Nel periodo fascista l’attività legislativa e gli interventi pubblici in tema di edilizia popolare si legarono strettamente alle politiche del regime rivolte al controllo sociale e al consenso di categorie di cittadini, quali i ceti medi e gli impiegati pubblici, considerate basilari per il sostegno alla dittatura. In quest’ottica si inserì anche il potenziamento di istituti pubblici centralizzati quali IACP - Istituto autonomo case popolari e INCIS - Istituto nazionale per le case degli impiegati statali.
A Piacenza l’Istituto per le case popolari sorse nel 1908 per iniziativa della Società operaia, della Società Umanitaria, della Cassa di Risparmio e del Comune di Piacenza. La deliberazione del Consiglio comunale che ne sanciva la costituzione tracciava anche le linee di intervento che avrebbero dovuto caratterizzarne l’attività: si escludeva «la formazione di quartieri operai staccati dai quartieri abitati dalle altre classi sociali» e si stabiliva di evitare di costruire sui numerosi orti e giardini presenti in città, giudicati indispensabili per garantire la salubrità cittadina.
Il programma di edificazione dell’Istituto prese avvio con la riqualificazione della zona di Porta San Lazzaro e la costruzione del complesso presso la barriera Cavallotti (ora Piazzale Roma) che fu però terminato solo negli anni Trenta.
L’avvento del Fascismo non modificò le linee di progettazione generali elaborate nei decenni precedenti e portò a compimento interventi già avviati peggiorandone però, in alcuni casi, i contenuti. Esemplare in questo senso è proprio l’intervento nella zona di Piazzale Roma: il progetto originale aveva previsto la costruzione di edifici a schiera con zone verdi al centro e si estendeva a comprendere l’area del bastione San Lazzaro mirando a recuperare una porzione di tessuto urbano degradato, rispettando la vecchia tipologia a schiera. La realizzazione effettiva vide invece la demolizione di buona parte degli edifici storici preesistenti e la costruzione di complessi residenziali popolari di grandi dimensioni.
Anche la questione della riqualificazione del quartiere Cantarana a ovest, una delle zone più malsane e insalubri della città, i cui problemi erano già stati analizzati a partire dalla fine dell’Ottocento, venne risolta in questi anni con l’abbattimento del pre-esistente e la costruzione di 14 nuovi caseggiati, con alloggi per 300 famiglie. Ci si allontanò così dalle linee d’intervento iniziali che prevedevano di non relegare le classi popolari e più povere in zone predefinite della città (generalmente ai margini) e il risultato finale fu la costruzione di quartieri fortemente caratterizzati dal punto di vista socio-economico, accentuando la tendenza a separare la casa popolare in affitto per i ceti più bassi, dalla casa in proprietà per la piccola borghesia.
Nacquero così quartieri "popolarissimi", dislocati ai poli opposti dell’abitato: a est con il completamento del quartiere popolare di barriera Roma, a ovest con la costruzione del complesso "Costanzo Ciano" e del "Tigrai", collocati al limite della campagna e caratterizzati da grandi edifici in grado di ospitare centinaia di famiglie. Il complesso residenziale del quartiere Regina Margherita, sorto anch'esso in questi anni e costituito da eleganti villette fu invece pensato per le famiglie della piccola borghesia impiegatizia, così come i nuovi edifici dell’Incis (su Piazzale Roma) vennero destinati a soddisfare il bisogno di case più decorose per i dipendenti pubblici.
L’attuazione dei programmi di edilizia popolare pianificata fu uno dei punti di maggior impegno del Regime e gli interventi realizzati in quest’epoca consentirono comunque il risanamento di alcune zone degradate della città e la risoluzione di numerosi problemi abitativi.
Il Ciano
Il quartiere popolare, collocato ai margini del centro cittadino tra le vie Cantarana e San Sepolcro, fu inaugurato il 28 ottobre 1939 e dedicato al presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni Costanzo Ciano (1876-1939), deceduto qualche mese prima.
Prima della riqualificazione era uno dei quartieri più poveri e insalubri della città, abitato da artigiani e operai e sviluppato attorno alla chiesa parrocchiale di San Sepolcro. Il quartiere Cantarana, com’era conosciuto in città, si caratterizzava per la presenza di piccoli edifici addossati gli uni agli altri: casette fatiscenti, che non garantivano le essenziali condizioni di igiene e decoro. A fianco delle case scorreva il Rio Fodesta, detto Rifiuto, collettore delle acque nere e degli scarti provenienti dal centro città.
