Ristori, Adelaide

Attrice, capocomico

qualifica
Attrice
data di nascita e morte
29 gennaio 1822 - 9 ottobre 1906
Ristori, Adelaide
Ristori, Adelaide

Biografia

"RISTORI, Adelaide. – Nacque il 29 gennaio 1822 a Cividale del Friuli, dove i genitori si trovavano a recitare con la compagnia Cavicchi, dagli attori Antonio (Capodistria 1796-Firenze 1861) e Maddalena Ricci-Pomatelli (Ferrara 1795-Firenze 1874). Entrambi attori modesti, scritturati in compagnie secondarie, ebbero altri tre figli: Enrico (1826-1894), prima attore e in seguito capostazione a Foggia, Cesare (1835-1891), caratterista, quindi cantante buffo, infine insegnante di recitazione, e Carolina (1823-1890), attrice.

Come accadeva ai figli d’arte, portata in scena a tre mesi in una farsa, I regali di Capodanno, comparsa a tre anni nel dramma di Francesco Antonio Avelloni, Bianca e Fernando, a 12 anni venne scritturata, insieme con i genitori, per parti ingenue da Giuseppe Moncalvo, celebre Meneghino, sino a ricoprire a soli 14 anni il ruolo di protagonista nella Francesca da Rimini di Silvio Pellico. La sua carriera da professionista si può datare a partire dal 1837, anno in cui il padre, con decisione accorta, preferì per lei la scrittura con il ruolo da ingenua nella prestigiosa compagnia Reale Sarda. Qui incontrò la sua maestra d’arte Carlotta Marchionni, al ritiro dalle scene, venendo poi promossa, due anni dopo, primattrice a vicenda con Amalia Bettini. 

Primattrice assoluta nella compagnia Mascherpa (1841-45), dal 1846 al 1851 recitò con il giovane Tommaso Salvini nella compagnia Domeniconi e Coltellini. Alta, per la media del tempo, attraente e di bel portamento, il suo repertorio variava dalla commedia (La locandiera Le gelosie di Lindoro di Carlo Goldoni, I gelosi fortunati di Giovanni Giraud), al dramma (Adriana Lecouvreur di Eugène Scribe ed Ernest Legouvé, La suonatrice d’arpa di David Chiossone), alla tragedia (Pia de’ Tolomei di Carlo Marenco, Francesca da Rimini di Pellico, Giulietta e Romeo di William Shakespeare, Maria Stuarda di Friedrich Schiller). Nel 1846, durante le esibizioni della compagnia al teatro Metastasio di Roma (di proprietà della famiglia Capranica, così come il teatro omonimo e il teatro Valle), avvenne l’incontro, determinante per la sua vita, con il marchese Giuliano Capranica del Grillo, che si innamorò di lei. Il matrimonio, inizialmente contrastato dalla famiglia dello sposo, venne celebrato nel 1847 e, allo scadere del contratto con Domeniconi, determinò il ritiro dalle scene dell’attrice, ascesa al rango di nobildonna. Non fu, tuttavia, un abbandono definitivo, poiché già nel 1853 rientrò nella compagnia Reale Sarda con un contratto vantaggioso di 20.000 lire annue in napoleoni d’oro e una partecipazione agli utili, oltre a un congedo di venti giorni in caso di grave malattia dei suoceri e il diritto di rifiuto di parti en travesti o da lei giudicate immorali (per questa ragione rifiutò di interpretare La Signora dalle camelie). Il 1855 fu l’anno della svolta nella sua carriera di attrice. Venuta meno la sovvenzione statale, convinse Francesco Righetti, capocomico della compagnia Reale Sarda, a intraprendere una tournée a Parigi. Preceduto da un adeguato battage di stampa, grazie anche alle conoscenze del marito negli ambienti aristocratici della capitale francese e alla propaganda degli esuli italiani, il debutto della grande attrice avvenne il 21 maggio 1855 al Théâtre Impérial Italien con Francesca da Rimini, un successo seguito dal trionfo ottenuto con l’interpretazione della Mirra di Vittorio Alfieri. 

«Fino al 1855 il repertorio della Ristori, come quello di tante altre prime attrici italiane, aveva compreso indifferentemente commedia, dramma e tragedia. Il successo parigino ruppe l’equilibrio. Prima con la Mirra alfieriana e poi con la Medea di Legouvé, si compie il destino ‘tragico’ dell’attrice, che andrà via via eliminando dal suo repertorio (o quanto meno respingendola al margine) la commedia goldoniana e il dramma borghese, per privilegiare la tragedia classicista e il dramma storico» (A. D’Amico, in La monarchia teatrale..., 1978, p. 6). Il favore riscosso presso la stampa francese (da Alexandre Dumas padre a Jules Gabriel Janin a Théophile Gautier), l’omaggio tributatole dall’ambiente artistico parigino (da George Sand a Scribe ad Alfred de Musset), il confronto con la grande tragica francese Rachel (nome d’arte di Elisabeth-Rachel Félix), conclusosi a favore dell’attrice italiana, costituirono la consacrazione di Adelaide Ristori a grande attrice del suo tempo. 

