Le fotografie di Lecchi, sia pure nella loro traduzione litografica per la stampa, si inseriscono nel panorama della vasta produzione iconografica che inizia quasi in contemporanea con la caduta della Repubblica. Il fotografo non trasse dalle sue fotografie che un temporaneo beneficio economico anche per l’impossibilità, legata alle caratteristiche tecniche del tipo di fotografia adoperata, di ottenere su larga scala un numero elevato di copie positive. La contemporanea editoria litografica attinse alle sue immagini per un’enorme diffusione attraverso la traduzione a stampa senza citare neanche il suo nome. Il riferimento veniva fatto solo al tipo di documento utilizzato come fonte da cui derivavano le litografie con la dicitura «tratte da daguerrotipo» termine che indicava allora, genericamente, le fotografie.
Abili copisti della produzione iconografica copiavano le fotografie e ne ricavavano illustrazioni che ottenevano un grande successo.
Dalle calotipie di Lecchi derivano già nel 1849 e successivamente nel 1870, dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia, numerose e significative serie incisorie tra cui vanno ricordate quelle estremamente accurate e pubblicate in due serie da Michele Danesi e Carlo Soleil su disegni di Berzotti e Badioli e quella di Ferrini con disegni di Gallassi.
Approfondimento
Intensa e diversificata, sia come qualità tecnica che come finalità, è la produzione dell’editoria romana. Per le caratteristiche stesse della città il mercato editoriale si era sempre rivolto essenzialmente a un pubblico cosmopolita. A questa variegata “clientela abituale” si affiancano ora coloro che, in vario modo, sono o si sentono coinvolti dagli avvenimenti appena trascorsi. In tale ambito l’immagine fornisce pertanto chiavi di lettura plurime e variegate: essa può essere vista come una testimonianza della lotta appena conclusa, ma può anche rappresentare un nuovo elemento in quella iconografia delle rovine da sempre caratteristica del modo di rappresentare Roma.
Le litografie delle nuove rovine sembrano sostituire quelle dei monumenti e delle “classiche” vedute di Roma. Le mura dei bastioni crollati, le case e gli edifici distrutti o danneggiati riempivano di una nuova maestosità il paesaggio.
Cinque scudi era il prezzo, riportato anche in inglese, delle Vedute dell’assedio di Roma del 1849 disegnate da Carl Werner e incise da Domenico Amici. Parallelamente il rinnovato flusso turistico, la presenza di tanti soldati francesi, ma anche di numerose donne che avevano raggiunto genitori e mariti, dà impulso al commercio di stampe-souvenir spesso ricavate proprio dalle fotografie.
Le fotografie di Lecchi, sia pure nella loro traduzione litografica per la stampa, si inseriscono nel panorama della vasta produzione iconografica che inizia quasi in contemporanea con la caduta della Repubblica. Il fotografo non trasse dalle sue fotografie che un temporaneo beneficio economico anche per l’impossibilità, legata alle caratteristiche tecniche del tipo di fotografia adoperata, di ottenere su larga scala un numero elevato di copie positive. La contemporanea editoria litografica attinse alle sue immagini per un’enorme diffusione attraverso la traduzione a stampa senza citare neanche il suo nome. Il riferimento veniva fatto solo al tipo di documento utilizzato come fonte da cui derivavano le litografie con la dicitura «tratte da daguerrotipo» termine che indicava allora, genericamente, le fotografie.
Abili copisti della produzione iconografica copiavano le fotografie e ne ricavavano illustrazioni che ottenevano un grande successo grazie all’evidenza incontrastabile che le caratterizzava. Nell’operazione di trasporto dalla fotografia al cliché si sceglievano i tratti da riprodurre nel disegno e quindi nell’incisione.
Dalle calotipie di Lecchi derivano già nel 1849 e successivamente nel 1870, dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia, numerose e significative serie incisorie tra cui vanno ricordate quelle estremamente accurate e pubblicate in due serie da Michele Danesi e Carlo Soleil su disegni di Berzotti e Badioli e quella di Ferrini con disegni di Gallassi.
