Nel marzo 1907 Elisa Calandrelli, anche a nome della sorella Ludovica, aveva fatto dono di opere e manoscritti che erano appartenuti a suo padre Alessandro alla Biblioteca Vittorio Emanuele II. Le opere a stampa furono divise a seconda del contenuto, mentre le carte, incisioni e documenti che si riferivano alla storia politica d’Italia del XIX secolo passarono alla Sezione Risorgimento (Critelli 2001).
Da qui, in seguito alle complesse vicende che portarono alla creazione della Biblioteca di Storia moderna e contemporanea, divennero patrimonio di quest’ultima istituzione.
La raccolta iconografica era nata allo scopo di raccogliere e tramandare le testimonianze visive dell’esperienza della Repubblica romana del 1849. Non c’è infatti in essa un’attenzione particolare verso un tipo d’immagine. Quello che appare il principio guida è una scelta emotiva ed ideologica che privilegia l’attenzione a una gamma ben definita di soggetti, di temi e quindi un sistema di valori: Roma e la Repubblica Romana. Le fotografie, come le altre immagini della sua collezione, costituiscono una parte della propria storia personale oltre che della Repubblica.
Le immagini assumevano un ruolo di intermediazione e di collegamento tra chi osservava e il mondo degli eroici combattenti della Repubblica.
Le fotografie
Sul verso di tutte le fotografie conservate nella Biblioteca di Storia moderna e contemporanea è apposta (trasparendo a volte anche sul recto), in posizione centrale l’indicazione manoscritta “Calandrelli”, oltre al numero d’ingresso e al timbro della vecchia Biblioteca Vittorio Emanuele II.
Se già «Caneva firmava come quadri le fotografie dei monumenti romani», Lecchi appone firma e data sul negativo di alcune immagini e, quasi sempre, anche sul verso. Anche Flachéron era «solito datare e firmare le proprie calotipie (realizzate tra il 1849 e il 1852) ad inchiostro nero sul negativo, abitudine che caratterizza le firme in bianco comuni a tutte le sue opere».
Partendo dalla notazione “Calandrelli” ho condotto una ricerca nell’archivio della Biblioteca di Storia moderna e contemporanea che mi ha consentito di appurare che le fotografie facevano parte della collezione di Alessandro Calandrelli. Già deputato alla Costituente romana, fu colonnello dell’esercito della Repubblica e triumviro, insieme a Livio Mariani e Aurelio Saliceti, dopo le dimissioni di Mazzini, Saffi e Armellini. Attraverso il Registro dei doni e diritti d’autore del Comitato per la storia del Risorgimento sono risalita alla data del giugno 1914, quando 685 documenti, di cui facevano parte le fotografie, risultano ingressati (dal n. 961321 al n. 962005) sotto la dicitura generica di «documenti».
Nessun dato circa il numero totale delle fotografie che vi erano comprese né ulteriori indicazioni sulla natura degli altri documenti. È probabile che la serie su Roma fosse costituita da 41 fotografie. Ciò pare confermato anche dalle copie eseguite nei primi del ‘900 conservate presso il Museo Centrale del Risorgimento di Roma. Nel Registro topografico delle immagini (vedute) di tale Istituto ne sono infatti riportate sempre 41, come «fotografie di località ove si svolsero avvenimenti importanti durante l’assedio».
Numerose dovevano essere le immagini del ’49 nella raccolta di Calandrelli. Accanto a immagini prettamente legate ad avvenimenti sono presenti classiche vedute di Roma. Possiamo supporre che la raffigurazione di luoghi legati ai combattimenti fosse inestricabilmente legata, soprattutto per gli esuli, al ricordo della città, delle sue classiche rovine e dei suoi monumenti.
Della raccolta Calandrelli facevano parte anche gli acquerelli di Marchi conservati oggi al Museo Centrale del Risorgimento che portano sul verso, in posizione centrale, la stessa indicazione manoscritta.
Come era abbastanza diffuso nel periodo, anche Calandrelli ha lasciato degli schizzi dei bastioni del Gianicolo durante l’assedio che furono esposti anche alla mostra del 1911.
Non c’è nella documentazione iconografica raccolta da Alessandro un’attenzione particolare verso un tipo d’immagine. Senza voler limitare la propensione personale, il gusto verso una certa immagine, quello che appare il principio guida è una scelta emotiva ed ideologica che privilegia l’attenzione a una gamma ben definita di soggetti, di temi e quindi un sistema di valori: Roma e la Repubblica Romana. Nelle immagini non si assiste alla glorificazione dei momenti salienti delle azioni, sono assenti gli uomini nelle pose classiche del combattimento. Le fotografie, come le altre immagini della collezione, costituiscono una parte della sua storia personale oltre che della Repubblica. La memoria–commemorazione si avvale di esse; ne fa il proprio strumento di sostegno. Gli ideali politici, la propria sensibilità, i rapporti personali con i luoghi e i loro caduti si mescolano in questo museo–sacrario personale dove largo peso ha la seduzione della memoria e la sua conservazione diventa lo scopo della collezione.
