale documentario disponibile, come suscettibile di aggiornamenti nel corso dei mesi di apertura, come è accaduto proprio in questi giorni con l’inserzione di nuovi elementi per l'allestimento del corridoio a piano terra. Per la verità alla gastronomia e alla culinaria non si era invece pensato, ma ora, la suggestione che è venuta dal libro voluto dall’Ibacn che la collega Zita Zanardi ha curato, ci ha dato l’occasione e il piacere di arricchirla anche con una sezione su questo argomento, allestita nella zona espositiva del Salone monumentale.

Si saldano tuttavia così, a ben vedere, anche due approcci alle tematiche di Expo, il secondo dei quali a Piacenza e per Piacenza ha pure avuto una recente manifestazione. Sarebbe ingiusto tacere il volume La cucina a Stefano Pronti, La cucina a Piacenza e in Italia nei secoli, Piacenza 2015Piacenza e in Italia nei secoli,5 il cui autore – il dottor Stefano Pronti anch’egli oggi con noi e che cordialmente saluto – prosegue così, tra l’altro, il filone di studi sulle eccellenze piacentine.6 Già questo volume aveva potuto avvalersi e presentare alcuni dei manoscritti e delle opere antiche della nostra Biblioteca, oltre a documenti assai interessanti tratti dagli archivi familiari della nobiltà piacentina. Il differente punto di vista dei due volumi giustifica ampiamente il riferimento alle stesse opere e pure gli scostamenti. Resta a dirsi che i libri esposti nella sezione di opere antiche ora allestita sono talora presenti nell’uno e nell’altro e che, per riprendere il filo del discorso seguito sin qui, il nostro patrimonio risulta, dal confronto, assai ricco anche in questo settore, come negli altri esplorati precedentemente. Dopo quest’ultimo evento ora conosciamo meglio un altro centinaio di libri del nostro Fondo antico per averli esaminati da vicino e perché ne è stato riconosciuto il significato e l’importanza nel contesto di un più vasto insieme.

Una mia preziosa collaboratrice mi ammonisce spesso: «Non annoiare con le tue puntualizzazioni sul perché e sul come: interessano poco e comunque a pochi. Il modo migliore per valorizzare i libri antichi è far sì che il maggior numero di persone possa sperimentarne direttamente il fascino e la bellezza. La gente percepisce l’importanza del libro antico o dei libri del Fondo antico della nostra biblioteca quando può vedere i bei libri che abbiamo». Anche per motivi extraprofessionali, quasi sempre sono renitente ad accettare questo punto di vista, ma guardando alle mie spalle, verso le vetrine, oggi posso pensare che per molti di essi ciò è comunque vero. E mi convinco che è ciò che certamente penseranno, prima di ogni altra considerazione, coloro che vedranno le immagini che corredano il volume realizzato dall’Ibacn. Alcune delle immagini pubblicate, come alcune di quelle del volume del dottor Pronti, sono di nostri libri, altre riproducono pagine di esemplari di altre biblioteche, ma per il risultato finale in fondo ciò conta poco. Giochiamo tutti nella stessa squadra.

  


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