Le immagini di Berzotti e Badioli sono inserite a tre a tre in Ruine della guerra di Roma del 1849. Tratte dal daguerrotipo. Nelle diverse tavole dove alle immagini dei luoghi si accompagnano figure di militari in uniforme la didascalia riporta la dicitura Rovine della guerra di Roma del 1849. Tratte dal daguerrotipo. La presenza di uomini in uniforme serve ad animare la scena, a rendere evidente il costo umano della lotta sostenuta, a legare la documentazione visiva più strettamente all’avvenimento. L’inserimento di soldati in uniforme della Repubblica romana serve a storicizzare l’evento e a esaltare il valore di chi aveva combattuto.
Due tavole sono caratterizzate dalla presenza di immagini chiaramente tratte dall’accostamento di fotografie di Lecchi. Una seconda edizione, databile agli anni Settanta, fu pubblicata a Roma da Danesi. Le singole scene, tratte dalle fotografie di Lecchi, sono ora inserite singolarmente in una ricca cornice tipografica, in un trionfo di emblemi militari con in alto l’immagine della Lupa e in basso la relativa didascalia.
Al litografo Ferrini si deve una serie di tavole litografiche, pubblicate sempre nel 1849, su fondino colorato in giallo-arancio, scelta derivata dalla necessità di annullare il senso di vuoto dato dal fondo bianco della carta. Le tavole recano l’indicazione in basso a sinistra del nome del litografo e la data «1849»; al centro l’indicazione del soggetto e a destra l’indicazione dell’editore «lit. Ferrini». Un’altra versione litografica, edita da Ferrini, sempre derivata dalle fotografie di Lecchi, viene realizzata da Gallassi, probabilmente dopo il 1870, per le tavole di Rovine della guerra di Roma del 1849.
Sempre nel 1849 Ferrini pubblica molte litografie di Gallassi nell’Atlante generale dell’assedio di Roma del cav. prof. Pompilio De Cuppis. È interessante notare che l’autore che si definiva «già ufficiale del I.R. Armata Austriaca, membro di varie Società Scientifiche di Francia e d’Italia» affermava che la sua opera costituiva uno studio topografico. In tale cornice le numerose «grafiche espressioni» che isolate potevano fornire solo «un Poliorama pittoresco, un Souvenir de’ guasti causati dalla guerra d’assedio» sarebbero state contestualizzate in modo da ottenere un rilievo scientificamente valido.
L’opera di De Cuppis costituisce una conferma della vasta produzione iconografica che l’interesse per gli avvenimenti di Roma avevano suscitato. Non a caso il 22 settembre 1849 in un intervento su «L’Album - giornale letterario e di belle arti» affermava: «Non appena cessarono le ostilità che un numeroso stuolo di artisti di ogni genere si recarono sul luogo delle operazioni militari onde ritrarre le vedute prospettiche dei vari edifizi che l’azione del cannone avea più bizzarramente sconquassato. In breve d’ora si videro esposti presso i principali fondaci di belle arti in Roma buon numero di disegni, i quali con molta somiglianza al vero rappresentano ora i ruderi di un casino, ora un bastione aperto in breccia, ora una batteria sfracellata».
Nelle raffigurazioni dei luoghi dei combattimenti, dopo l’assedio, le scene, siano esse disegni, litografie, quadri, sono animate e popolate da uomini e donne che passeggiano, da curiosi, da uomini che osservano con il cannocchiale, che scavano o stanno distesi su cumuli di rovine. Ma la cosa più interessante è notare che in molte litografie della serie Ferrini e Gallassi c’è la raffigurazione di un personaggio (lo stesso disegnatore?), che con fare disinvolto, distaccato, percorre fumando la scena con la cartella e il parasole sotto braccio quasi alla ricerca del posto ove fermarsi, aprirlo e cominciare a tratteggiare i suoi disegni.
De Cuppis precisa inoltre che l’Atlante, plausibilmente completo delle immagini, era già stato presentato ai «Commessari di Stato» per l’autorizzazione alla stampa. Si può pertanto proporre come datazione ante quem per le fotografie di Lecchi la data di pubblicazione del giornale (22 settembre 1849); tenendo inoltre presente che la trasposizione in litografia esigeva i suoi tempi tecnici di realizzazione, è probabile che la campagna fotografica sia stata effettuata già nel luglio, o al più nell’agosto, del ’49. Questa ipotesi d’altronde è perfettamente congruente alla data apposta all’Album di Cheney: 20 settembre 1849.
(Maria Pia Critelli)