Maria Lucia Siragusa
L’analisi filologica della Commedia o Comedía dantesca è una delle più complesse della nostra letteratura per la dispersione del manoscritto originario e la produzione di diverse copie, di cui circa seicento solo nel XIV secolo.
Riccardo Veil ha avanzato l’ipotesi che l’opera sia stata diffusa per gruppi di cantiche o canti, aspetto che avrebbe favorito l’enorme diversità di trascrizione nei codici, a loro volta ripresi per le prime edizioni a stampa.
Secondo la critica, il poema fu composto tra il 1304 e il 1321. Una traccia dell’opera si ha in un registro bolognese del 1317 in cui è riportata dal notaio ser Tieri degli Useppi da San Gimignano la frase «vuolsi così colà dove si puote» (Inferno III, v. 95) e nella Epistola XIII rivolta da Dante a Cangrande della Scala in cui è riportato il termine «Comedía».
L’aggettivo «divina» viene introdotto per la prima volta da Giovanni Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante, scritto tra il 1351 e il 1372 per enfatizzare l’eccellenza del poema. Il termine «Comedía» è citato solo due volte nell’Inferno e nel Purgatorio, mentre nel Paradiso il poeta preferisce definirlo «poema sacro». Bisognerà aspettare il 1555 con l’edizione a stampa di Gabriel Giolito de’ Ferrari curata da Ludovico Dolce per avere il titolo di Divina Commedia. Il poema è stato il primo libro stampato in lingua Italiana.
I primi manoscritti censiti risalgono al 1336 circa. La maggior parte dei codici più antichi sono di provenienza toscana ma non il più antico - il cosiddetto Landiano 190 della Biblioteca Comunale di Piacenza - risalente al 1336, che fu trascritto a Genova da Antonio da Fermo per conto di un giurista pavese, Beccaro de’ Beccari.
In base al primo periodo dei codici (1330-1350) si distinguono: un filone che fa capo al manoscritto fiorentino Trivulziano 1080 del 1337, il più seguito nei successivi codici; un filone toscano; uno emiliano.
A queste tipologie filologiche si deve aggiungere il prezioso Codice Filippino (n. 01), così denominato per appartenere alla Biblioteca dei Girolamini dell’ordine dei Filippini di Napoli. Il manoscritto è il più significativo prodotto dantesco di area meridionale, corredato da 146 miniature e innumerevoli chiose di varie mani, anche in lingua napoletana, che intercalano il testo con correzioni.
Per le edizioni a stampa le date significative vanno dalla editio princeps del 1472 all’aldina del 1502: in quest’arco temporale sono racchiuse le varianti testuali oggetto della critica filologica fino ai nostri giorni.
I filoni seguiti sono sostanzialmente due: la «Vulgata dei Cento», un gruppo di codici pressoché identici riconducibili alla bottega di Francesco di ser Nardo di Barberino (di cui fa parte il codice Trivulziano 1080) e quello del gruppo «Vaticano-Boccaccio», ascrivibili al Codice Vaticano Lat. 3199, dono del Boccaccio a Francesco Petrarca, con relative varianti.
L’editio princeps è prodotta nel 1472 a Foligno da Johann Neumeister di Magonza, allievo di Johannes Gutenberg, con la collaborazione di Evangelista Angelini di Trevi.
Neumeister fuggì dal sacco di Magonza del 1462 e, come molti altri prototipografi, si diresse in Italia in cerca di mecenati per questa attività rivoluzionaria. Già nel 1463 è attestato a Foligno come copista di codici. I suoi finanziatori furono i fratelli Orfini, zecchieri pontifici e imprenditori. In particolare, Emiliano di Piermatteo degli Orfini provvederà a realizzare le lettere utilizzate per le prime edizioni a stampa di Foligno. L’edizione folignate della Commedia, di cui si conoscono 40 esemplari, si rifà al codice Lolliniano 35, conservato nella Biblioteca del Seminario di Belluno, ascrivibile alla cerchia dei «Danti dei Cento». Questa editio princeps presenta il passaggio dal manoscritto al testo a stampa, con le iniziali delle cantiche bianche da rubricare a mano. La punteggiatura è assente, frequenti i refusi e le ripetizioni.
Il successo codicologico ed editoriale dell’opera induce i prototipografi tedeschi venuti in Italia nella seconda metà del XV secolo a farne una delle loro prime edizioni a stampa.
Nel filone della «Vulgata dei Cento», nello stesso anno dall'editio princeps di Foligno, a Jesi (o Venezia) esce un’edizione di un tipografo italiano, Federico de' Conti da Verona, la prima che cita il nome di Dante nel colophon. Di questa tiratura sono rimasti solo sette esemplari. Molto alterata nel testo, parte dalla Vulgata ma corregge diverse espressioni forse per l’influsso di altri codici, tra cui quello del gruppo «Vaticano-Boccaccio».
Riprende il testo dalla folignate, compresi errori evidenti, l’edizione del 1477 stampata a Napoli dal titolo Incominciano le Cantiche de la Comedia di Dante Alleghieri Firentino (n. 02), priva del nome del tipografo ma attribuita a Matthias d’Olmutz, soprannominato il Moravo.
