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Codice membr. in fol. del sec. XIV. caratt. rotondo, pag. 73 - mal conservato - lingua latina.

Chronicon Januense B. Jacobi de Varagine

Nel dorso del codice "Istoria del Varagine dal 1293 al 1297". La pagina 1. comincia, come la massima parte dei codice dell'epoca, colle parole: Incipit prologus in presenti chronica de civitate Januae. Al prologo segue la tavola delle parti, e dei capitoli, in cui l'opera è divisa, ed al foglio secondo, colonna seconda, ha principio la cronaca colla rubrica Qui fuerunt primi fundatores civitatum.

Quest'opera è inedita nella sua massima parte. Il Muratori ne diede alcuni brani nel volume IX Rerum Italicarum scriptores; ma omise quelle parti ch'egli stimò favolose, o di poca importanza, cioè la prima che tratta: dell'origine di Genova; la seconda: del tempo della sua fondazione; la terza: del suo nome; la quarta: della sua conversione alla fede. Diede qualche tratto della quinta: delle varie mutazioni subite dalla città; quasi intiera la sesta: del governo di essa; trascura poi la settima, in cui vengon dati precetti ai governanti. Essa è divisa in quattro capitoli, e parmi che non fosse stata inutilmente scritta, onde a saggio recone il sunto di qualche tratto. Afferma nel primo capitolo che i governanti debbono essere potenti, per giudicare senza timore e magnaminità: Debent igitur esse potentes et magnanimes, ut sine aliquo timore judicent, et in suo judicio nullam personam formident. Ideo dicitur in Ecclesiastico, noli velle fieri judex nisi virtute valeas irrumpere iniquitates, extimescens faciem potentis ... Debent esse rectores magnanimes, non molles, nec pusillanimes circa vitia ulciscenda, quia, sicut dicit Salomon, qui mollis et dissolutus est in opere suo frater est sua opera dissipantis ... Quidam rectores sunt nimis molles qui ad quodlibet verbum durum mox rectitudinem justitiae deserunt; alii sunt nimis duri, quia ad nullam compassionem flecti volunt; utrumque vitium est in rectore et nimis esse molle et nimis esse durum et ideo rector non debet esse mollis, nec debet esse durus, sed modice temperatus etc.

Nel 2. capitolo stabilisce: Rectores debent esse Deum timentes. Dicit enim b. Augustinus in libro de civitate Dei: remota justicia quid sunt regimina, nisi latrocinia magna; et ponit exemplum de quodam Pirata, qui Dionides vocabatur, qui cum fuisset captus, et ad imperatorem Alexandrum deductus, dixit ei, Alexander: quid tibi videtur, quod mare habes infestum? et ille respondit: et tibi videtus, quod totum mondum habes infestum? scilicet quia ego cum parva navicula, hoc facio, latro vocor; quia tu vero magis classe hoc agis, diceris Imperator? me paupertas, te vero faustus, et inexplebilis avaritia furem facit etc.

Nel 3. prova che debbono habere omnem veritatem. Dice che si agisce contro la verità o vendendola, o tacendola, o non difendendola.

Nel 4. sostiene che debbano odere omnem avaritiam et cupiditatem. Romani Judices et Consules plus rempublicam, quam propriam zelabant, et ideo ipsam splendidam faciebant, unde dicit Augustinus, quod Romani Consules habebant rempublicam opulentissimam, domesticam vero pauperrimam, nolebant enim Romani in consulatibus sublimari, nec magis inveniri divites quam ante consulatum fuissent. Unde refert idem Augustinus in libro de civitate Dei, quod quidam consul repulsus est a Senatu, ex eo quod decem pondera argenti plus inventus est habere quam ante consulatum habuisset etc.

