Tecniche

Macchina fotografica per dagherrotipi del litografo e fotografo Vincenzo Bassoni e adoperata negli anni Quaranta dell’Ottocento (Liceo Classico “Pontano-Sansi”, Spoleto)Nell’estate del 1839 viene presentato in Francia il dagherrotipo; due anni più tardi il fisico inglese William Henry Fox Talbot, brevettò il procedimento con il quale, utilizzando come supporto per il materiale sensibile la carta, era possibile ottenere da un'immagine negativa più copie positive. Nasceva così la calotipia che fu molto utilizzata dal 1839 al 1860 e rappresenta il primo vero procedimento di stampa fotografica in senso moderno perché permetteva di ottenere più copie positive da un negativo.

Questo processo detto “a stampa diretta” o “ad annerimento diretto”, perché avveniva sotto l’azione della luce, ebbe molte varianti e miglioramenti e fu la tecnica più diffusa durante l’Ottocento.

La denominazione della tecnica deriva dalla soluzione salina (generalmente cloruro di sodio, ioduro di potassio, cloruro di ammonio, o, nel caso di Lecchi, bromuro di iodio) con cui era trattata la carta che poteva pertanto essere conservata a lungo.

I fogli di carta, al momento dell’uso, venivano sensibilizzati in una soluzione di nitrato d’argento ed essiccati. Così preparate le carte venivano esposte alla luce, a contatto diretto con il negativo in un torchietto. Un dorso incernierato consentiva di sollevare un lembo della carta salata e controllare quindi il processo di annerimento.

 

Approfondimento

Macchina fotografica per dagherrotipi del litografo e fotografo Vincenzo Bassoni e adoperata negli anni Quaranta dell’Ottocento (Liceo Classico “Pontano-Sansi”, Spoleto)Nel 1841 il fisico inglese William Henry Fox Talbot, brevettò il procedimento con il quale, utilizzando come supporto per il materiale sensibile la carta, era possibile ottenere da un'immagine negativa più copie positive. Nasceva la calotipia che fu molto utilizzata dal 1839 al 1860 e rappresenta il primo vero procedimento di stampa fotografica in senso moderno.

Questo processo detto “a stampa diretta” o “ad annerimento diretto”, perché avveniva sotto l’azione della luce, ebbe molte varianti e miglioramenti e fu la tecnica più diffusa durante l’Ottocento.

La denominazione della tecnica deriva dalla soluzione salina (generalmente cloruro di sodio, ioduro di potassio, cloruro di ammonio, o, nel caso di Lecchi, bromuro di iodio) con cui era trattata la carta che poteva pertanto essere conservata a lungo.

Secondo Marina Miraglia «La calotipia viene preferita dal Lecchi alla dagherrotipia per il peso minimo dei materiali e per il vantaggio non indifferente di poterli preparare anche alcuni mesi prima dell’uso e d’essere dispensato da tutta quella serie di operazioni in loco che appesantivano e complicavano il processo di Daguerre specie per i fotografi viaggiatori e di reportage» (Miraglia 2001).

I fogli di carta, al momento dell’uso, venivano sensibilizzati in una soluzione di nitrato d’argento ed essiccati. Così preparate le carte venivano esposte alla luce, a contatto diretto con il negativo in un torchietto. Un dorso incernierato consentiva di sollevare un lembo della carta salata e controllare quindi “ad occhio” il processo di annerimento.

Il tempo della stampa era veloce se venivano esposte alla luce diretta del sole ma si otteneva così il minimo contrasto; esponendole invece per un tempo più lungo a una luce diffusa si otteneva una stampa più contrastata.

Dopo la stampa si procedeva a lavare in acqua la carta eliminando così l’eccesso di nitrato d’argento.

L’immagine aveva di solito un colore bruno–rossastro.

