La scuola manzoniana in Catalogna
Nel periodo in cui si manifesta il successo di Manzoni il ruolo di primo piano nell’europeizzazione romantica della Spagna è tenuto dalla Catalogna. Proprio in questa regione si registra, a partire dagli anni ’30 dell’800, un’esplosione di opere e traduzioni, che affonda le sue radici nel decennio precedente (1823-1833), noto anche come década ominosa, caratterizzato dalla repressiva censura di Calomarde. Le prime tracce della presenza di Manzoni in Spagna sono da ricondurre al circolo di Bonaventura Carles Aribau e della rivista «El Europeo». I cinque redattori, vicini al movimento liberale, provenivano da realtà nazionali diverse: Luigi Monteggia e Fiorenzo Galli erano fuggiti in seguito al fallimento dei moti liberali in Italia, assieme all'inglese Charles Ernest Cook che nella rivista si occupava di scienza; Ramón López Soler, catalano, fu imitatore dei romanzi scottiani e con il Monteggia rivestì un ruolo importante all’interno della rivista grazie all’apporto dato in materia di teorie romantiche.
Il 25 ottobre 1823 il Monteggia pubblicò un lungo articolo intitolato «Romanticismo» in cui intendeva presentare al pubblico spagnolo gli autori europei più rappresentativi all’interno del movimento romantico. Accanto ai nomi di Chateaubriand, Byron e Schlegel comparve quello del Manzoni. I riferimenti al Conte di Carmagnola, alla lettera sulle unità drammatiche e alla rivista milanese del "Conciliatore" finirono per legare il nuovo romanticismo catalano a quello italiano. E allo stesso contesto bisogna ricondurre anche la prima traduzione di successo dei Promessi sposi, realizzata da Juan Nicasio Gallego e pubblicata fra il 1836 e il 1837. L’area centrale e le altre regioni periferiche, fra cui spicca la zona di Maiorca, vedranno affermarsi il culto di Manzoni solo nei decenni successivi, dimostrando di aver recepito la lezione europea a cui la Catalogna per prima aveva guardato.
La rivista non sopravvisse a lungo nel clima repressivo instaurato da Ferdinando VII e chiuse i battenti nel 1824. Ma la sua apertura all’Europa e il suo programma divennero il punto di riferimento per il periodico «El Vapor» fondato da López Soler che, tornato a Barcellona alla fine del decennio nefasto (1833), diede seguito all'esperienza romantica catalana.
Frontespizio della rivista «El Europeo»
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strobelamy
Bonaventura Carles Aribau (1798-1862)
Barcellonese di nascita e fondatore dell’«Europeo» poco prima della fine del Triennio Liberale, fu una figura poliedrica e versatile che ricoprì ruoli di primo piano nel mondo politico e culturale. Nel 1815 fu tra i fondatori della Società Filosofica di cui pubblicò gli Ensayos poéticos due anni dopo. Partecipò alla rivoluzione liberale del 1820 in occasione della quale compose l’inno Libertad libertad sacrosanta. Dalla seconda metà degli anni ’40 del XIX secolo occupò alte cariche nell’amministrazione finanziaria, senza trascurare progetti culturali importanti fra cui l’attività di critico per la Biblioteca de autores españoles (da lui fondata insieme all'editore catalano Rivadeneyra nel 1846). Ma il nome di Aribau è legato soprattutto alla Oda a la patria, testo centrale nel contesto del romanticismo catalano e del manzonismo iberico.
Bonaventura Carles Aribau ritratto da Joaquim Espalter i Rull, Reial Acadèmia de Belles Arts de Sant Jordi, Barcelona 1844.
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Federico
Federico
La «Oda a la patria» (1833)
Pubblicata il 24 agosto del 1833 su «El Vapor», periodico fondato da Ramón López Soler, e dedicata a Gaspar Remisa, banchiere catalano amico dell’Aribau, l’Oda a la patria fu scritta a partire dal 1828. Il testo apre la Renaixença catalana, movimento volto a promuovere la rinascita spirituale e culturale della Catalogna. Attraverso il mito della lingua e della terra madre, l’autore evoca un ritorno nostalgico alla patria: Aribau aveva, infatti, lasciato la nativa Catalogna nel 1826 per andare a Madrid. La Oda contiene reminiscenze dell’ «Addio, monti» del romanzo manzoniano già nelle prime strofe:
Adéu-siau, turons, per sempre adéu-siau, oh serres desiguals, que allí, en la pàtria mia, dels núvols e del cel de lluny vos distingia
In base a una lettera inviata a Ramon López Soler, datata 5 novembre 1833, è possibile ipotizzare che Aribau avesse letto I Promessi sposi prima che venisse realizzata la prima traduzione spagnola. Nel testo si accenna, infatti, alla lettura del romanzo: «¿Has leído algo de Manzoni? Una casualidad ha puesto en mis manos I promessi sposi. Si puedes proporcionártelo, no dejes de leerlo» («Hai letto qualcosa di Manzoni? Il caso ha posto nelle mie mani I promessi sposi. Se potessi averlo, non smetteresti di leggerlo»). Inoltre, la data di composizione della Oda a la patria, 1828, confermerebbe questo dato, portando ad anticipare l’ingresso del romanzo in Spagna. I Promessi sposi muovevano così i primi passi in territorio iberico, affascinando un personaggio significativo come Aribau, che promosse persino la prima traduzione ad opera di Gallego.
