13 - L'arte balistica ne "La Nuova scientia inventa"
print this pageNel 1534 il matematico e scienziato bresciano Nicolò Tartaglia si trasferiva a Venezia. Passato alla storia come uno dei protagonisti dell’analisi matematica rinascimentale per il fondamentale contributo alla risoluzione dell’equazione cubica di terzo grado, dal 1536 assunse l’insegnamento di matematica euclidea alla scuola dei Santi Giovanni e Paolo. Nella città marciana pubblicò la sua prima opera a stampa, la Noua scientia in cinque libri (di cui solo tre andarono in stampa), dedicandola al duca Giuseppe Maria della Rovere, allora capitano generale dell’esercito veneziano.
Nel volumetto, apparso nel 1537, l’autore si propone di fornire indicazioni utili a un migliore uso delle armi da artiglieria, prendendo le mosse da teorie di balistica basate sul principio dell’impetus.
In quegli anni lo slancio espansivo dell’impero ottomano rappresentava una seria minaccia per la Serenissima. Come ragguaglia il matematico nella prefazione, proprio il pericolo di un conflitto militare con il Turco lo aveva indotto a pubblicare studi lasciati sospesi “dil modo di mettere a segno un pezzo de artegliaria al più che puo tirare [...] Et di poi che hebbi ben masticata et ruminata tal materia, gli conclusi et dimostrai, con ragioni naturale, et geometrice, qualmente bisognaua che la bocca dil pezzo stesse ellevata talmente che guarddasse rettamente a. 45. gradi sopra al orizonte et per far tal cosa impedientemente bisogna auere una squadra de alcuno metallo over legno sodo che habbia interchiuso un quadrante con lo suo perpendicolo come di sotto appar in disegno…”
A suffragare la validità della sua teoria che la massima gittata di un proiettile si ottiene quando la bocca del pezzo raggiunge l’inclinazione di 45 gradi, il Tartaglia racconta dei positivi esperimenti effettuati alcuni anni prima da amici bombardieri del castello di Verona.
Pur tra i fondatori della nuova scienza, il Tartaglia si confrontò sempre con gli antichi sapienti: commentò Archimede, di cui si considerò discepolo, e tradusse gli Elementi di Euclide (Venezia 1543). Non stupisce dunque che nella xilografia che apre il volume il Tartaglia sia raffigurato assieme ai principali scienziati della civiltà classica.
All’interno di una sorta di hortus conclusus recintato, che rappresenta forse lo spazio esclusivo del sapere, si incontrano personificazioni allegoriche delle discipline e figure di scienziati segnalati da iscrizioni. Al vertice si trova la filosofia, assisa su una cattedra professorale; vicino ad essa i padri Aristotele e Platone in posizione predominante sulle altre scienze subito sottostanti: Musica, Prospettiva, Astronomia, Aritmetica, Geometria etc. Al centro di questo drappello di allegorie, il ritratto del Tartaglia mentre osserva una colubrina in azione. In basso, altri dotti dell’antichità stanno entrando in questa area circoscritta e tra questi spicca la figura di Euclide.
All’altezza temporale dell’edizione, una figurazione così elaborata rappresenta una novità non trascurabile. Scontato l’esercizio di un controllo sull’iconografia della scena da parte dell’autore stesso, non appare impossibile neppure una sua implicazione nella scelta dell’esecutore, tanto più che in quegli anni Tartaglia risulta intrattenere stretti rapporti con un giovane disegnatore e stampatore veneziano, Giovanni Antonio Rusconi. In una lettera inviata al matematico concorrente Cardano nel 1539, il Tartaglia ricorda tra i suoi allievi “messer Zuanantonio di Rusconi” definito “pittor & architetto”. Nonostante la tecnica compromessa con la produzione vignettistica anonima dei primi decenni del Cinquecento, la figurazione mostra una scioltezza di tratto e una disinvoltura nel comporre i gruppi figurali nello spazio prospettico con punto di vista elevato che preludono alla produzione più matura.