La caccia alle streghe in Valtellina
Il frate domenicano Modesto Scrofeo (o della Scrofa) da Vicenza, inquisitore nella diocesi di Como negli anni ‘20 del ‘500, forte del sostegno che papa Adriano VI gli aveva manifestato il 20 luglio 1523 con il breve Dudum, uti nobis, arrivò in Valtellina all’inizio dell’estate del 1523 e processò per stregoneria, nel corso di quell’anno, circa quaranta persone, mandandone al rogo almeno sette.
Il rogo era soltanto l'atto finale di una lunga serie di dolorose torture a cui le donne accusate di stregoneria erano sottoposte per strappare una confessione di colpevolezza. Le più comuni erano quella della corda e il "cavallo di legno".
La tortura della corda consisteva nel legare con una lunga corda i polsi del reo dietro la schiena e poi nell'issare il corpo per mezzo di una carrucola. Il peso del corpo veniva così a gravare tutto sulle giunture delle spalle. Per aggravarne gli effetti, la corda poteva essere allentata di colpo per un certo tratto e bloccata; la gravità sul peso del corpo provocava uno strappo ai muscoli e la slogatura delle braccia all'altezza dell'articolazione delle spalle. Per aumentare ulteriormente l'efficacia della tortura, ai piedi della vittima potevano essere legati dei pesi; generalmente la conseguenza del trattamento comportava storpiatura a vita.
Il cavallo di legno è il nome dato a un metodo di tortura estremamente dolorosa, ci sono tre varianti del dispositivo, ma il principio e i modi di utilizzo sono i medesimi. Il dispositivo è formato da un pezzo di legno di forma triangolare e angolato, spesso affilato nella parte superiore. Il condannato veniva posto a cavalcioni su di esso, come su un cavallo e venivano poi messi dei pesi ai suoi piedi affinché il peso stesso causasse la separazione del corpo in due parti.
"...da poy la dicta Caterina montò a cavalo sopra uno bastone unto di uno unguento..."
Processo per stregoneria contro Margherita detta Madregna, dettaglio
Margherita e Agostina
Processo per stregoneria contro Margherita detta Madregna e Agostina detta Bordiga.
1523 agosto 29
ASSo, Fondo Notarile, b. 314, notaio Rusca Antonio qm Ulderico, cc. 3-6
Margherita detta Madregna, accusata di stregoneria, viene torturata con la corda e messa poi a confronto con la sua accusatrice, Margherita nipote di maestro Venturino Pelizaro. Per paura di essere nuovamente torturata confessa di essere una strega e di aver partecipato al sabba.
Agostina detta Bordiga condivise la medesima sorte di tortura di Margherita, ma appena fu legata alla corda decise di confessare. Le due donne vennero giudicate colpevoli di eresia e consegnate al capitano di Valtellina per essere arse sul rogo; tutti i loro beni furono confiscati e distribuiti secondo consuetudine e privilegi approvati dall’inquisizione.
Violante
Processo per stregoneria contro Violante Pestalozzi, moglie del notaio sondrasco Stefano del Merlo.
1523 settembre 6 - 14
ASSo, Fondo Notarile, b. 314, notaio Rusca Antonio qm Ulderico, cc. 15-18
Cronaca di Stefano Merlo Sondriese
XVI secolo (prima metà)
ASSo, Biblioteca Rajna, D I II, 58, cc. 14V - 15r
Violante Pestalozzi era moglie del notaio e cronista sondrasco Stefano del Merlo, membro di una delle famiglie più in vista della Valtellina. Accusata di stregoneria fu incarcerata nonostante affermasse di essere incinta; il marito Stefano del Merlo insieme ad Antonio Pestalozza e Giovanni de Marlianici, procuratori e difensori di Violanta, si presentano di fronte all’inquisitore dichiarando che la donna era incinta e che doveva essere liberata dal carcere. Nei giorni successivi seguirono visite di medici e ostetriche per appurare se la donna fosse o meno in attesa di un bambino. La scarcerazione avvenne il 14 settembre per “voluntate et consensu” del vicario vescovile Guglielmo de Cittadini.
Stefano del Merlo, marito di Violante, nella sua cronaca, muove un’aspra critica all’inquisitore frate Modesto da Vicenza:
“Nota ancora come l’anno 1523 fu fatta l’inquisizione contro gli heretici nella terra di Sondrio, in modo che venne un inquisitore, qual si domandava Frate Modesto di Vicenza. Non penso che al mondo si saria trovato il più furibondo e simulatore di lui, et aveva tanta cupidità di guadagnar scudi, che faceva ogni diligenza per trovar gente, che avesse auto voglia di vendicarsi, et accusar gente assai per accumular danari; onde se gli homini non avessero provisto à mandarlo via, voleva infamar quasi ogni persona, salvo quelli, i quali aiutavano a tal impresa”.
Santina
Processo per stregoneria contro Santina Ambria moglie di Paolo Lardini.
1523 settembre 12
ASSo, Fondo Notarile, b. 314, notaio Rusca Antonio qm Ulderico, cc. 7-10
Santina, accusata di essere una strega a seguito di “molte informationi, inditij, accuse e confrontazioni”, fu torturata e messa a confronto con altre tre donne che affermarono di averla vista al Tonale durante un sabba. La donna negò di essere una strega e “Tandem vedendo noy la sua obstinatione … la facemo una volta metere a la corda”. Nonostante il supplizio, non avendo ottenuto alcuna confessione “et cognoscendo che ley non temeva li tormenti dela corda la facemo metere sopra el cavaleto de legno per haver da ley la verità dele cosse hareticale per ley comesse”.
A seguito delle sofferenze patite, Santina confessò dichiarando che all'età di 8 anni fu istruita da una sua zia Ursina e di essersi recata al sabba al Tonale nel quale conobbe il Diavolo. Dichiarò che dalla zia ricevette “certe polveri venenose de nocere alle bestie et alle humane creature, con le quali polvere prima ha nosuto a quattro soy fioli zoe uno Iohanne de etate de xviii mesi, Abondio de etate de sey mesi, Iohanne Baptista et Paula sua fiola”, e altri ragazzi.
Al termine dell’interrogatorio Santina non sembrò pentita: “appare manifestamente che sie stata et de presente è heretica appostata de la Sancta fede cristiana nostra catolica, idolatra, malefica” e venne giudicata colpevole, condannata al rogo, mentre i suoi beni vennero confiscati e ripartiti secondo i privilegi e consuetudini approvati dall’ufficio dell’inquisizione.