Macchina fotografica per dagherrotipi del litografo e fotografo Vincenzo Bassoni e adoperata negli anni Quaranta dell’Ottocento. particolare (Liceo Classico “Pontano-Sansi”, Spoleto)L’uso di un supporto costituito da un materiale fibroso come la carta provocava inevitabilmente fenomeni di diffusività che impedivano alla carta salata di avere quelle caratteristiche di nitidezza e chiarezza di dettagli ottenibili invece con la dagherrotipia. Esso doveva pertanto secondo Lorenzo Scaramella «basarsi più sull’equilibrio, sul gioco chiaroscurale, sui rapporti delle masse»; su elementi cioè che comportavano possibilità di personali soluzioni estetiche. Ciò era anche più vero in quanto il calotipo era un negativo su carta e quindi si poteva intervenire su di esso «ad esempio a matita, per rinforzare le parti in ombra, rendere più chiari dei particolari o creare effetti di luce. Il calotipo, inoltre, nella sua forma originale, veniva sviluppato con un pennello mediante il quale si applicava la soluzione di sviluppo. Questo fatto sottolineava, quasi in maniera simbolica, l’effetto pittorico del procedimento» (Scaramella 1999).

Sono probabilmente queste caratteristiche che spingono il pittore-fotografo Stefano Lecchi a dedicarsi alla calotipia. Il suo metodo si basa sull’uso di carte salate asciutte al bromuro di iodio. Tale procedimento è descritto da Augusto Castellani (1829-1914), fotografo e studioso di fotografia che, come Lecchi, faceva probabilmente parte della cosiddetta Scuola romana di fotografia. Nel suo manoscritto, di carattere eminentemente tecnico, oggi conservato presso l’Archivio di Stato di Roma, vengono descritte le fasi del procedimento.

Pur non aderendo ideologicamente alla Repubblica Romana, Augusto Castellani partecipò attivamente alla sua difesa. Si distinse nella battaglia per la difesa del Gianicolo dove combatté nelle file dell’artiglieria. Dopo l’ingresso dei francesi fu denunciato per essere stato coinvolto, col fratello Alessandro, in un tumulto il 15 luglio 1849. Rimase in carcere fino al 26 quando il padre, il famoso orafo Fortunato Pio, grazie a degli appoggi e a un notevole esborso di denaro riuscì a farlo liberare.

 

Maria Pia Critelli

 

 

«Notizie di fotografia per Augusto Castellani. Roma - 1863»

(Archivio di Stato di Roma, Castellani, b. 201 fasc. 16)

 

Capitolo ottavo. Nuovi metodi dettagliati (corretto in: particolareggiati) di Blanquart

 

c. 193 r.

(IV)

Preparazione delle negative al bromuro di jodio.

Tutti i liquori detti acceleratori impiegati nella fotografia metallica, aventi per base il jodio in combinazione col cloro o col bromo, possono servire alla preparazione di una carta fotogenica: almeno tutte quelle che potremmo saggiare (aggiunta in margine: e son molte) ci dettero immagini, che furon tanto più perfette quanto il liquore più s’avvicinava al bromuro di jodio proposto da De-Valicourt, di cui non sono che modifiche (aggiunta: altro che modificazioni).

La preparazione di quelle carte non potrebbe ricevere usuale applicazione, in pria perché non (c. 193 v.) danno un risultato superiore a quello ottenuto per la preparazione allo jodiuro di potassio, e perché è più incommoda per l’odore che sviluppa nel corso delle manipolazioni, e perché infine le carte impregne di cloruro, o di bromuro di jodio han bisogno esser impiegate immediatamente dopo la loro preparazione: dopo un giorno, spesso anco un’ora gli elementi chimici possono essere volatizzati, e le carte aver perduto tutte le lor proprietà fotogeniche. V’ha però caso in cui la preparazione al bromuro di jodio può divenir preziosa, e render veri servizi. Questo accade quando vogliasi operar sulla carta asciutta come in seguito vedremo.

Per operar sulle carte umide procedesi nel seguente modo: In una piccola caraffa smerigliata in cui si sarà versata alquanta acqua distillata, lasciamo cadere goccie di bromo fino alla saturazione con eccesso, quindi si aggiungerà jodio grano a grano fino a saturazione, dopo che di nuovo si verserà una goccia o due di bromo per saturanza di questo. In una catina destinata alla preparazione della carta, si verserà acqua distillata e bromuro di jodio in dose bastante a dar al liquido una tinta giallo–arancio. Immergesi in questo liquore la carta a prepararsi; allorché è tutta bagnata, asciugasi fra due fogli di carta suga, e tienesi chiusa in un porta–foglio, fino all’istante di passarlo all’aceto–nitrato.

 

c. 194 r.