Le prime proposte di riqualificazione della zona risalivano al 1880, ad opera della Società dei negozianti e industriali che, analizzando la situazione, aveva posto in stretta correlazione il degrado edilizio con quello sociale. È di quegli anni il primo progetto per l’abbattimento e il risanamento del quartiere, progetto che fu sottoposto al Consiglio comunale per la discussione, ma che rimase lettera morta.
Per l’avvio dei lavori bisognerà attendere, infatti, gli anni Trenta del Novecento e l’iniziativa dell’Istituto per le Case popolari.
Il progetto per la costruzione del nuovo quartiere fu redatto dall’ingegnere Vincenzo Bozzini e portò alla costruzione di un complesso composto da 14 edifici a blocco, formato da palazzine a quattro piani simili tra loro e collocate intorno a uno spazio cortilizio interno. Il complesso poteva ospitare fino a 300 famiglie. Gli alloggi erano destinati a ospitare le famiglie più povere e le classi meno abbienti, per garantire loro condizioni residenziali dignitose. L’intervento fu criticato da chi riteneva si discostasse dalle linee progettuali che l’Istituto case popolari piacentino si era dato all’atto della fondazione: evitare cioè di costruire veri e propri “ghetti” riservati alle fasce più umili della popolazione.
Negli anni il quartiere è stato oggetto di diversi interventi di riqualificazione e gli alloggi sono stati ammodernati per renderli conformi alle attuali esigenze residenziali, ma il Ciano resta ancora oggi un vero e proprio “Paese nella città”, laboratorio di esperienza sociali e comunitarie.
Il Tigrai
Costruito nel 1933 oltre la barriera di Madonna di Campagna – all’angolo tra le attuali via XXI Aprile e via Trebbia - il Tigrai ospitava 68 famiglie.
Fu edificato dall’Istituto case popolari, su progetto tecnico dell’ingegnere Vincenzo Bozzini, coadiuvato dal geometra Dante Bionda.
Il nome “Tigrai” richiama direttamente l’impero coloniale cui aspirava il Regime e si riferisce a una delle provincie più settentrionali dell’Etiopia, a confine con l’Eritrea: il Tigrè, uno dei primi territori conquistati dagli italiani.
Quando venne realizzato, sulla porta d’ingresso fu posta una grande targa, ora rimossa: “L’Italia toccherà le mete che splendono nel cuore del mio popolo”, la firma in calce era quella del Duce, Benito Mussolini.
Il Tigrai rientrava nel piano di edificazione popolare voluto dal regime fascista per dare un’adeguata sistemazione alle classi più povere e disagiate; si trattava di case "popolarissime", collocate al di fuori dell’originaria cerchia muraria farnesiana, al limite della campagna.
Negli anni Ottanta l’edificio è stato ristrutturato, reso decoroso e arricchito da pertinenze verdi e un ulteriore progetto di riqualificazione e sistemazione è previsto nei prossimi anni.
Il quartiere San Giuseppe
I lavori di costruzione del nuovo quartiere San Giuseppe da parte dell’Istituto case popolari presero il via nel 1936. Venne realizzato fuori dalla città, lungo la strada delle polveriere – l’attuale via Boselli - che si snodava all’interno delle fortificazioni austriache. Il quartiere, conosciuto anche come “Villa Grilli” o “Case minime”, nacque per ospitare e accogliere le famiglie più povere ed era situato ai margini dell’abitato, in aperta campagna. Il complesso era costituito da una ventina di caseggiati di grandi dimensioni. Nel tempo il quartiere andò ampliandosi con la costruzione di nuove abitazioni e caseggiati, in particolare a partire da dopoguerra e nel corso degli anni Cinquanta.
L’antica strada della polvere è diventata oggi un’importante arteria di connessione cittadina e il contesto sociale e urbano è decisamente cambiato.
