Il campione documentario esaminato per la città di Velletri riporta notizie lungo un arco temporale che va dal 1824 al 1871, con maggior concentrazione nel periodo 1830-1868; si evidenziano qui le informazioni relative alle strutture teatrali, alla gestione amministrativa della macchina artistica ed alla consistenza, produzione e vita delle compagini artistiche operanti.
di Sara Vian
la macchina teatrale
Oltre ai ‘teatrini’ provvisori che le compagnie approntano per esibirsi in città dagli inizi del secolo, l’allestimento di stagioni teatrali con palchi rimovibili si attesta concesso nella sala comunale detta ‘delle Lapidi’ nel 1830; uso che si stabilizza nel decennio successivo anche per feste da ballo e declamazioni in prosa. I giovani seminaristi che usano allestire pubbliche rappresentazioni utilizzano la Sala del Seminario, per la quale il Rettore presenta regolare istanza al Comune. Dal 1831 al 1834 sono presenti richieste di concessione d’uso d’una struttura di teatro non specificata, in una delle quali lo si menziona in fase d’apertura.
Nel 1834 il Comune avvia una trattativa di compravendita con i conti Antonelli per un terreno ortivo sulla via Metabo prossimo alla via Corriera per realizzarvi una struttura di teatro stabile, incaricando del progetto l’ingegnere Giuseppe Andreoli; che già l’anno seguente invia i propri disegni all’Accademia di S. Luca. Il Teatro è composto da quattro ordini senza lubione con diciannove palchi, tranne il primo ordine da diciotto, da gestirsi in ripartizione di spesa tra una Adunanza generale degli azionisti ed il Comune ed assumendo il nome di Teatro comunale. La costruzione partirebbe dal rettangolo interno con palcoscenico, macchinario ed ornati, per poter agire con rappresentazioni anche prima dell’effettivo compimento della fabbrica. I lavori sono incompleti al 1837, ed il teatro è detto mancante; è del 1843 una notificazione sull’appalto per il prosieguo dei lavori; tra il 1845 ed il 1846 il gonfaloniere si fa inviare copia dei Capitolati dei Teatri di Viterbo e Civitavecchia per confronto.
L’uso della Piazza comunale, detta ‘Arena’, ‘Piazza’, o ‘Arena Veliterna’ per l’allestimento di attività di spettacolo all’aperto è documentato ancora nel 1862. A questo spazio si affianca il teatro privato denominato ‘Teatro Diurno’, ‘La Pergola’, ‘Anfiteatro’, o anche ‘Arena Giansanti’ realizzato adattando alcuni locali di proprietà del cavaliere Domenico Giansanti ed attestato nel campione documentario dal 1848 al 1864. Contemporaneamente ad esso è attivo un altro teatro privato, il Graziosi, struttura in legno il cui promotore, proprietario, nonché appaltatore delle stagioni teatrali che vi si succedono almeno dal 1849 è il capitano Giuseppe Graziosi. Costui ottiene nel 1858 la somma comunale di scudi 40 per dodici anni per ampliare la propria fabbrica acquistando la casa adiacente, allora di proprietà della vedova Pietromarchi; i lavori vengono affidati per un preventivo di scudi 2000 ad Andrea Scipioni. Deceduto il Graziosi, il Consiglio comunale valuta per l’anno successivo l’acquisto del Teatro per una somma di scudi 6.000; ma la procedura viene disapprovata dal Ministro dell’interno, che chiede il ricorso ad una pubblica asta per azioni, e l’acquisto rimane senza corso. Invocato da una pubblica petizione nel 1862, il gonfaloniere A. Santocchi incarica il Consiglio di realizzare un progetto per la costruzione di un nuovo teatro e di trattare nuovamente l’acquisto, ma sussiste una vertenza degli eredi di Graziosi, creditori e dello stesso Scipioni mai liquidato per i lavori eseguiti e l’incaricato rinuncia nello stesso anno; ma i lavori di realizzazione si dicono procedere. Nell’aprile del 1863 il Comune chiude la vertenza Graziosi, stanziando scudi 2.000 agli eredi e scudi 6.000 per il saldo Scipioni (liquidazione ancora però in pendenza due anni dopo).