L'ottava parte eziandio omise, in cui si offre l'idea di un vero cittadino ch'ei vuole discretus in consulendo, non subjectus vitiis, sed in virtutibus excercitatus, et zelator maximus reipublicae. A tale riguardo esclama: Rempublicam non tantum cives debent zelare, quod utilitati propriae ipsam debent praeponere, quod pro ipsa conversanda, interdum se debent morti exponere, quod pro ipsa defendenda licet patri contra filium, et filio contra patrem arma levare. Così la nona trascurò divisa anch'essa in capitoli, e son curiosi, di cui ecco i titoli:

1. Qualiter sit uxor ducenda, et qualiter cognosci possit quae sit bona vel non. Vuole prima di tutto che la moglie sia buona e sapiente; per trovarla tale è necessario cercare prima le qualità dei parenti di lei; e, se cattiva, è meglio lasciarla tranquilla perché arbor mala non potest fructus facere bonos; quindi non si debbono fermare gli sguardi nè sulla bellezza, nè sulle ricchezze, ma sull'onestà, perchè boni mores divitias frequenter acquirunt; divitiae numquam bonos mores ferunt. Di chi mena moglie ricca asserisce che ponit in domo sua tempestatem, quia uxor dives vult esse domani viri. Ricerca se è meglio prendere una donna bella, o brutta, e risponde che: Ille qui habet uxorem turpem est sempre in dolore ... quia ab omnibus despicitur, et ille qui habet uxorem pulchram, semper in timore ... quia omnes habere desiderant. Per hoc medium est semper tenendum, ut scilicet nec nimis pulchra, nec nimis turpis uxor ducatur etc.

Rassomiglia finalmente, coll'autorità di Salomone, la donna litigiosa agli stillicidi che cadono dal tetto: Mulier litigiosa est viro sicut stillicidia, quae in die frigoris cadunt de tecto, quae inquietant hominem existentem in lecto.

2. Qualiter vir debeat uxorem sua custodiri. Uxor aut est bona, aut est mala; si est bona non debet custodiri, si est mala non poterit custodiri.

3. Qualiter viri et uxores debent se mutuo diligere.

4. Qualiter vir et uxor debent perfecte vivere et concorditer habitare.

5. Qualiter parentes debeant se habere ad filios, et filii ad parentes.

6. Qualiter domini se debent habere ad famulos sive servos, et servi ad dominos.

Egli prova in tal capo l'uguaglianza di tutti gli uomoni, desumendola dal principio eguale, cioè la terra; dal mezzo identico, cioè la vita, ed il mondo; dal fine conforme, cioè la morte; dal padrone unico, cioè Dio, e dal giudizio finale che tutti subiremo.

Riportò quasi intiere le tre successive ed ultime parti, che trattano del governo spirituale della città, e ricordano tutti i vescovi ed arcivescovi ch'essa ha avuti, sino all'autore della Cronaca, e accennano i principali fatti sotto ciascuno di essi avvenuti.

Io non so come al codice nostro sia stato apposto il titolo di Storia dal 1293 al 1297, mentre l'autore non dal 1293 ma dalla fondazione di Genova prende le mosse. Che avesse ad intitolarsi Cronaca fu disposto dall'autore, poiché questi scrisse in fine del prologo, et ut quilibet quod voluerit facilius invenire valeat praesentem chronicam, in duodecim partes et capitula plura duximus distinguendam.

Dal confronto che ho fatto del codice coi tratti riportati dal Muratori, non ho potuto dedurra che vi siano importanti variazioni; vi sono però in fine le seguenti linee, mancanti anche ai due altri codici 5 e 6 che successivamente a questo descrivo, e a quelli che possiede la civica Biblioteca Berio, l'uno colla data del secolo XIV, e l'altro del XV. Detto sotto l'anno 1297 che i due cardinali Colonna, ribellatisi dal Papa, si erano ritirati nella città di Palestrina, si aggiunge: Et tandem illa civitate capta, ac omnibus aliis eorum castris relictis per exercitum, omnes pene eorum terrae ac loca totaliter dissipata ipsis etiam de tota terra eorum ac dictae ecclesiae effugatis. Cotal brano fu senza dubbio aggiunto dal copista, mentre il B. Jacopo da Varagine, morto nel 1298, come attestano tutti gli scrittori, non potea parlare della presa di Palestrina successa nel 1299. Il Codice della Biblioteca Estense, di cui si servì il Muratori, nota l'anno 1296, dove il nostro ha 1297, ma fu senza meno, in quello, errore, del copista, mentre e la guerra che si riferisce tra Genova e Venezia ebbe luogo per testimonianza del Giustiniani nel 1297, ed anche in tal anno ebbe principio la lizza tra Papa Bonifazio VIII ed i Colonnesi, come il Muratori stesso ne' suoi annali asserisce; e tutti i codici riportano questo secondo fatto nello stesso anno in cui successe il primo eodem anno.