Il successo, anche finanziario, dell’avventura parigina incoraggiò l’attrice a nuove e sempre più impegnative tournées in Italia e all’estero, che la videro impegnata, come capocomica, per i restanti trent’anni della sua carriera artistica. Ma, soprattutto, andò progressivamente adattando il suo repertorio all’immagine di sé, regale e tragica, che l’attrice-marchesa voleva trasmettere al pubblico. Tornata a Parigi nel 1856, trionfò nella Medea di Legouvé, per i costumi della quale si era rivolta al pittore olandese Ary Sheffer. Nel 1857 fu la volta di Londra, dove affrontò il personaggio di Lady Macbeth, nella traduzione in versi di Giulio Carcano (la scena del sonnambulismo era uno dei suoi cavalli di battaglia). Lo stesso anno visitò Madrid e nell’intervallo tra il primo e il secondo atto di Medea fu ricevuta nel palco di Isabella II e per sua intercessione la regina concesse la grazia a un giovane ufficiale condannato a morte per ribellione. Nel 1860, durante una serie di spettacoli a Pietroburgo, svolse una missione diplomatica per incarico di Cavour, avvicinando il ministro degli esteri russo per saggiare gli umori del governo zarista nei confronti dello Stato sabaudo. 

Al pari di altri attori, primi fra tutti Gustavo Modena e Tommaso Salvini, anche la Ristori mise il suo prestigio al servizio della causa unitaria, ma nel suo caso oltre all’ambasceria dell’arte, l’azione diplomatica si giovò delle prerogative connesse al rango di marchesa Capranica del Grillo. 

I trionfi artistici, che si saldavano al prestigio sociale acquisito con il matrimonio, si tramutarono in un successo economico che contribuì a riassestare le finanze della famiglia Capranica del Grillo. Con la collaborazione del marito la Ristori si rivelò, infatti, accorta amministratrice tanto del proprio talento artistico, quanto del patrimonio finanziario. Anticipando le odierne strategie di promozione dell’immagine, nei foyer dei teatri in cui approdava il pubblico poteva acquistare statuette in gesso di buona fattura, che ritraevano l’attrice nelle sue più famose interpretazioni; la ‘papeterie Ristori’, una confezione di buste e carte da lettere con la sua immagine; i libretti con i testi tradotti in tutte le maggiori lingue straniere, così da consentire agli spettatori di leggere preventivamente nella lingua preferita i testi del suo repertorio. Per incrementare la propria galleria di personaggi la Ristori si rivolse in più occasioni a Paolo Giacometti, autore teatrale noto per La morte civile (cavallo di battaglia di Tommaso Salvini) e del quale interpretò Giuditta (1856), Bianca Maria Visconti (1860), Luisa Sanfelice (1863), Madre e figlia (1865), Maria Antonietta (1867), Renata di Francia (1872). 

Elisabetta regina d’Inghilterra, pure di Giacometti, interpretata la prima volta da Fanny Sadòwski nel 1853, figurò anch’essa stabilmente nel repertorio della Ristori, divenendo il suo maggiore cavallo di battaglia, con un totale di 469 rappresentazioni. Se la Maria Stuardadi Schiller seguiva con 453 recite, ben 452 ne registrava Maria Antonietta, per la quale la Ristori, in una lettera a Giacometti datata 27 settembre 1867, dichiarava di ‘andare pazza’: «[…] vi ammiro tali bellezze, tali effetti, tali gradazioni che ad ogni istante, prorompo in esclamazioni entusiastiche» (cit. in La Maria Antonietta di Paolo Giovannetti, 1973, p. 86). I costumi dello spettacolo, come quelli per Elisabetta, erano stati creati per lei dal celebre sarto parigino Charles Frederick Worth ed erano minuziosamente descritti, atto per atto, nel materiale pubblicitario distribuito in sala, trasformando lo spettacolo in una sorta di défilé di moda. «La marchesa Capranica del Grillo, poi dama di corte della regina Margherita, era conscia di una forma da salvare e di un femminino regale da manifestare al popolo: essa imprestava a Maria Stuarda, a Elisabetta d’Inghilterra, a Medea passioni umane. Le regine sono donne come noi, sembrava suggerire. Soltanto, hanno maestà» (G. Guerrieri, Lo spettatore critico, Roma 1987, p. 130). 