V

Formazione della negativa sulle carte bagnate

Le carte che abbiamo indicato non acquistano la proprietà di formare un’immagine alla cammera oscura che per una seconda preparazione che cambia lo joduro di potassio di cui son imbevute in joduro d’argento.

Qualunque sia il processo impiegato cambiasi lo joduro di potassio in quel d’argento nel modo seguente: si fa una soluzione composta di

      1 parte in peso di nitrato d’argento;

      8 parti di acqua distillata

Allorché il dissolvimento è completo vi si aggiungono

      2 parti d’acido acetico cristallizzabile

Questa soluzione che quindi chiameremo pel nome aceto–nitrato–d’argento, viene raccolta in una caraffa smerigliata, in vetro colorato, od in vetro ordinario coperto d’una carta nera, onde garantirla dall’azione della luce.

L’aceto–nitrato–argenteo conservasi indefinitamente: se, col tempo, perdesse sensibilità, per rendergliela basta l’addizione d’alquanto acido acetico […]

c. 196 r.

Dicemmo che bisognava deporre sull’aceto–nitrato solo una superfice della carta. Nella preparazione allo joduro, al siero ed al bromuro di jodio si sceglierà la parte della carta più vellutata. Nelle carte di commercio, qualunque siane la bellezza della qualità, sempre v’ha una superficie migliore dell’altra […]

c. 205 v.

Ritrando una negativa dal bagno sia di bromuro, di cloruro, d’iposolfito, si dovrà lavare all’acqua corrente, quindi porla in un gran vaso ricolmo d’acqua pura, che rinnovasi (corretto in: si rinnova), molte volte; onde farne ben sortir (corretto in: per farne uscire) i sali che la carta potrebbe contenere; le prove si possono lasciare nel bagno 24 ore.

La fissazione della prova è allora completa nelle sue parti più essenziali: non resta che ad asciugarle: ciò si eseguisce ponendola fra molti fogli di carta suga che si rinnova fino a che non resti più inumidita dalla prova.

c. 208 r.

(III)

Carte secche al bromuro di jodio

La preparazione delle carte al bromuro di jodio fu già da noi descritta.

Passate all’aceto–nitrato ed asciugate in seguito nelle certe sughe, come ora dicemmo per le carte al siero, esse possono dare una prova, in istato secco, se l’esposizione accade nella giornata della loro preparazione.

Si ottiene un miglior risultato procedendo nel modo seguente:

si versa in una catina una soluzione di

      1 parte nitrato d’argento

      30 parti acqua distillata.

Si depone la carta sulla superficie del liquido. Convien guardarsi di non lasciare bolle d’aria fra la massa del liquido e la carta: lasciasi la carta un minuto sopra il bagno, quindi ritirasi e si fa sgocciare sospendendola per uno degli angoli; si depone in seguito sopra una superficie impermeabile ben netta, (aggiunta: come) un foglio di vetro, una tavola di marmo, un mobile verniciato, etc. Si lascia (c. 208 v.) asciugare lentamente, evitando che il liquido non si riunisca in masse separate, qualcosa produrrebbe macchie sulla prova. Se si incontrasse imbarazzo ad operare in tal modo, si potrà seccare la carta fra molti fogli di carta suga.

In un’altro vaso ove si sarà versata una soluzione di

      25 parti joduro di potassio,

      1 parte bromuro di potassio,

      560 acqua distillata,

immergesi interamente la carta per un minuto e mezzo, o due minuti se la carta è molto erta, lasciando al di sopra il lato nitratato: si ritira da questo bagno, e prendendola per due angoli, si passa senza lasciarlo, in un vaso più grande ripieno d’acqua distillata onde lavarla e toglierle qualunque deposito di sale che potrebbe, senza ciò, restare alla superficie, quindi, sopra un cordone in filo bianco, teso orizzontalmente, si attacca con spille per uno o due dei suoi angoli, e si lascia sgocciare e seccare completamente. Si racchiude in seguito in una scatola di cartone, ove si conserva al coperto dalla luce (c. 209 r.) e senza comprimerla. Se preservasi questa carta dall’umidità è di un’uso eccellente (aggiunta: anche in) molti anni dopo la sua preparazione. Se si formassero macchie allorché si passa la carta al bagno di joduro, sarà prudente mettere i fogli macchiati a parte, perché le macchie si comunicherebbero ai fogli che le sarebbero a contatto.

