1 - Livio, Opera omnia
print this pageL’opera dello storico patavino Tito Livio, caposaldo della storiografia romana e pilastro della tradizione umanistica, ebbe una vastissima fortuna critica e fu nei secoli celebrata tra le più autorevoli testimonianze dell’antichità classica.
L’edizione qui presentata, curata da Luca Panezio, uscì a Venezia nel 1520; essa contiene, oltre alle Decadi liviane superstiti allora note, il testo antico dell’Epitome degli Ab Urbe condita libri, nonché il De primo bello punico dell’umanista Leonardo Bruni, composto in lingua latina.
Sul frontespizio, stampato in rosso e nero, il titolo è sormontato da una xilografia, che presenta, entro una nicchia absidata, l’iscrizione
VERA . TITI . LIVII . EFFIGIES .
corrente lungo l’arco, e un busto maschile, raffigurato in atto di sorreggere con la destra un volume rilegato.
Il piatto anteriore del libro reca la sigla “Z.A.”, una firma ricorrente nel panorama dell’incisione italiana tra Quattro e Cinquecento, ora di controversa interpretazione, già convenzionalmente ricondotta a una personalità artistica identificata come “Zoan Andrea” – vicina ai modi della scuola lombarda e alla cerchia di Andrea Mantegna – di cui però in tempi recenti si è posta in dubbio la stessa esistenza, con l’ipotesi che la sua presunta produzione grafica di derivazione mantegnesca sia invece da assegnare a Giovanni Antonio da Brescia, artista attivo in quel periodo nel medesimo ambiente.
Il ‘ritratto’ di Livio, che propone ovviamente caratteri fisionomici di fantasia, riproduce un modello scultoreo tardo medioevale, un rilievo in pietra di Nanto tuttora visibile a Padova, all’esterno del lato occidentale del Palazzo della Ragione, sopra la Porta delle Debite.
L’effigie in esame mostra caratteri iconografici affini a quelli codificati dalla tradizione per i ritratti dei magistri dello Studio patavino, sovente riconducibili al tipo della imago cathedrata, ben attestato nell’ambiente veneto del tempo. A questo schema rimandano sia l’abbigliamento, soprattutto la cappa di ermellino, sia l’attributo del libro; degno di nota l’atto di portare alla guancia il dito indice della mano sinistra, motivo derivato dalla tradizione del signum silentii o signum harpocraticum, inteso a qualificare il personaggio come uomo colto e sapiente.
L’editio veneta delle Decadi liviane presenta anche altre xilografie, poste a introdurre ciascuno dei libri di cui si compone il testo, con illustrazioni di episodi storici pertinenti al periodo ivi trattato, sviluppate entro riquadri rettangolari al di sopra dell’incipit.
La prima pagina del primo libro dell’editio veneta delle Decadi liviane è impreziosita lungo il bordo, sui quattro lati, da una cornice suddivisa in quattordici settori, contenenti altrettante scene spesso corredate da brevi iscrizioni; due di queste scene esulano dai limiti cronologici dell’opera liviana, per giungere sino alla fine dell’età giulio-claudia.
Risulta evidente come, sia sul piano stilistico, sia sotto l’aspetto del costume e dell’ambientazione, queste vivaci scene narrative siano legate a schemi convenzionali “popolari” o “correnti”; la stessa scelta dei soggetti, che per la gran parte predilige eventi drammatici, fatti di sangue o particolari addirittura macabri, nel palese intento di ‘impressionare’ il lettore, sembra confermare il tono precipuamente divulgativo dell’apparato iconografico.