Numero del 24 agosto del 1833 del periodico «El Vapor» dove fu pubblicata la Oda a la Patria
Conversazioni manzoniane a Madrid
Uno dei primi lettori spagnoli dei Promessi sposi fu José Manuel Quintana (1772-1857), il massimo rappresentante del tardo neoclassicismo spagnolo. Noto per il suo patriottismo liberale, compose due odi importanti: Al combate de Trafalgar (1805) e A España después de la revolución de marzo (1808). Si oppose all’invasione francese e alla restaurazione assolutista di Ferdinando VII. Durante il regime moderato di Isabella II, che nel 1855 lo proclamò poeta nazionale, divenne uno dei letterati più ammirati del paese in virtù dei suoi ideali patriottici.
Il letterato cremonese Antonio Cazzaniga riporta nella sua opera miscellanea Molte frasche e Poche frutta (Milano, Chiusi, 1843) la conversazione avuta a Madrid con questo illustre spagnolo nel 1833. Cazzaniga racconta che, nonostante i riferimenti alla dominazione spagnola presenti nel romanzo, il poeta spagnolo avesse manifestato molta ammirazione per l’opera e per l’autore: «Questi Promessi Sposi mi hanno innamorato del loro autore: volle quindi sapere da me ogni più minuta particolarità su Alessandro Manzoni, sulla sua età, sulla sua persona, sui suoi studi, su tutto quanto lo riguardava, e sulla sua famiglia. E quando seppe che la madre di questo nostro illustre concittadino era la figlia di Beccaria, dell’autore Dei Delitti e delle Pene…- O la beata, o la felice, l’avventurosa delle donne!»
Manuel José Quintana ritratto da José Ribelles, Museo Nacional del Prado, Madrid, 1806
1833: la prima traduzione e la polemica sui depennamenti
Nel 1833 - anno della pubblicazione dell’Oda a la patria di Aribau – esce a Madrid – nell’ambiente conservatore castigliano – la prima traduzione dei Promessi sposi, realizzata da Félix Enciso Castrillón (1780-ca.1840). L’opera, in tre volumi, reca il titolo Lorenzo o los prometidos esposos, fedele all’originale ma poco fortunato rispetto a quello delle successive traduzioni (Los novios).
Il romanzo pose al traduttore problemi di ordine politico e ideologico. Lo confessava egli stesso nell’Advertencia del traductor (Advertencia in cui il traduttore colloca l’opera di Manzoni «entre las mas bellas de la literatura moderna», «tra le più belle della letteratura moderna»), dove affermava di aver depennato gli accenni critici alla Spagna e certe verità su comportamenti riprovevoli che la prudenza consigliava di ignorare: «me he tomado la libertad de suprimir alguna cosa […] Los que hayan leido el original no podrán desconocer las causas que me han obligado á suprimir ciertas expresiones y ciertos rasgos, que ni contribuyen al verdadero interés de la obra» («mi sono preso la libertà di togliere qualcosa […]. Coloro che hanno letto l'originale, non potranno ignorare le cause che mi hanno costretto a sopprimere certe espressioni e alcune caratteristiche che non contribuiscono al vero interesse dell’opera»).
Il deturpamento non sfuggì ai contemporanei, e lo dimostra il fatto che sul giornale «El Espanol» un articolo, uscito il 21 giugno 1836, ricordasse la descrizione dei bravi nell’«obra incomparable I promessi sposi» («opera incomparabile I promessi sposi»), precisando in nota: «Merece este elogio el original italiano, no la traduccion espanola infiel y mutilada» («Merita questo elogio l’originale italiano, non la traduzione spagnola infedele e mutilata»). Alla critica aveva risposto Enciso sul numero del 15 luglio scaricando la responsabilità sulla censura di Calomarde; il giornale aveva controreplicato contrapponendo agli argomenti nazionalistici le ragioni della verità storica.
