Stefano Lecchi, 1849, carta salata da calotipo, 163x224 mm.
Iscrizioni: segni di puntine da disegno agli angoli; (recto) evidentissimi ritocchi a matita; (verso) a matita blu-violacea al centro “Calandrelli” e in alto a destra “16”, a inchiostro in basso “S. Lecchi 1849”, di lato a destra timbro numerico a inchiostro blu “961403”.
Casino Barberini. Si notano i dipinti murali di una sala del primo piano. Sul fianco dell’edificio, un cumulo di macerie della breccia. A sinistra, seduti su un muricciolo, un uomo con tuba e forse due bambini. Altro esemplare presso CRSAB L 196. Dalla fotografia derivano la litografia Casino Barberini presso la breccia della serie Gallassi e Ferrini riportata in De Cuppis, Atlante generale... e la litografia della serie Danesi (cfr. Garibaldi Arte e Storia, p. 301).
Biblioteca di Storia moderna e contemporanea Ft.A.16
Citazione bibliografica
Il 21 giugno «La casa de’ Barberini servì di ricovero alle guardie romane del bastione 6 e colà sostener l’assalto dei francesi cui ferirono mortalmente due capitani […] ma quantunque si difendessero valorosamente, furon sopraffatti, e ritiraronsi a san Cosimato». Spada, Storia della rivoluzione di Roma..., p. 616. «Il governo della Repubblica aveva ordinato che nei movimenti di terra fossero impiegati i condannati ai lavori forzati. Spesso erano appaiati, cioè legati a due a due, con le catene ai piedi, costretti a lavorare l’uno accanto all’altro. Avvenne pertanto il caso, e ne fui io stesso testimone stando presso il Casino Barberini, che uno dei due fosse atterrato sotto l’urto violento di una bomba, non ancora scoppiata. L’altro che sarebbe stato in tempo di sottrarsi fuggendo al pericolo, essendo legato al primo già cadavere, dovette invece rimanere colà immobile ad attendere che la bomba scoppiasse, come infatti dopo non molto scoppiò e lo uccise. Questo orrendo quadro, veduto da molti di noi, provocò vivaci parole di biasimo, per chi aveva permesso l’impiego dei forzati a quel modo». Cadolini, I ricordi di un volontario, p. 455. «Un manipolo dei nostri, fra i quali il pittore Gerolamo Induno, diede nella mattinata un assalto alla casa Barberini. I Francesi, non mostrandosi, lasciarono che entrassero dentro e li crivellarono di baionettate. Tra gli altri l'Induno venne gettato fuor da quella casa ed a forza di baionettate, ne ebbe quindici o venti di gradino in gradino fatto rotolare per la scalinata. Non so come venne liberato: la sera stessa, però, trovai l'Induno all'ospedale amorosamente curato dal dott. Feliciani che salvò la vita all'artista eroe». Costa, Quel che vidi e quel che intesi, p. 75.