Sempre a Napoli nel 1478 è pubblicata da Sisto Riessinger, tedesco, un’edizione curata da Francesco del Tuppo che riprende dalla folignate ma con varianti correttive negli errori di trascrizione.
Ascrivibile al gruppo dei «Cento» è la stampa di Vindelino da Spira (Windelin von Speyer) del 1477, Qui comincia la vita e costumi dello excellente poeta vulgari Dante alighieri di firenze… (n. 03), considerata la prima edizione commentata in volgare della Commedia, con intenti didattici, a cura di Jacopo della Lana ed erroneamente attribuito a Benvenuto da Imola. L’opera è preceduta dalla Vita di Dante del Boccaccio in cui compare per la prima volta a stampa l’espressione «divina commedia».
Al gruppo «Vaticano-Boccaccio», che comprende circa undici edizioni, fa capo la Commedia del 1472 pubblicata a Mantova dai tipografi tedeschi Georg e Paul Butzbach, curata da Colombino Veronese. È considerata un caposaldo delle prime edizioni, da cui discendono quella di Filippo di Pietro di Venezia del 1478 e l’edizione milanese Comincia la Comedia di Dante Aldighieri excelso poeta firentino (n. 04) del 1477/78, finanziata da Guido Terzago, nota come «Nidobeatina» per il commento di Martino Paolo Niba (Nidodeato). Secondo quanto afferma Angelo E. Mecca questa edizione, pur partendo dal gruppo «Vaticano-Boccaccio», sembra che abbia ripreso il testo pedissequamente dal Codice di Cambridge 2.3.
Il filone «Vaticano-Boccaccio» trova la sua espressione più compiuta nella prima edizione dantesca fiorentina del 1481, Comento di Christophoro Landino fiorentino sopra la Comedia di Danthe Alighieri poeta fiorentino (n. 05), per i tipi di Niccolò di Lorenzo della Magna, anch’egli tedesco, curata con il commento di Cristoforo Landino. Per questa edizione costosa, Sandro Botticelli ebbe l’incarico di realizzare i cento disegni di introduzione ai canti incisi da Baccio Baldini. Il lavoro non fu completato e furono prodotte solo diciannove incisioni relative ai primi canti dell’Inferno.
Dall’edizione del Landino discendono le altre sei del XV secolo: la veneziana di Ottaviano Scoto (1484), l’edizione bresciana del 1487 di Bonino de’ Boninis, la prima con illustrazioni xilografiche; le altre, tutte veneziane, di Bernardino Benali e Matteo Codecà (1491), di Pietro di Piasi detto Cremonese (1491), di Matteo Codecà (1493), di Piero da Zuanne Quarengi (1497).
Una svolta per l’edizione critica del testo si ha nel 1502 con l’aldina in formato tascabile Le terze rime de Dante (n. 06), commentata da Pietro Bembo, una elaborazione del Codice Vaticano 3199 - dono del Boccaccio al Petrarca e pervenuto al padre del Bembo - confrontata con l’edizione col commento del Landino.
Questa aldina, replicata nel 1515 con il titolo Dante col sito, et forma dell'Inferno tratta dalla istessa descrittione del poeta (n. 07), diventa il modello delle successive edizioni per tutto il XVI secolo e si impone sulla «Vulgata dei Cento», punto di riferimento anche per l’edizione dell'Accademia della Crusca del 1595.
Si distacca dall’aldina del Bembo l’edizione del 1506 di Filippo Giunti, curata da Girolamo Benivieni, amico di Pico della Mirandola, che diventa l’alternativa più importante del secolo fino al 1595.
Altra variante all’edizione del Bembo è quella del 1544, La Comedia di Dante Aligieri con la nuova esposizione di Alessandro Vellutello (n. 08), stampata e illustrata da Francesco Marcolini a Venezia, per la cura di Alessandro Vellutello. Secondo il Volkmann, sono le prime illustrazioni moderne della Divina Commedia. L’intento del curatore è di realizzare un testo che si distacchi sia da quello bembiano che da quello del Landino.
Con Gabriel Giolito de’ Ferrari nel 1555, a cura di Ludovico Dolce, compare per la prima volta nel titolo: La Divina Commedia.
Nel 1564 esce un’altra edizione a Venezia con commento di Cristoforo Landino e Alessandro Vellutello, Dante con l’espositione di Christoforo Landino et di Alessandro Vellutello... per Francesco Sansovino Fiorentino (n. 09), la prima edizione che riunisce i commenti di Landino e Vellutello. Il testo è riccamente illustrato da 96 xilografie, più un ritratto famoso di Dante, racchiuso in una cornice ricca di elementi, che ha denominato l’edizione “del Nasone”. Il ritratto del poeta sembra essere ripreso da quello di Giorgio Vasari posseduto dal Minneapolis Institute of Art. A Francesco Sansovino si devono gli argomenti che corredano ogni canto, con la grafia che si rifà all’aldina del 1502. Di questa edizione sono state prodotte due ristampe nel 1576 e nel 1578.