Nell’autunno 1863 si avviano le procedure di appalto e pianificazione della stagione inaugurale del Nuovo Teatro, affidando all’impresario Mari l’incarico di mettere in scena non meno di tre spartiti, di cui La Violetta per la serata d’apertura; a dicembre il delegato apostolico monsignor Ricci, pubblicando il Regolamento disciplinare dei pubblici spettacoli per il Carnevale, ricorda che “a breve si aprirà il teatro” sospirato per Velletri, auspicando che la presenza della ferrovia porti in città molto pubblico romano. Purtroppo al termine della stagione inaugurale il Mari presenterà tramite il proprio avvocato un deficit documentato di scudi 349.80: per il nolo di vestiari di scena adeguati alla solennità dell’evento, per aver subìto la rimozione a contratto chiuso di due file di panche, e per i furti di olio ed oggetti di scena perpetrati a causa della consegna del teatro senza le chiavi. In più, il Mari riferirà di esser stato ‘moralmente costretto ad eseguire tre opere di privativa, e che l’utile de’ festivi mostratomi nelle trattative come il maggior frutto dell’impresa si ridusse in fatto ad una vera perdita’: il comune riterrà dunque di rifondere Mari di scudi 300 ammettendo parziale colpevolezza per la frettolosa apertura del teatro (verbale consiliare 10 marzo 1864); mentre il rimborso Mari diventerà un oneroso precedente per diverse richieste di indennizzo successive.
In attesa della presentazione dello stato definitivo dei lavori, nell’aprile 1864 il Consiglio municipale delibera di far agire il Teatro in pubblica concessione, gratuitamente senza dote; mentre a luglio offre un compenso a La Pergola per prolungare l’appalto dell’impresario Menni per tutta la stagione estiva. A novembre i lavori successivi all’acquisto e necessari all’apertura della nuova fabbrica vengono ritoccati al ribasso in assenza di fondi suppletivi, eliminando dal progetto iniziale il ballatoio e la seconda fila di sedie nella galleria. La relazione di collaudo viene infine consegnata dall’ingegnere pontificio R. Burri al 22 dicembre 1864, per una spesa totale di scudi 8.249.35, specificando dopo attenta descrizione che “Gli accennati lavori sono stati eseguiti come prescrive l’articolo del compromesso, cioè a regola d’arte, dappoiché si è raggiunta la solidità dell’ossatura della fabbrica … inoltre i lavori di decorazione sono stati eseguiti con buoni disegni e con sufficiente ricchezza d’ornati di pitture e dorature, in maniera che nell’insieme la fabbrica del teatro presenta quell’aspetto piacevole per l’adunanza del mondo allegro, ove le persone civili, la nobiltà e nelle capitali i ministri di stato ed i sovrani stessi ne fanno una delle loro principali delizie vantate d’innocenza e di utilità”. Il documento riporta anche graziosi dettagli d’interni: “I lumi sono stato comprati da Cesare Grassetti, lampista a Via di Bocca di Leone, che ha realizzato anche il lampadario: 16 lumi interni a 6 chiché, otto esterni a solar, un lume a sei di sotto con piatto di placche con n°6 fiamme e piatto di cristallo di sotto”. Tra gli altri materiali si citano “… la tela paglia per i soffitti dei palchi, sala d’ingresso creffé … carta di Francia per il palco delegatizio … ornati in plastica, scenario e bocca d’opera … le quattro statue con le rispettive colonnette, e porto da Roma a Velletri, a forma della relativa ricevuta … foglie di capitelli in gesso…”. La presenza di “secchi d’acqua perenne sul palco appositamente per estinzione del fuoco”, viene ritenuta motivo sufficiente a rifiutare una proposta di assicurazione antincendio nel 1865.
amministrazione del Teatro e degli spettacoli
La Delegazione di Velletri riceve dal Ministero dell’interno la circolare che autorizza il capoluogo all’apertura dei teatri per la durata della stagione; ottenuto l’assenso della Curia, incarica la Segreteria di diramare l’autorizzazione a tutti Comuni del territorio, alcuni dei quali ne notificano la ricezione. Nella sola stagione inaugurale si esplicita il divieto di rappresentazione nei venerdì.
L’appalto delle stagioni teatrali si avvia per iniziativa comunale o su istanza dei cittadini; nel caso di Velletri il Consiglio comunale, bloccato per due volte dal Ministero dell’interno e dal delegato apostolico per procedura scorretta, commuta la prevalenza di affidamenti diretti rilevata nella prima parte del secolo in una selezione comparativa fra tre impresari con una propria offerta, o tra diverse offerte di un solo impresario; in un caso lancia una gara pubblica diffusa su alcune riviste di spettacolo nazionali. Le offerte degli impresari includono a volte il vincolo di privativa sugli spettacoli, anche triennale; l’affitto di palchi e platea; la richiesta di autorizzazione suppletiva al gioco della tombola; la privativa sulle feste da ballo ed il combustibile per il riscaldamento.
L’affidamento in appalto può avvenire a titolo gratuito, o con concessione di una dote in denaro in relazione alle disponibilità di cassa, stanti la possibilità dell’impresario di ritirarsi per una proposta di dote giudicata troppo mite e quella del Comune di respingere richieste di rimborso giudicate eccessive o fuori luogo. Laddove si riscontri un difetto amministrativo è attestato in un caso l’uso dello storno dal bilancio dell’anno successivo ed in un altro dai fondi del deposito garanzia dell’appalto dei Dazi; in caso di responsabilità dell’impresario il contratto può essere rescisso.