Gli interventi attuati dal traduttore – aggiunte, soppressioni e sostituzioni - non passarono inosservati alla critica. La scarsa attenzione e l’incapacità del traduttore, che non si preoccupò di conservare certe espressioni stilistiche e certe ironie, la scelta di alleggerire e sfoltire il testo nelle parti storiche e, soprattutto, la posizione ideologica del traduttore, cattolica e conservatrice, sono fattori la cui presenza risulta costante in tutta la traduzione.
Frontespizio del I tomo della prima traduzione spagnola dei Promessi sposi (1833)
Un traduttore liberale in fuga
Il traduttore della seconda edizione della 27ana, Juan Nicasio Gallego (1777-1853), era un sacerdote liberale, canonico di Siviglia, che, in seguito alle persecuzioni subite dall’apparato repressivo di Ferdinando VII, si rifugiò in Catalogna, dove entrò in contatto con il circolo di Aribau. Fu proprio l’autore della Oda a la patria a «sponsorizzare» questa seconda versione castigliana del romanzo pubblicata a Barcellona fra il 1836 e il 1837 da Antoni Bergnes de las Casas (1801-1879), editore importante che si era già distinto per le edizioni e le traduzioni delle opere di Goethe, Chateaubriand e Scott.
La «clásica versión castellana», come la definì un grande estimatore dell’opera manzoniana Marcelino Menéndez y Pelayo, registrò un successo più ampio rispetto alla versione del Castrillón. Se è vero che le scelte linguistiche del Gallego furono determinanti per il successo dell’opera, bisogna riconoscere che la lingua della traduzione non si distacca poco dall’originale: diversi tratti dello stile di Manzoni, fra cui l’ironia, non trovano riscontro nella versione del Gallego, che impiegò una lingua arcaizzante e popolare. Pur non mancando aggiunte, omissioni e semplificazioni, la versione del Gallego godé di una grande fortuna anche dopo le prime traduzioni della Quarantana, per le quali bisognerà attendere gli anni ’50 dell’800. Anche il titolo Los Novios, che riprende quello dell’edizione francese del 1828, Les Fiancés, non costituisce una traduzione fedele, ma, tranne in alcune casi, rimarrà invariato nelle successive traduzioni.
Juan Nicasio Gallego Fernández ritratto in Los Poetas contemporáneos da Antonio María Esquivel, Museo Nacional del Prado, Madrid, 1846
L’eco dei «Promessi sposi» nei romanzi di Enrique Gil y Carrasco
Enrique Gil y Carrasco (1815-1846) nacque a Villafranca del Bierzo, nella regione del León, dove trascorse un periodo fra il 1839 e il 1840, durante il quale scrisse il breve romanzo El lago de Carucedo, che uscì a puntate sul «Semanario pintoresco Español» nel 1840. Nello stesso periodo raccolse il materiale per la stesura del più ampio El Señor de Bembibre, pubblicato a Madrid nel 1844 mentre l’autore si trovava a Berlino. Alcune copie di quest’ultimo romanzo arrivarono nella città di tedesca e di una di queste il Carrasco fece dono al re Federico Guglielmo IV che, apprezzando l’opera, concesse allo scrittore la Gran Medaglia d’Oro.
La critica ha riconosciuto in entrambi i romanzi la presenza di echi dei Promessi sposi. Nell’Introduzione a El lago de Carucedo l’autore finge che un sacerdote, Don Atanasio, abbia raccolto la storia in un manoscritto, recuperando così l’espediente che già Manzoni, e prima di lui Cervantes, aveva impiegato. Protagonisti della storia sono due giovani, Salvador e Maria. Il loro amore è ostacolato dal signore del castello di Cornatel, don Álvaro de Rebolledo, presso il quale Padre Osorio cerca di intercedere, pregandolo di non insidiare la giovane. L’episodio ricorda il capitolo IV dei Promessi sposi, quando fra Cristoforo si rivolge a don Rodrigo. I sacerdoti di entrambi i romanzi hanno alle spalle un burrascoso passato. Ma l’autore spagnolo sembra aver guardato anche alla supplica di Lucia all’Innominato affinché questi la liberasse e al voto da lei pronunciato. I due episodi trovano infatti un corrispettivo nelle parole di Maria a don Álvaro de Rebolledo e nel voto di Salvador che decide di farsi frate.
Anche la trama de El Señor de Bembibre pone al centro un matrimonio ostacolato. Il padre della protagonista è infatti deciso a far sposare la figlia con il personaggio che dà il titolo al romanzo. Tornano, inoltre, la figura del frate, qui l’Abad de Carracedo che aiuta i due amanti, e il voto, compiuto da Alvaro, come ulteriore ostacolo alla loro relazione. Nonostante il finale tragico dei due romanzi spagnoli, gli studiosi hanno riscontrato influssi manzoniani anche nell’ideologia: la Provvidenza e il perdono giocano infatti un ruolo fondamentale anche ne El lago de Carucedo e ne El Señor de Bembibre.
