22 - Commento alla Fisica di Aristotele
print this pageIl frontespizio (mm 328 x 227), firmato e datato “Gio. Georgi fecit.”/ “MDCXLVIII”, è inciso a bulino da Giovanni Giorgi.
Nell’incisione è raffigurata una briosa e affollata Allegoria della Serenissima: Venezia, con il corno dogale e sontuosi abiti, è assisa su di una zolla di terra emersa dalla laguna e regge nella mano sinistra una bilancia, simbolo di giustizia, mentre con la destra indica il leone marciano che impugna la spada e tiene il libro con il motto “PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS”. Alla sua sinistra vi è un unicorno, simbolo di purezza e di forza, che regge tra le zampe una cornice ovale in cui è inserito lo stemma della famiglia Molin, insignito del corno dogale in riferimento al dedicatario dell’opera, Francesco Molin, doge dal 1646 al 1654. Il significato della raffigurazione è evidente: la potestà, per essere giusta, deve potersi basare sulla giustizia e sulla forza, ma anche sulla purezza dello spirito di chi la esercita.
Sullo sfondo vi è Piazza San Marco, racchiusa tra la Libreria Marciana, le Procuratie Vecchie, la Basilica e il Palazzo Ducale. Il cielo è attraversato dalla ruota dello zodiaco. Interessante è la presenza della Punta della Dogana con una statua di Nettuno, inserita forse con lo scopo di ricordare l'importanza del commercio per la Repubblica Marinara.
La figura femminile che tiene nella mano destra una freccia e nella sinistra due grappoli d’uva potrebbe rappresentare, in virtù soprattutto della corona turrita che porta in capo, l’allegoria dell’Italia. A questa si contrappone una fanciulla con una corona di fiori che porge sorridente un canestro di frutta.
Attorno a Venezia, uomini e donne, nudi e immersi nell’acqua fino alla vita, danzano, suonano strumenti a fiato e presentano doni alla Serenissima. I due uomini in primo piano stanno trascinando sull’acqua delle enormi conchiglie piene di oggetti: in quella di sinistra sono raccolti alcuni manufatti di vetro, in quella di destra oggetti vari tra cui spicca una zanna di elefante, forse a ricordo delle ricchezze giunte a Venezia grazie al commercio e alle conquiste. L'uomo a sinistra si contempla in uno specchio, vero fiore all'occhiello della produzione vetraria veneziana.
L'autore del testo, Giovanni Cottunio, nacque a Veria, nella Macedonia centrale, nel 1572. Trasferitosi in Italia, divenne lettore di filosofia nell’Università di Padova, città in cui istituì un collegio per studenti di rito greco e in cui morì nel 1657. Nel 1648 scrisse il commento alla Fisica di Aristotele. Il volume venne pubblicato nello stesso anno da Paolo Frambotto, un intraprendente tipografo attivo a Padova tra il 1625 e il 1664, molto richiesto dagli eruditi cittadini e dai professori più insigni.
Giovanni Giorgi, artista attivo a Padova tra il 1617 e il 1656, scelse di dedicarsi prevalentemente all’illustrazione libraria. Particolarmente prolifica fu la sua collaborazione con lo stampatore Frambotto. Sicuramente degno di nota fu anche il suo contributo alla prima edizione de Le Meraviglie dell’arte del Ridolfi (Venezia, Giovanni Battista Sgava 1648), per cui realizzò il ritratto di Tiziano e di altri illustri pittori.