Per avere una visione d'insieme più completa a proposito dei documenti contenenti testi di poesia di invettiva, si è deciso di analizzare, con il supporto di alcuni grafici, sia i bersagli più colpiti all'interno dei componimenti, sia i modelli letterari più vivi nella memoria (volontaria o involontaria) degli autori. Inoltre, è sembrato utile osservare più approfonditamente la collocazione diacronica e diatopica dei pezzi presi in analisi.
Bersagli delle Invettive
I bersagli preferiti dagli autori del Fondo Guerra sono in primo luogo i sovrani di Germania e Austria. Al primo, Guglielmo II, si attribuisce la colpa di aver dato inizio alle ostilità in Europa. Egli è presentato come un tiranno che, spinto da mire espansionistiche e "mania d'aggressione", sfrutta il proprio stesso popolo per il proprio tornaconto personale, osando persino affermare di voler agire in nome di Dio. Le invettive a lui rivolte sono violente e aggressive.
Quelle che si scagliano contro Francesco Giuseppe, Imperatore di Austria-Ungheria, sono invece quasi sempre più ironiche e leggere. La sua rappresentazione, nei componimenti analizzati, è più vicina a una grottesca caricatura. Egli infatti è spesso sarcasticamente appellato "Cecco Beppe" o "Cecco Peppe" e viene schernita la sua ossessione per l'esecuzione dei nemici politici tramite impiccagione.
Le invettive contro la guerra in sé sono meno numerose e hanno un tono amaro e dimesso. Gli autori pacifisti esprimono sdegno nei confronti di una guerra vista come l'interruzione di un periodo di progresso sociale e scientifico e come il ritorno dell'uomo civile a uno stato ferino.
Altri bersagli, meno presenti nel complesso dei documenti, sono gli stessi pacifisti, gli imboscati, le altre potenze che hanno preso parte al conflitto (ad esempio, la Turchia).
Riferimenti Letterari
I riferimenti letterari riscontrabili all'interno dei componimenti sono molteplici.
I più frequenti sono a Carducci, da cui si riprendono principalmente gli schemi metrici (della "metrica barbara"), ma i cui versi sono anche scelti da alcuni autori come epigrafi delle proprie opere.
Della produzione manzoniana, i testi usati come modello dai poeti del Fondo Guerra, sono quasi esclusivamente l'ode Marzo 1821 e il coro dell'atto II del Conte di Carmagnola ("S'ode a destra uno squillo di tromba"). Notevolmente influenzato da Manzoni sembra essere, in particolare, Celso Gessi, autore de La Gran Guerra Europea.
Leopardi è un punto di riferimento soprattutto per quanto riguarda il lessico, come si può notare ne L'orrenda impresa di Giuseppe Crevin, mentre Dante, oltre ad essere spesso portato in scena come personaggio all'interno dei componimenti, è imitato dal punto di vista metrico con la terzina a rima incatenata.
Tra i modelli latini si trovano Ennio, Cicerone, Virgilio, Orazio, Giovenale e Marziale, mentre tra gli altri italiani si ricordano Cecco Angiolieri, Vincenzo Monti, Giuseppe Giusti e Trilussa.
Documenti nello Spazio
I testi di invettiva presenti nel Fondo Guerra della Biblioteca Universitaria Alessandrina vengono stampati uniformemente a sud e a nord della penisola italiana, da Palermo a Pavia; il centro più prolifico è, forse prevedibilmente, la capitale Roma, seguita da Palermo e Milano. Un unicum è rappresentato dall’ “Inno dei Soldati”, perché è un manoscritto, firmato dal Prof. Catello de Vivo, Direttore della Scuola Tecnica di Teramo. In due documenti, infine, non risulta indicato il luogo di stampa né di edizione.
Documenti nel Tempo
Cronologicamente i documenti si distribuiscono in maniera quasi omogenea durante le varie fasi del conflitto, con una leggera intensificazione durante il primo e l’ultimo anno (1915 e 1918) e solo due pubblicazioni dopo il termine della guerra. Un solo documento si inserisce in un momento successivo allo scoppio delle ostilità in Europa, ma precedente alla partecipazione dell’Italia, forse inserendosi proprio nell’acceso dibattito tra interventisti e neutralisti di quei mesi: si tratta infatti de La Gran Mattazione Umana, che è uno scritto di impronta pacifista. Il libello è infatti pubblicato nel 1915, ma scritto “nell’anno di grazia 1914”, come indica il sottotitolo.