Significativa l’edizione veneta Dante con l'espositione di m. Bernardino Daniello da Lucca… (n. 10) del 1568 di Pietro Fino con il commento postumo di Bernardino Daniello, comunque di linea bembiana.
La diuina commedia di Dante Alighieri nobile fiorentino ridotta a miglior lezione dagli accademici della Crusca (n. 11), per Domenico Manzani del 1595, nasce dalla necessità degli Accademici di «sanarlo dalle sue piaghe» come affermato in prefazione da Bastiano De’ Rossi, "l’Inferigno", cioè dalla corruzione del testo originale attraverso i vari manoscritti ed edizioni, sottolineando che «della nostra favella… questo divin poema è la miglior parte, la prima è stata, e la principale». L’opera fu realizzata in cinque anni, anticipando la stampa del famoso Vocabolario.
Il testo è il frutto della selezione di ben cinquantadue manoscritti custoditi nella casa dell’arciconsolo Pietro Segni, "l’Agghiacciato", per volontà di Pier Francesco Maritozzi, altro accademico. L’edizione venne curata da Giambattista Deti. L’intento degli Accademici era quello di dar vita ad un’edizione che si distaccasse dalla lezione del Bembo, recuperando la tradizione del Petrarca e del Boccaccio, ma il risultato non fu eccellente al punto che gli stessi Accademici pensarono ad una nuova versione del testo.
Il XVII secolo presenta solo tre edizioni dell’opera dantesca, segno di disinteresse dell’editoria e dei lettori verso l’opera.
Nel Settecento rinascono gli studi danteschi, senza sostanziali variazioni alle edizioni precedenti. Nel 1726-27 esce una nuova edizione dell’Accademia della Crusca, La Divina Commedia di Dante... curata dall'Accademia della Crusca con rimario e tre indici (n. 12), per il commento di Antonio Volpi e per i tipi di Giuseppe Comino di Padova.
Si distinguono per il grande pregio editoriale le Opere di Dante dai torchi di Antonio Zatta pubblicate in cinque volumi tra il 1757 e il 1758, edizione curata da Cristoforo Zapata de Cisneros, con 114 incisioni. I primi tre volumi contengono la Divina Commedia di Dante Alighieri con varie annotazioni, e copiosi rami adornata... (n. 13), basata sulla lectio dell’Accademia della Crusca; il quarto volume, diviso in due tomi, contiene le Prose, e rime liriche edite ed inedite di Dante Alighieri, con copiose ed erudite aggiunte.
Nel 1817 viene stampata a Firenze, all’insegna dell’Ancora, in ristretto numero di esemplari, la pregevole edizione La Divina commedia di Dante Alighieri con tavole in rame (n. 14), curata da Antonio Renzi, Gaetano Marini, Gaetano Muzzi e dedicata ad Antonio Canova. È stata considerata dai bibliografi come De Batines, Graesse e Brunet una delle edizioni dantesche più significative per lo splendore della carta e dei caratteri, nonché per il valore artistico delle incisioni e la selezione dei commenti tratti da vari codici.
Tra il 1819-1821 a Bologna esce La Divina commedia di Dante Alighieri con tavole in rame (n. 15), per Gamberini e Parmeggiani. L’opera è curata da Filippo Macchiavelli con lo scopo di far conoscere le incisioni di suo zio Giovanni Giacomo Macchiavelli, come afferma Giuliano Mambelli. La Curia censurò le nudità dei rami originari che furono quindi ritoccati.
Nel 1837 l’Accademia della Crusca dà alle stampe una nuova edizione, a cura di Giovan Battista Niccolini, Gino Capponi, Giuseppe Borghi e Fruttuoso Becchi.
A Londra nel 1842 l'editore Pietro Rolandi pubblica La Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo (n. 16), con una prefazione di Giuseppe Mazzini che si firma «Un italiano». L’opera, pubblicata a dispense, è considerata rara per il corredo delle dieci tavole che venivano vendute separatamente in una dispensa. Le litografie presentano un ritratto del Foscolo, due ritratti di Dante, la raffigurazione dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, la tomba di Dante in Ravenna e il suo interno.
Karl Witte per la sua La Divina Commedia di Dante Allighieri, secondo la lezione di Carlo Witte (n. 17), prima edizione italiana adorna di cento incisioni antiche del 1862, utilizza per l’analisi filologica il Codice vaticano 3199 e il codice laurenziano di Santa Croce 26 commentato e copiato sullo scorcio del trecento da Filippo Villani, come annotato alla c. 201r.
Siamo ormai arrivati alle celebrazioni dei centenari danteschi. In occasione del sesto centenario dalla nascita del 1865 si inserisce l’edizione commentata da Niccolò Tommaseo, Commedia di Dante Allighieri con ragionamenti e note di Niccolò Tommaseo (n. 18), edita a Milano per Pagnoni. È una delle più belle edizioni ottocentesche dell’opera, in tre volumi corredati da 54 tavole incise in acciaio da Giuseppe Gandini su disegno di Federico Faruffini e Carlo Barbieri. L’antiporta con ritratto del Poeta è incisa da Giuseppe Buccinelli.