Tra le autorità che ruotano attorno alle attività artistiche, la Deputazione per i pubblici spettacoli sovrintende alla gestione dell’apparato teatrale, agendo sulla base del Regolamento disciplinare sui Teatri firmato dal delegato apostolico e delle Disposizioni per i travestimenti del Carnevale emanate dal Ministero dell’interno; in essa è presente un deputato ecclesiastico. Stanti le prerogative del Consiglio Comunale che può far agire il teatro per proprio conto, il ruolo di vigilanza è affidato alla Direzione di polizia, cui è destinato un palco riservato nel Teatro così come alle altre autorità – la cui l’attribuzione dell’onere di spesa non manca di generare discordia.
Un fascicolo degli Affari generali della Delegazione di Velletri riguarda la costituzione dell’Accademia filodrammatica di Velletri, che “… ha per iscopo la declamazione di componimenti comici, drammatici, tragici, onde porgere agl’amatori un’onesto [sic] e giocondo divertimento”; comprende un Regolamento del 1856 e verbali annuali di elezione dei rappresentanti fino al 1870.
E’ attestata al 1823 una banda musicale con divisa militare, un proprio regolamento ed un professore di musica pagato dagli stessi bandisti.
Nel caso specifico della città di Velletri sarebbe forse opportuno inserire tra le autorità di controllo della produzione teatrale la stessa cittadinanza, dato che l’uso di petizioni collettive attestato in forma non associata compare qui in proporzioni maggiori rispetto agli altri campioni documentali; nondimeno la qualità artistica è un cruccio costante anche per gli amministratori comunali, che per la stagione inaugurale prevedono un controllo qualità istituendo una apposita deputazione di consiglieri.
le produzioni teatrali a Velletri
La scena artistica veliterna è frequentata da compagnie che si esibiscono in prosa, balletto, ballo in maschera, esercizi fisici e ginnici (Le ‘Forze di Alcide’), opere in musica seria o buffa, mimi. Inoltre, vaudevilles in prosa e musica, pantomime di mezzo carattere e buffe. Una Accademia filarmonica dei dilettanti esegue un corso di recite nella Sala delle Lapidi nel 1838.
Le compagnie drammatiche della prima parte del secolo appaiono composte mediamente da 13-15 artisti (nel 1832 si specificano: primo attore, prima attrice; caratterista; servetta; generico dignitoso; primo e secondo amoroso; parti ingenue; tiranno; generici e generiche, suggeritore, macchinista e trovarobe).
Le compagnie di canto sono composte mediamente da una decina di cantanti diretti da un maestro concertatore e da un coro di sedici o diciotto elementi diretto da un maestro istruttore dei cori, un’orchestra di almeno trenta elementi e comparse occorrenti in numero variabile. Nella stagione inaugurale si menzionano anche uno scenografo, un macchinista ed un attrezzista; mentre nella stagione successiva si sottolinea che parte dell’orchestra sarà composta da “professori del paese”. Tra le opere messe in scena quella maggiormente menzionata è il Marco Visconti e Rigoletto; La Violetta è quella prevista per l’apertura del Teatro comunale; si menzionano inoltre nelle proposte d’appalto i titoli di Ballo in Maschera, Sonnambula, Lucrezia Borgia, Marco Visconti, Vittore Pisano, Isabella d’Aragona, Lucia di Lammermoor, I falsi monetari, Pipelet ossia il Portinaio di Parigi, Don Procopio, I due Foscari, Il ritorno di Columella dagli studi di Padova, I Masnadieri, Luisa Miller, Ernani, Nabucco e Saffo. La prosa si dice costare mediamente di più (in un caso la sua scelta suona come una minaccia), incidendo sulle spese degli impresari o del Comune; spetta all’impresario nella scelta della compagine artistica preferire, a parità di merito e di prezzo, quelli che hanno domicilio stabile o legalmente acquisito a Velletri.
La documentazione veliterni è preziosa per l’ampia casistica di nominativi di artisti recensiti nel ruolo rappresentato e nella minuziosità delle pratiche d’appalto, da cui possono trarsi dati interessanti anche per l’economia della macchina scenica; godibile soprattutto perché punteggiata di osservazioni e giudizi di merito di grande puntualità. Nella petizione consegnata al Comune nel 1869 da un gruppo di 103 cittadini scontenti dell’organizzazione tardiva, che impone ogni anno spese inutili ed eccessive e la “scelta di artifici men che mediocri”, rimane memorabile la trascrizione di un intervento in assemblea consiliare del 24 ottobre, di un cittadino dal linguaggio vibrante e di vivissima classicità.