Ritratto di Enrique Gil y Carrasco
1841: il saggio di Quadrado su «La Palma»
Il primo saggio critico sui Promessi sposi uscì il 31 gennaio del 1841 sulla rivista maiorchina «La Palma» ma riapparve pochi mesi dopo sul periodico madrileno «El Panorama» e sulla granadina «L’Alhambra». Lo studio, firmato dal giovanissimo José Maria Quadrado (1819-1896), fondatore della rivista, è il più breve fra tutti quelli dedicati dal critico agli autori stranieri.
La sintesi del Quadrado, che stabilisce un confronto fra l’opera manzoniana, il Jocelyn di Chateaubriand e Notre Dame de Paris di Hugo, valorizza i diversi aspetti dei Promessi sposi: struttura corale e sociale, attraverso la presenza delle classi inferiori, naturalezza e spontaneità, intento etico e ironia. Il critico riconosce la complessità dell’opera data dalla compresenza di affari pubblici e privati, di esempi di ingiustizia e virtù, dalle descrizioni della peste e della guerra. L’unica riserva investe l’episodio della monaca di Monza, secondo il Quadrado lontano dal tono generale del romanzo.
Il testo costituisce una vera e propria “scintilla” nel panorama della critica manzoniana europea. Lo studio, la cui importanza fu riconosciuta da Manuel Milá y Fontanals, che ne inserì i passi principali nella sua biografia del Manzoni, e dall’erudito santanderino Marcelino Menéndez y Pelayo, ultimo manzonista dell’800, inaugurò la critica iberica manzoniana all’insegna dell’oggettività e del realismo. I critici successivi guarderanno al saggio del Quadrado, recuperandone in parte l’impostazione.
Prima pagina del saggio di Quadrado uscito su «La Palma» il 31 gennaio 1841
I Promessi sposi e la leyenda negra
La fama di Manzoni in Spagna affonda le sue radici nella stampa. Sono numerosi gli articoli usciti nel corso del XIX secolo, in cui l’autore e la sua opera compaiono come referente politico ed estetico.
Sul versante politico il romanzo è spesso citato come testimonianza della leyenda negra, ovvero dell’idea negativa della cultura spagnola, diffusa a partire dal XVI secolo, in seguito alla dominazione in Italia. Un esempio è costituito dall’articolo del politico Antonio Cánovas del Castillo, intitolato Dominación española en Italia e pubblicato il 23 maggio del 1860 su «La Época». Il Cánovas tende a correggere l’immagine erronea della presenza spagnola, data soprattutto dalla storiografia italiana: «no puedo menos de recordar con pena cuánto han calumniado nuestro dominio ciertos libros italianos en los antiguos y últimos tiempos. […] Por ejemplo, un escritor tan popular en España como Manzoni se ha complacido en describir con sarcástica severidad muchas de las circunstancias que acompañaban al dominio español en Lombardía en aquel hermoso romance de I Promessi Sposi, que no tiene rival en la moderna literatura del continente europeo» («Non posso non ricordare con tristezza quanto hanno calunniato i nostri domini alcuni libri italiani in tempi antichi e recenti. […] Per esempio, uno scrittore così popolare in Spagna come Manzoni si è compiaciuto nel descrivere con sarcastica severità molte delle circostanze che hanno accompagnato il dominio spagnolo in Lombardia in quel bellissimo romanzo dei Promessi Sposi, che non ha rivali nella letteratura moderna dal continente europeo»). Ma accanto a questi riferimenti è possibile riscontrare tracce dell’opera del Manzoni che testimoniano l’ingresso di episodi e personaggi del romanzo nell’immaginario collettivo.
Dopo la morte dell’autore, uscirono molti necrologi, che insistono sul ruolo centrale rivestito dal Manzoni nel contesto politico italiano dell’800. Ben due notizie (la prima uscita su «La Ilustración Española y Americana» il 24 giugno 1873, la seconda su «El Album» il 31 agosto dello stesso anno) riportano un curioso aneddoto sugli ultimi istanti di vita del Manzoni: «Quando sarò morto fate voi quello che facevo io ogni giorno: pregate sempre per l’Italia, pregate per il Re e la sua famiglia, tanto buoni con me!».
Un confronto con la traduzione
I promessi sposi (1827)
Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, viene quasi a un tratto a ristringersi e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia riviera di rincontro […]
Incipit del romanzo dalla traduzione di Felix Enciso Castrillón (1833):
Si no miente el manuscrito de donde se han tomado estas noticias, era el 7 de Noviembre de 1628 cuando, casi al oscurecer, por una de las veredas que se forman en las pintorescas orillas del lago de Como, iba rezando el Oficio Divino D. Abundio, respetable Párroco de un pueblo inmediato. […]