Le immagini del passato, non sappiamo in quale ordine disposte, diventano i monumenti del ricordo, costituiscono un archivio iconografico che gli rende possibile conservare la memoria e attualizzare nel ricordo emozioni, impressioni, affetti. Si può ipotizzare che la raccolta fosse oggetto di una particolare attenzione da parte di chi aveva partecipato agli avvenimenti: le immagini assumevano un ruolo di intermediazione e di collegamento tra chi osserva e il mondo degli eroici combattenti della Repubblica quasi che il possesso delle immagini garantisse la durata e preservasse la memoria.
La donazione
Le complesse e controverse vicende della donazione della collezione Calandrelli allo Stato possono essere in parte ricostruite esaminando i documenti dell’archivio della Biblioteca di Storia moderna e contemporanea e in particolare la Relazione sulla donazione Calandrelli, 15 maggio 1916, Biblioteca Vittorio Emanuele. Sezione del Risorgimento.
Le vicende della donazione Calandrelli si legano inestricabilmente alle complesse e travagliate vicende che portano alla costituzione della Biblioteca di Storia moderna e contemporanea che, come affermato dalla Carini Dainotti, «non è che un travestimento per quella che fu volta a volta la ‘Sezione Risorgimento’ della Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma, la ‘Biblioteca Centrale del Risorgimento’, e poi il complesso ‘Biblioteca Museo Archivio del Risorgimento’» (Carini Dainotti 1952).
Nel marzo 1907 Elisa Calandrelli, anche a nome della sorella Ludovica, «fece dono verbale di varie opere e manoscritti che erano appartenuti al padre suo», ma il direttore della Biblioteca Vittorio Emanuele, conte Domenico Gnoli «mai pensando da gentiluomo quale egli era, che chi generosamente dava, possa tentare un giorno o l’altro di riavere la cosa donata […] non rilasciò ricevuta particolareggiata». Le opere a stampa, registrate in blocco, furono, secondo il contenuto, divise nei vari reparti della Biblioteca. Le carte, incisioni e documenti che si riferivano alla storia politica d’Italia nel secolo scorso furono passate alla sezione del Risorgimento dove la stessa Calandrelli fu ammessa ad ordinare il materiale donato. La Biblioteca avrebbe dovuto successivamente dare un ordine più razionale al materiale ma ciò non avvenne. Nel 1909 comincia funzionare il Comitato nazionale per la storia del Risorgimento italiano, «con lo scopo di raccogliere, preparare e ordinare i documenti, i libri e tutte le altre memorie che riguardano la storia del Risorgimento». Nel 1911 veniva allestita la già citata mostra del Risorgimento. I documenti prescelti, e tra questi quelli appartenuti alla Calandrelli, furono consegnati. Nel 1913 il comitato della mostra, procedeva a ricollocare il materiale in busta quando nei primi mesi del ‘14 Elisa, sette anni dopo la donazione, «si presentava al Conservatore capo della Sezione del Risorgimento per ottenere una ricevuta delle opere e delle carte da lei donate e ricevette l’elenco da Ersilio Michel, addetto alla Sezione. La Calandrelli fece allora reclamo al Ministero dell’Istruzione Pubblica che chiese, con una nota del 17 novembre 1914, chiarimenti. La Biblioteca, con una lettera del 25 novembre, forniva le notizie richieste: la difficoltà consisteva nell’avere inventariato con un’unica complessiva registrazione quanto era stato immesso nella Sezione Risorgimento. Il ritratto del padre che era alla mostra dell’11 era scomparso. Degli altri non c’era traccia o ricordo». In particolare «non hanno potuto rintracciare le carte dell’assedio di Roma». È probabile che tra queste fossero comprese le fotografie.
In una minuta del 23 maggio 1916, in pieno clima bellico, il direttore del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento scrive al ministro dell’Istruzione che «la signora Calandrelli, […] dopo nove anni, senza dubbio a fine di lucro […] ha citato il Ministero dell’Istruzione e la Biblioteca […] davanti al Magistrato». È interessante notare che, in pieno clima bellico, egli si senta in dovere di precisare, quasi fosse l’unica spiegazione di tale azione, che nelle vene della Calandrelli «scorre sangue tedesco per eredità materna».
Ancora il 24 aprile del 1933 il ministro dell’Educazione Nazionale, avendo ricevuto dal Ministero della Real Casa un reclamo della Sig.ra Elisa Calandrelli, scrive al Conservatore della Biblioteca, Museo e Archivio del Risorgimento a Piazza S. Marco. Il Conservatore Menghini risponde il 28 aprile circa «i documenti e cimeli appartenuti a suo padre, il valoroso colonnello Alessandro Calandrelli, da essa ceduti nel 1907 alla Sezione Risorgimento, unita allora alla Biblioteca Vittorio Emanuele» (Critelli 2001).
(Maria Pia Critelli)