Nel 1866 attraversò l’Atlantico per recarsi una prima volta negli Stati Uniti, nel 1869 andò in Sudamerica e il 15 aprile 1874 iniziò il giro del mondo, destinato a concludersi il 14 gennaio 1876, in cui i Capranica del Grillo furono accompagnati da un amico di famiglia, il generale Bartolomeo Galletti. Autore di un dettagliato resoconto dell’impresa (Il giro del mondo con la Ristori, Roma 1876), Galletti raccontò che la marchesa-attrice non tardò mai un’alzata di sipario, né mai si verificarono variazioni nel programma stabilito: 69.947 i chilometri percorsi per mare e per terra (quasi il doppio della circonferenza terrestre) e oltre trecento le recite nelle principali città del Nord e Sudamerica, ma anche alle Hawaii, in Australia e Nuova Zelanda. Forte della risonanza internazionale di un’impresa senza precedenti, negli anni successivi realizzò un tour in Scandinavia, sino ad arrivare, perfezionato il suo inglese, ormai sessantenne al Drury Lane di Londra per recitare Macbeth in lingua originale. La sua carriera si chiuse con una tournée negli Stati Uniti, che attraversò viaggiando in un sontuoso vagone-appartamento tra il 1884 e il 1885, andando in scena due giorni su tre in 62 città e recitando in inglese con compagnie di attori locali. Il 9 maggio 1885 recitò Macbeth all’Academy of music di Filadelfia accanto a Edwin Booth, e tre giorni più tardi, il 12 maggio, ebbe luogo l’addio alle scene in un teatro di New York, dove recitò in inglese Maria Stuarda, mentre la compagnia tedesca che l’affiancava per l’occasione rispondeva nella lingua di Schiller. Rientrata in Italia, dopo di allora fece solo rare e sporadiche apparizioni sulla scena in occasioni celebrative. Nel 1887 pubblicò in italiano e francese il volume Ricordi e studi artistici, tradotto l’anno successivo anche in inglese. Nel 1892 morì il marito, con il quale aveva avuto quattro figli: Virginio Pio ed Elena, morti prematuramente, Giorgio e Bianca. 

Il 29 gennaio 1902, per il suo ottantesimo compleanno ricevette testimonianze di auguri da tutto il mondo e l’omaggio del re Vittorio Emanuele III in visita a palazzo Capranica in via Monterone 76, non lontano dal teatro Valle, evento immortalato nella cromolitografia della copertina della Domenica del Corriere

Morì a Roma il 9 ottobre 1906. 

Esponente femminile della cosiddetta triade del grande attore ottocentesco, insieme con Tommaso Salvini ed Ernesto Rossi, il suo talento recitativo le consentiva di farsi apprezzare anche da chi non ne comprendeva la lingua. Tale particolarità risiedeva in quello che Gerardo Guerrieri definì il «correlativo visivo», cioè il gesto, talvolta la posa plastica, che annunciava la parola e ne rafforzava il senso (cfr. G. Guerrieri, Lo spettatore critico, cit., pp. 56 s.). Se ne può leggere una traccia nel passaggio in cui l’attrice ricorda la sua interpretazione di Maria Stuarda, laddove questa, incontrando per la prima volta la cugina Elisabetta, forzandosi, si umilia, ma non già dinanzi alla rivale, bensì davanti a Dio. L’affollarsi delle emozioni, la piena dei sentimenti vennero sintetizzati in una trama di gesti, sguardi e pause, che precedevano la battuta, chiarendone il senso: «Dopo tanta virtù di rassegnazione, alzavo lo sguardo al cielo, mi premevo contro il cuore il crocifisso appeso al rosario che mi scendeva dal fianco, offrivo a Dio il sacrificio che ero pronta a dare della mia dignità, e raccogliendomi pochi istanti, come invocassi da Dio d’infondermi forza e coraggio con voce ferma e tuono pacato dicevo ad Elisabetta: “Iddio, sorella, / Per te decise, e di vittoria ha cinto / Il felice tuo capo”» (Ricordi e studi artistici, 1887, 2005, p. 126). A un questionario dell’inglese William Archer, diffuso presso i più grandi attori della sua epoca per indagarne la psicologia in rapporto con la costruzione del personaggio, l’attrice rispondeva, non senza una punta di ironia: «Al paragrafo che contiene l’ottava domanda del vostro opuscolo, mi è forza dichiararvi che quella esagerazione d’identificarsi dal bel mattino nel personaggio tragico o drammatico che l’artista deve rappresentare alla sera, apparteneva all’antica scuola! A me pure, quando giovinetta, mio padre vecchio artista mi istruiva per la scena, se alla sera dovevo rappresentare un personaggio patetico, pretendeva che stessi melanconica tutta la giornata!... cosa che, naturalmente, non otteneva mai da me! Senza l’obbligo di muovere a quelle eccentricità d’un’arte convenzionale allorché l’artista vero sa di dover sostenere una parte sulla quale è basato l’esito del lavoro non va a cercare distrazioni nei divertimenti – ma neppure passa la giornata a meditare sulle miserie umane come un Eraclito» (cit. in Vicentini, 1997, p. 479)."
Tratto da "Dizionario Biografico degli Italiani (2016)"   di Alessandro Tinterri

bibliografia: T. Viziano, Il palcoscenico di Adelaide Ristori, repertorio, scenario e costumi di una Compagnia dell'Ottocento, Roma, Bulzoni, 2000.