Campotto: Museo delle Valli di Argenta
print this pageSabato 27 febbraio 2016, alle 20.30, nell'ambito della manifestazione "Lòm a Mêrz", si è svolta a Campotto, nel Museo delle Valli di Argenta, la presentazione del volume Agricoltura e alimentazione in Emilia Romagna - Antologia di antichi testi a cura di Zita Zanardi. Nel corso della serata è stato attivato per i bambini un laboratorio del pane.
La Romagna è una terra storicamente votata all’agricoltura che, come tutte le attività all'aperto, era ed è legata alle variazioni del clima, spesso inclementi. Così la tradizione contadina voleva che per scongiurare la malasorte si ricorresse a riti propiziatori, come i fuochi magici: i lumi di marzo appunto. L’accensione dei falò propiziatori celebrava l’arrivo della primavera invocando un’annata favorevole per il raccolto nei campi, ricacciando il freddo e il rigore dell’inverno. Il suo significato era quello d’incoraggiare e salutare l’arrivo della bella stagione, bruciando i rami secchi e i resti delle potature. Per questa occasione, negli ultimi tre giorni di febbraio e nei primi tre di marzo, ci si radunava nelle aie, si intonavano canti e si danzava intorno ai fuochi (al fugarèn), mangiando, bevendo e soprattutto divertendosi.
Oltre alla simbologia del fuoco purificatore, la manifestazione è stata dedicata quest’anno anche al tema del pane, altro elemento simbolico intimamente legato all’uomo e figlio stesso dell’agricoltura; la sua sostanza è costituita solo da elementi naturali quali l’acqua e la farina, figlie della terra. (da E-R.emiliaromagnaturismo)
Per maggiori informazioni sulla manifestazione si consulti Il lavoro dei contadini
Allegati
E si parla anche di ...
La coppia ferrarese
“Il pane ferrarese è un capolavoro di eleganza, di ingegnosità e di sapore che allieta l’occhio e persuade il gusto”. Così scriveva Riccardo Bacchelli sul «Corriere della sera», il 9 novembre 1958, ma già anni prima, nell’introduzione al primo volume del suo capolavoro Il mulino del Po, aveva dichiarato che “Egli [il mugnaio] intanto sostiene che per fare buon pane non si dà macinatura migliore e più gentile di cotesta di fiume; ed in luogo dove si fece sempre il miglior pane del mondo, ch’è il ferrarese, è un parere autorevole, mi pare”. Anche lo storico ferrarese Antonio Frizzi (1736-1800), autore della Salameide, nelle sue Memorie per la storia di Ferrara (ed. 1809 del tomo quinto postumo e ultimo, p. 140) scrive, riferendosi all’anno 1694, che “Il pane, che si vendeva pubblicamente in Ferrara a quel tempo era di tre spezie, l’una più raffinata dell’altra; ma quello di solo fior di farina non era di pubblico uso, come ne assicura il Chirografo, che or or citeremo, e solamente diveniva questo un capo di lusso delle private famiglie”.
Ma secondo la tradizione già il cuoco della corte estense, Cristoforo Messisbugo, aveva parlato della coppia nei suoi Banchetti, compostioni di vivande, et apparecchio generale (Ferrara, 1549): in effetti in diverse pagine viene citato il “pane ritorto” o “intorto”, come per esempio in occasione della cena organizzata da Girolamo Giliolo, nel 1536, per l’allora duca di Ferrara Ercole II. Si legge infatti che venne “Apparata la tavola con due mantili, si possero salviette, salini, coltelli, candelieri, e poi un pane intorto per persona, et una brazzatella, et uno pignocato grande dorato, et uno animaletto di zuccharo, o ucellino, o frutto, per posta”.
Risalendo ancora indietro nel tempo, gli Statuti della città di Ferrara del 1287 così stabilivano (rubrica CCCXVI.d De eosdem [pistores]): “Statuimus quod pistores panes facere teneantur habentes oredellos et quod insimul non baxentur quando coquentur …” (= Ordiniamo che i panettieri siano tenuti a fare i pani che abbiano orli e che nello stesso tempo non si abbassino quando cuociono). In un'altra rubrica (la CCCXV) era sottolineato quanto fosse importante la cottura e il peso, pena la multa in 12 ferrarini (monete in corso all’epoca). Era altresì importante e - anche questo veniva obbligato da legislatura - che i forni per la cottura del pane fossero posti lontani dal passaggio pubblico, questo per evitare che i passanti si scottassero con le faville del fuoco e per evitare inoltre che la polvere, mossa dal calpestio, finisse sui pani appena cotti (rubrica CCCXVII De fornariis). Nella cottura per terzi era prescritto che il pane fosse “bene coctus et saxonatus” (= ben cotto e lievitato). I fornai allo scopo erano obbligati a porre il sigillo della loro bottega sopra le pagnotte. I fornai erano anche obbligati a fare un pane di una sola qualità di farina levando solo la crusca.
Nella pagina della Regione Emilia-Romagna (E-R Agricoltura e pesca) si legge che il pane ferrarese in forma di coppia è prodotto con farina di grano tenero tipo 0, acqua, strutto di puro suino, olio extravergine di oliva, lievito naturale madre, sale alimentare, malto (art. 2 del Disciplinare IGP). La coppia ferrarese ha un aspetto molto particolare e per questo molto noto: due pezzi di pasta legati assieme a forma di nastro e un corpo centrale, ciascuno con le estremità ritorte in modo da formare un ventaglio di quattro corna le cui estremità sono chiamate crostini. La pezzatura varia tra 80 e 250 grammi.
Il disciplinare IGP (Indicazione geografica protetta “Coppia ferrarese” del 28 agosto 2007) definisce anche le modalità per ottenere il lievito madre (art. 5).
Per la sua consistenza secca e croccante di un grissino, la coppia ferrarese è ideale per accompagnare i salumi tipici della gastronomia ferrarese. Il suo cuore morbido, dalla mollica compatta, lo rende inoltre adatto a raccogliere gli intingoli e i brodetti.
La Coppia Ferrarese si conserva in luogo asciutto anche per alcuni giorni senza perdere le sue caratteristiche.
Una ricetta: Salama da sugo con coppia ferrarese
Ingredienti per 4 persone
4 Coppie Ferraresi Igp, 1 salama da sugo
Preparazione
Avvolgere la salama da sugo in un telo di cotone. Sistemarla sospesa su una pentola con acqua in ebollizione. Cuocerla per circa 5 ore a vapore. Togliere la salama dalla pentola, affettarla e servirla ben calda su un piatto di portata accompagnata alla Coppia ferrarese e a una purea di patate aromatizzata con un mezzo bicchierino di brandy.
Vino in abbinamento: Lambrusco Reggiano Doc.
Bibliografia di riferimento:
Statuta Ferrariae anno MCCLXXXVII, trascrizione introduzione e glossario di William Montorsi, [presentazione di Giorgio Cencetti], Ferrara, Cassa di Risparmio di Ferrara, 1955