Il monumento a Dante Alighieri in Napoli

Maria Cristina De Crescenzo

Nell'Italia post unitaria, Dante incarnò lo spirito indipendente di artista che non si piega all'oppressione e che, attraverso la letteratura e la poesia, contribuisce, in modo determinante, allo sviluppo della storia culturale del Paese. Per esaltarne il mito, nel 1865, in occasione dei seicento anni dalla nascita del Sommo Poeta, si moltiplicarono le iniziative per celebrarne la grandezza ed il carisma.
Napoli contribuì con slancio e partecipazione agli eventi culturali, in particolare con la costruzione di un’imponente statua marmorea, collocata in un luogo centrale della città che diventò poi Piazza Dante. Per onorare il culto e la memoria di Dante, Vittorio Imbriani spese la sua autorevolezza e la sua fama di erudito, di intellettuale scomodo ed atipico.
Nelle carte possedute dalla Biblioteca Universitaria di Napoli si rinviene il primo documento che collega Imbriani a Dante: una Sottoscrizione per un Monumento al F.. Dante Allighieri in Napoli che Imbriani lancia quale segretario della Loggia massonica Libbia d'oro, costituita nella città partenopea nel 1863. Nell'appello rivolto alle altre logge massoniche italiane, Imbriani affermava: «Come i Longobardi infiggevano una lancia nel suolo conquistato, e noi così vorremmo innalzare un Monumento a Dante».
L'adesione di Vittorio Imbriani alla massoneria risale, probabilmente, al suo soggiorno di studi a Parigi, nel 1861, ed al successivo ingresso, nel 1862, nella Loggia del Grande Oriente di Firenze. Una nuova avventura per il giovane Imbriani che delineò ulteriormente la sua poliedrica formazione culturale, civile e politica. La denominazione della Loggia non è casuale: richiama l'immagine dell'ulivo, cioè la frasca (“libbia”) di quell'albero potata, che identifica la forza, la determinazione e la resistenza di una pianta antica e profondamente radicata nella storia del Sud Italia. La Libbia d'oro ebbe vita breve ma l'impegno profuso per erigere il monumento a Dante ben configura il disegno che animava Imbriani, la sua concezione della massoneria – connotata da un approccio diverso rispetto alle odierne deviazioni concettuali ed ideologiche – legata al ruolo di formazione di una coscienza nazionale, catalizzatrice degli spiriti risorgimentali. Con il monumento a Dante, Imbriani auspicava anche l'innalzamento morale dei principii sottesi al credo massonico, di cui il famoso fiorentino, secondo Imbriani, incarnava l'anima con la lotta personale condotta contro la corruzione e contro le ingerenze della Chiesa, a favore dell’unificazione tra gli stati italiani perennemente in conflitto.
Vittorio Imbriani si occupò, in modo accurato e puntuale, della Sottoscrizione che divenne parte importante dell'azione della Società Dantesca Promotrice di un Monumento a Dante in Napoli costituita nel 1862 e alla cui presidenza fu designato lo storico e patriota Luigi Settembrini. Della Società facevano parte intellettuali di grande rilievo, tra i quali Michele Pironti, Cesare Dal Bono, Antonio Ranieri, Giuseppe Del Giudice, Ferdinando Mascilli, Salvatore De Renzi (Presidente dell'Accademia Pontaniana), Francesco Caravita, marchese di Sirignano. Interessante è anche l'elenco di alcuni sottoscrittori, tra cui spiccano il re Vittorio Emanuele II, il principe Eugenio di Savoia Carignano, Bettino Ricasoli, il Banco di Napoli, la Procura Generale di Napoli e Paolo Emilio Imbriani, sindaco della città (e padre di Vittorio). Tutti accomunati dal progetto di rendere omaggio a Dante Alighieri che, «se a Firenze era considerato un grand'uomo, a Napoli raffigurava l'ingegno, il sapere, le sventure, le glorie, le fatiche, le speranze e tutta la vita dell'intero Popolo Italiano».
La realizzazione dell'opera – i cui artefici furono gli scultori Tito Angelini e Tommaso Solari – fu abbastanza travagliata per mancanza di fondi e per una consistente lievitazione dei costi. In un suo resoconto, pubblicato qualche anno dopo le celebrazioni dantesche sul giornale La nuova Patria tra il 1869 e il 1871, Imbriani raccontò la genesi dell'idea e come la realizzazione della statua avesse rappresentato un riconoscimento doveroso ad un magnifico, inimitabile artista.
Il progetto consentì a Vittorio Imbriani di rafforzare la sua connotazione di intellettuale sui generis, di critico pungente, che pone in discussione i concetti di Arte, di Bello e di Cultura, che esamina ed indaga il delicato e fondamentale ruolo che gli intellettuali ricoprono per la formazione della coscienza civile del nostro Paese. Un Imbriani profondamente consapevole delle gravose responsabilità che attengono ai pensatori. Un'ulteriore caratterizzazione di voce fuori dal coro, ma anche del suo particolare isolamento, che condusse i suoi critici a coniare la famosa definizione, un po' malevola, di "misantropo napolitano".