Quartiere Torricella / Via Capra / Piazzale Roma
La zona di Barriera Cavallotti fu una delle prime aree interessate dalle opere di riqualificazione del Regime. L’Istituto piacentino per le case popolari (ICP), divenuto in seguito Istituto autonomo case popolari (IACP), nacque proprio con i progetti di riqualificazione di questo quartiere. I lavori di sistemazione della zona furono suddivisi in più lotti e proseguirono per diversi anni. La costruzione del caseggiato iniziò nel 1910 con il palazzo numero 1 per poi proseguire fino al 1916 con gli edifici numero 2, 3, 4, 5 che andarono a completare la cortina su via La Primogenita. Agli anni Trenta risale la sistemazione della stecca di abitati sull’attuale via Capra (palazzi numero 6 e 7), mentre gli ultimi due edifici (numero 8 e 8 bis) con affaccio su piazzale Roma furono completati e inaugurati solo nel 1942. Nello stesso ambito urbano tra il 1910 e il 1924 venne realizzato, su progetto dell’ingegnere Mario Cascione, anche il Quartiere Torricella che prevedeva la costruzione di case riservate ai ceti medi e impiegatizi e tra il 1930 e il 1931 furono inaugurate le case destinate ai ferrovieri su viale Il Piacentino.
L’opera di riqualificazione interessò tutta la zona collocata tra l’attuale Piazzale Roma e l’antica Porta San Lazzaro con l’obiettivo di dare nuova vita ai sobborghi rimasti estranei all’attività cittadina a causa del fossato e delle mura cinquecentesche che soffocavano e stringevano la città. I lavori di sventramento della cinta muraria iniziarono nel 1925: furono demoliti gli storici bastioni e la vecchia porta (realizzata nel 1533 dall’architetto Fredenzio Tramello) per far posto alla nuova stazione delle ferrovie elettriche provinciali; il progetto iniziale prevedeva la realizzazione di quattro linee ferro-tramviarie, ma al termine dei lavori ne risulterà compiuta una soltanto: la Piacenza - Bettola. Due anni prima, nel 1923, era finita sotto il «piccone demolitore» fascista la chiesetta romanica di San Salvatore sita alla confluenza tra la via omonima (oggi via Scalabrini) e via Cavallotti (oggi via Roma), abbattuta nottetempo da una squadra appositamente assoldata dal podestà Bernardo Barbiellini Amidei.
La riqualificazione dell’area proseguirà con l’affidamento a Pietro Berzolla del progetto di sistemazione di piazzale Roma (1938) che restituirà l’attuale immagine del piazzale con l'innalzamento della Lupa capitolina, monumento alla romanità.
Il progetto di sistemazione della zona dell’attuale via Capra, opera dei piacentini Pietro Berzolla e Domenico Ghizzoni, fu presentato nel 1936 e prevedeva il risanamento di quello che era chiamato “Cantone delle Stalle” per la presenza nel XVII secolo di un presidio di sosta per cavalli dell’antica Guardia farnesiana. Lì si trovava anche l’Osteria del bambein, tra le più popolari del tempo, dove sostavano cavalli e carrozze dirette fuori città lungo la via Emilia Parmense e che fu abbattuta nel 1939 per far posto alle case popolari volute dal Regime.
Prima della costruzione delle case popolari in Cantone delle stalle - la strada fu dedicata al poeta piacentino Vincenzo Capra solo nel 1943 - c’era la Còrtàsa un enorme caseggiato in cui abitavano nuclei familiari che svolgevano piccole attività artigianali; la realtà era quella di un quartiere povero e popolare, come testimonia il soprannome con cui da sempre i piacentini chiamavano Porta San Lazzaro: Porta Galera a sottolineare la lunga tradizione di emarginazione e storie di malavita.
La forma del nuovo quartiere, così come ancora oggi possiamo vederla, è ad anello: gli edifici sono stati collocati lungo tutto il perimetro dell’area e racchiudono uno spazio centrale su cui si affacciano i servizi. Il complesso è stato oggetto di un importante intervento di sistemazione e riqualificazione negli anni Ottanta del Novecento.
Case Incis
L’acronimo individua l’Istituto nazionale case impiegati statali. L’Incis fu costituito nel 1924 per costruire edifici da assegnare in locazione ai dipendenti civili e militari dello Stato, con priorità ai dipendenti con livelli salariali più bassi. Per reperire le risorse necessarie alla realizzazione dei progetti l’istituto poteva avvalersi di prestiti agevolati della Cassa depositi e prestiti.
