Aniello Fratta
Nel 1859 la torinese Rivista contemporanea, sulla scia dei festeggiamenti e delle manifestazioni promossi nel novembre di quell’anno in Germania per celebrare il centenario della nascita di Schiller, varò l’idea di approntare iniziative analoghe per il centenario dantesco del 1865. Ma quella idea era solo l’ultimo atto di un lento processo di appropriazione del mito dantesco che attraversa tutta la prima metà dell’Ottocento, favorita dalla temperie romantica e dalle aspirazioni degli Italiani all’indipendenza e all’unità nazionale. La figura di Dante rispondeva perfettamente al bisogno di un mito dal quale i politici e la nazione tutta potessero trovare l’ispirazione giusta per agire e cospirare in modo decisivo. Gli effetti non tardarono a palesarsi e interessarono da una parte, all’esterno, gli esuli politici e coloro che guardavano agli eventi fuori dell’Italia, inducendoli a prender coscienza del fatto che la questione risorgimentale italiana andava ricondotta nel quadro delle questioni europee, e, all’interno, indirizzando verso la lotta politica la faziosità degli Italiani.
I festeggiamenti del centenario della nascita di Dante nel 1865, pur raggiungendo la loro acme più solenne a Firenze nei giorni 14-16 maggio (n. 03, 04), videro la partecipazione di tutte le principali città italiane, e soprattutto di quelle che, come Mantova, Verona, Vicenza e Venezia (n. 05, 06, 07, 08), erano ancora sotto il dominio austriaco. Significativamente, perciò, nella Mostra vengono ospitati gli omaggi editoriali che queste città dedicarono al ritrovato simbolo dell’italianità. Significativa è anche la presenza dell’Omaggio a Dante Alighieri offerto dai cattolici italiani (n. 09), preoccupati che il sommo poeta potesse diventare “duce e maestro” di nuovi ghibellini: «Il sesto centenario dalla nascita di Dante Alighieri giustamente ha destato in cuore agl’Italiani il desiderio di celebrarlo con ogni maniera di omaggi e specialmente con quelli che a sommo ingegno si addicono, con opere di lettere. Ma molte ragioni ne indussero a temere non fossero cotesti omaggi per riuscire improntati di quello spirito irreligioso che da gran tempo si travaglia intorno a Dante per farlo suo duce e suo maestro. […] L’Italia si trova oramai quasi tutta venuta in balia d’uomini alla religione ostili, salvo un sol punto ancora inconquistato ch’è Roma, salvo una sola forza ancor vigorosa ed invitta ch’è il Papato; e però niuna cosa più utile più desiderata per loro che il poter risuscitare contro l’innato guelfismo d’Italia gli spiriti ghibellini di essa; nessun Ghibellino d’italiche simpatie più possente che il Dante; nessuna opportunità più favorevole per destarle a lor pro che la festa del suo centenario».
I festeggiamenti danteschi del 1865 ebbero, dunque, un carattere decisamente nazional-popolare; quasi tutti gli eventi furono organizzati a livello locale da municipi, associazioni culturali e comitati ad hoc, con i vertici dello Stato che parvero piuttosto andare a rimorchio di essi. Carattere nazional-popolare ebbe anche La Festa di Dante. Letture domenicali del popolo italiano (n. 10), un periodico stampato a Firenze, di soli due fogli, che programmaticamente si era prefisso lo scopo di «preparare il popolo alla gran festa in memoria di Dante». Il "Giornaletto", che spiegava temi e argomenti trattati nella Commedia, forniva riassunti dei canti e quadri sinottici delle cronache e degli avvenimenti di epoca dantesca, si profilava in realtà quasi come un’appendice didattica del Giornale del Centenario di Dante Allighieri (n. 11) anche se quest’ultimo aveva fatto la sua prima apparizione il 10 febbraio del 1864, mentre il primo numero delle Letture domenicali apparve il primo maggio 1864 (ma entrambi terminarono le pubblicazioni l’11 giugno 1865). Sul Giornale, insieme con articoli di taglio accademico su questioni dantesche di vario genere firmati dai dantisti più famosi dell’epoca (Gaetano Ghivizzani, Mariano Cellini, Giambattista Giuliani, Emilio Frullani, Gargano Gargani, ecc.), erano presenti, in quasi tutti i numeri, notizie o proposte attinenti ai festeggiamenti danteschi, presentate con crescente entusiasmo e inviti alla mobilitazione e alla partecipazione.
Nella mostra non poteva mancare quello che fu, sul piano accademico, un vero monumento editoriale celebrativo del centenario: la miscellanea di studi danteschi (che per Dionisotti «appare oggi anche qualitativamente importante») dal titolo Dante e il suo secolo (n. 12), due volumi in folio di quasi mille pagine stampati a Firenze per i tipi di M. Cellini e C., nella quale è giusto segnalare almeno il notevole contributo Delle rime di Dante Alighieri. Discorso di Giosuè Carducci.
L’articolo di Vittorio Imbriani, Un’ultima parola per finirla sul centenario dantesco, apparso su La Patria il 31 maggio 1865, è da considerarsi a tutti gli effetti una voce fuori dal coro. Non solo viene ridicolizzata l’organizzazione delle feste, ma anche la macchina delle lezioni pubbliche tenute da dantisti più o meno rinomati per fornire spiegazioni e nuove interpretazioni delle opere di Dante. Convinto dell’importanza di Dante nel processo risorgimentale, Imbriani utilizza la metafora della distribuzione delle ceneri del sommo poeta al popolo italiano per contrapporre all’insegnamento che istituzionalmente cala dall’alto un protagonismo popolare, con l’auspicio che l’insegnamento dantesco possa diventare appannaggio di tutti gli italiani. L'articolo fu ripubblicato con il titolo Arte e morale. A proposito del centenario dantesco in una raccolta di saggi di Imbriani a cura di Nunzio Coppola nel 1967 (Passeggiate romane ed altri scritti di arte e di varietà inediti o rari, Napoli: F. Fiorentino, 1967).