Allorché si voglino disporre le carte per operare a secco, si passano al bagno di bromuro di jodio già descritto: allorché la carta è asciutta si forma una miscela a parti eguali d’aceto–nitrato d’argento e di una soluzione saturata d’acido gallico. Si fa con bombace di cottone un piumacciolo dolcissimo che rinnovasi a ciascun’operazione; si abbevera leggermente di questa nuova soluzione, e si passa dolcemente sulla superficie della carta. Per ottenere buoni risultati non conviene dare alla carta che la quantità di gallo–nitrato di argento che è assolutamente necessaria per farla passare dalla tinta violacea, che aveva in pria, al bianco puro, ch’esso prende otto l’influenza della nuova preparazione.

c. 209 v.

Indipendentemente da questa preparazione è ancor necessario asciugar subito la carta così bianchita fra vari fogli di carta suga; si passa infine sopra il letto di carta–fodera, egualmente secca fra i due cristalli dell’astuccio della cammera ottica.

La carta così preparata si conserva come quella al siero. Durante l’inverno, la carta così preparata nella giornata è buona fino all’indomani (corretto: al giorno dopo).

Questi tre generi di paste (corretto: carte), che si possono impiegare a secco, non sono egualmente adatte ad ogni soggetto: ottengonsi neri possenti con le carte al siero; una grande dolcezza, molto vellutato, con quelle all’albumina; un’effetto più uniforme, meno possente, con quelli al bromuro di jodio.

 

(IV)

Sviluppo dell’immagine sulle carte asciutte

La via da seguire per quest’operazione differisce essenzialmente da quella indicata per le carte bagnate. Mentre che le carte umide nel rovescio son preservate da ogni specie di macchie (c. 210 r.) per l’immersione delle prove nell’acido gallico in soluzione, le carte secche hanno il lor rovescio profondamente macchiato per lo stesso acido.

Conviene dunque evitare con la più grande cura che il rovescio della carta non sia bagnata (corretto: inzuppata) dal bagno d’acido gallico. Nulla è più di questo facile (corretto: facile questo): basta versare alquanto acido gallico sciolto nell’acqua sopra un cristallo ben basato che sbordi (corretto: emerga) dal tripede sopra cui riposa, e che sia minore in altezza ed in larghezza un mezzo–centimetro della carta impressa che devesi porre sulla sua superficie.

Sollevando la carta e guardandola di quando in quando per trasparenza alla luce di una bugia (corretto: candela), vedesi sviluppare l’immagine e si toglie all’azione dell’acido gallico allorché ha acquistato tutto il vigore e la nettezza voluta.

Allor si procede nello stesso metodo quando le carte siano al siero od all’albumina; per quelle al bromuro di jodio, si fa sortire (corretto: comparire) la prova, stropicciando la carta con la miscella d’aceto–nitrato, e d’acido gallico, come quando si deve esporre alla cammera ottica. Assolutamente è la stessa (c. 210 v.) operazione replicata una seconda volta.

Ben sarà (corretto in: sarà ottimo) fare la miscella d’aceto–nitrato e d’acido gallico all’istante di servirsene, mentre questa preparazione colorasi dopo alcuni minuti dando allora un risultato difettoso.

L’addizione del nitrato d’argento alla soluzione d’acido gallico non è utile, impiegando le carte al bromuro di jodio che per ottenere un effetto più energico, perché prolungando la durata dell’esposizione basta l’acido gallico perfettamente.

Allorché l’acido gallico ha prodotto tutta la sua azione, e che la prova ha acquistata tutta la forza desiderabile, lavasi in molt’acqua, e fissasi sia col bromuro di potassio o l’iposolfito, come fu detto pratticarsi per le prove per la via umida.

 

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[…]

 

Capo secondo

Ristretto dei più importanti metodi

[…]

c. 329 r.

19° = Lecchi = Fin dal 1844 quest’Italiano presentava all’Accademia delle Scienze di Parigi un suo metodo fotografico che impiega per le negative le carte asciutte al bromuro di jodio. Le disgrazie che quindi il colpirono gl’inibivano svolgere maggiormente il suo metodo che non è privo di pregio in certi risultati.