A Piacenza gli interventi dell’Incis si concentrarono nella zona delimitata da Piazzale Roma, viale Patrioti, via Pubblico passeggio, piazzale Libertà, via Cavaciuti e si realizzarono in tempi successivi. Il primo lotto, comprendente gli edifici che da piazzale Roma proseguono lungo viale Patrioti fino a piazzale Veleia, risale alla seconda metà del ventennio e fu costruito dall’impresa piacentina Lodigiani su progetto dell’ingegnere Giuseppe Manfredi. Le abitazioni furono inaugurate nei primi anni Trenta. Il secondo lotto fu quello di Barriera Farnese che andò a completare il precedente con la realizzazione degli edifici che da piazzale Veleia proseguono su viale Patrioti fino a via Cavaciuti e fu progettato e realizzato tra gli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta.
Negli anni Settanta l’Incis fu soppresso e il suo patrimonio passò agli Istituti autonomi case popolari che divennero Enti pubblici non economici con finalità assistenziali.
Gli stabili sono stati oggetto di progetti di ristrutturazione e ammodernamento nel corso degli anni Ottanta e Novanta.
Quartiere Regina Margherita
Di questi anni è l’avvio dell’edificazione del quartiere “Regina Margherita” complesso residenziale di edilizia estensiva. La sua ubicazione, nella zona fuori le mura è possibile dopo l’accorpamento al comune capoluogo dei tre comuni limitrofi, San Lazzaro, Sant’Antonio e Mortizza, sancito nel 1923.
Il progetto fu affidato nel 1926 all’architetto Pietro Berzolla e fu realizzato dal Comune e dall’Istituto autonomo case popolari con un finanziamento dall’iter complesso e articolato. Le vicende legate alla costruzione del quartiere si conclusero nel 1934 e videro il coinvolgimento, nel ruolo di promotori e finanziatori, di diversi enti e istituzioni, sia pubbliche, sia private: il Comune, l’Istituto autonomo case popolari, il Ministero dei lavori pubblici, l’Unione industriali, alcune banche cittadine e il Comitato per il monumento dei caduti in guerra.
Al termine delle trattative il Ministero approvò uno schema di contratto di affitto con patto di futura vendita degli alloggi, prevedendo pagamenti rateali in 25 anni: la progressiva vendita degli appartamenti già realizzati avrebbe consentito il proseguimento dei lavori per il completamento dell’interno progetto. Amministrazione comunale e Iacp stipularono inoltre una nuova convenzione che prevedeva la costruzione da parte dell’Istituto di un nuovo caseggiato da destinare alle famiglie indigenti, dietro cessione a titolo gratuito da parte del Comune del terreno e delle case di proprietà comunale del nuovo quartiere Regina Margherita. Il nuovo caseggiato popolare sarà effettivamente costruito in quegli anni sul terreno messo a disposizione dall’Amministrazione comunale oltre la barriera di Madonna di Campagna: si tratta del “Tigrai”, una casa popolarissima di 68 alloggi su progetto tecnico dell’ingegner Vincenzo Bozzini che venne incaricato dalla Federazione fascista e fu coadiuvato dal geometra Dante Bionda.
A differenza di altri quartieri popolari costruiti ad uso delle classi più povere e disagiate, il quartiere Regina Margherita presenta caratteristiche diverse: ispirato al modello utopico delle città giardino il quartiere e le case sono progettati con cura, nel rispetto del nuovo regolamento edilizio del 1929 che prevedeva disposizioni speciali per la realizzazione di interventi extra-moenia: altezza ridotta degli edifici, superficie coperta inferiore al 20% dell’area del lotto, distanze dai confini di almeno 4 metri, altezza dei locali di almeno 3 metri, adeguato rapporto tra la superficie delle finestre e quella dei locali in base alla loro destinazione funzionale. Gli appartamenti erano destinati alla piccola borghesia impiegatizia, ai dipendenti pubblici e in particolare alle famiglie dei caduti e mutilati di guerra.
Il quartiere si componeva di 19 villette di due appartamenti ciascuna, per complessivi 44 alloggi distinti in quattro tipologie a seconda del numero di vani e di pertinenze annesse. Gli appartamenti potevano avere dai 4 ai 6 locali ciascuno, erano serviti da cucina e locale latrina e potevano avere ingressi e scale indipendenti. Ogni casa prevedeva un locale interrato, che contribuiva a migliorare le condizioni igieniche degli alloggi e un orto giardino di circa 250 metri quadrati perimetrato da una recinzione con cancellata frontale. Le costruzioni, in parte in muratura di mattoni a vista per ridurre i costi di manutenzione, in parte intonacate, presentavano superfici finemente decorate.