Nato nel 1926 e come uno dei suoi personaggi più amati e studiati Giulio Cesare Croce, “in tempo di Carnevale”, mio padre, auto ironico e anticonvenzionale, sembrava riassumere nel carattere i contrasti di quel periodo di licenze, così da poter essere, quasi simultaneamente, burbero e spassoso, severo e comprensivo, malinconico e allegro, rigoroso e iconoclasta, autoironico e anticonvenzionale. Poco propenso agli spostamenti, amava però viaggiare senza limiti attraverso le strade rintracciate nelle sue sterminate letture, che affrontava con metodo rigoroso di filologo e sostenuto da una prodigiosa memoria,. Strade tanto meglio se laterali e polverose. Aristocratico nei modi e nel gusto,
manifestava tuttavia una spiccata simpatia per gli umili e gli irregolari ai quali ha infatti dedicato pagine memorabili. Legato quasi morbosamente alle memorie personali, al vissuto biografico: come ha scritto “si dovrebbe fare storia partendo dalle genealogie di famiglia, dalla ricostruzione dei volti, delle voci, dei mestieri di un piccolo nucleo, ricostruendo dal basso e dal concreto un’immagine del mondo”. Partendo dall’auscultazione delle voci della Romagna natia ha ricostruito con vividezza di scrittore un mondo in parte scomparso e invisibile. Di Leonardo Fioravanti, il suo ultimo personaggio e forse suo alter ego, ha detto: “sapeva per esperienza che la terra era un viscido labirinto pieno d’inganni e di gabberie, un mare d’invidia maligna denso d’insidie e di pericoli nel quale solo chi sapeva nuotare e barcamenarsi fra scogli e gorghi d’ogni genere riusciva a galleggiare e sopravvivere. Nella migliore delle ipotesi, una gabbia di matti”.
Ha confidato il desiderio di impegnare i giorni che sapeva ultimi nella redazione di “un libretto faceto”. Forse una sua opera carnevalesca?
Aurelia Camporesi