La Lupa capitolina
Proiettando in alto la lupa capitolina, il monumento alla romanità dell'architetto Pietro Berzolla, vuole ricordare "anche al veloce passante che transiterà sulla via Emilia, l'origine romana della Primogenita".
La Lupa, in asse con via Roma rappresenta la sintesi di tre momenti della vita cittadina: la Lupa capitolina, donata dal capo del governo, Benito Mussolini, a Piacenza, fusa a Roma dalla fonderia Chiaruzzi che richiama l’antica fondazione di Placentia, le due colonne di granito rosa giunte in città nel 1580 dal Lago Maggiore e inizialmente destinate a Palazzo Farnese rappresentano l’età Rinascimentale; il basamento squadrato richiama i fasti della nuova era mussoliniana.
Il monumento non è ubicato al centro del mezzo poligono della piazza per non ostacolare la circolazione già intensa degli autoveicoli. Inoltre la via Emilia era stata sopraelevata per la costruzione del cavalcavia delle ferrovia elettriche e una collocazione centrale avrebbe nascosto alla vista il basamento del monumento da chi proveniva da sud. La scelta fu dettata però anche da motivi economici per evitare lo spostamento dei binari di corsa e scambio della tramvia urbana.
La Lupa è inaugurata il 12 giugno 1938 mentre nel Palazzo Gotico si chiudeva la mostra dedicata alla romanità di Piacenza. Sono presenti le massime autorità cittadine il Podestà Aurelio De Francesco e il Preside della Provincia, il rappresentante del governo onorevole Oreste Bonomi, direttore generale del Turismo. Il podestà richiede alla banda dell'Esercito la presenza "di un provetto trombettiere per gli squilli da darsi all'atto dello scoprimento del monumento".
Dopo la cerimonia il sindaco riceve gli ospiti all'albergo Croce bianca. Il menù prevedeva: antipasto assortito, raviolini in brodo ristretto oppure pastina in brodo o riso con fegatini, polli novelli alla griglia e vitello arrosto con contorno di insalata novella, spumone Croce Bianca con biscottini.
La casa del mutilato
Nel 1930 i mutilati e invalidi di guerra entrarono a pieno titolo nella Milizia nazionale con la creazione della milizia dei volontari mutilati «X Legione» con a capo Carlo Delcroix, che dal 1924 ricopriva la carica di presidente dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra.
Alla fine degli anni Trenta iniziò la creazione delle Case dei mutilati in tutta Italia, in genere sedi delle sezioni e dotate di ambulatori di cura e di sale riunioni. La sezione piacentina dell’Associazione si costituì ufficialmente nel 1918, anche se l’assistenza ai mutilati di guerra era cominciata già nel 1915, grazie a comitati e associazioni cittadine.
L’Associazione trovò la sua sede definitiva nella Casa del Mutilato costruita nel 1938 su progetto dell’architetto Alfredo Soressi in Piazza Casali. L’architetto, noto anche come pittore, lo concepì come un sacrario commemorativo, composto dalla nitida intersezione di solidi geometrici che nel corpo principale riprendono la tipologia del tempio a pianta centrale, ispirato agli esempi rinascimentali e della Roma antica. Sulla facciata all'ingresso le due aquile sono opera dello scultore piacentino Carlo Strinati.
All’interno dell’edificio al piano terra avevano sede gli ambulatori e i locali per la distribuzione dei farmaci, mentre al primo piano, al quale si accede attraverso una scenografica scala elicoidale, hanno sede dal 1938 gli uffici dell’Associazione. Oltre agli arredi dell’epoca realizzati su misura probabilmente da un artigiano piacentino, che scolpì lo stemma dell’Associazione su tavoli e scrivanie, l’Associazione custodisce cimeli e opere d’arte donate dai soci.
Particolarmente interessanti sono i due busti in bronzo di Luciano Ricchetti, scolpiti nel 1938 e raffiguranti Carlo Delcroix e Alessandro Casali, unico decorato con la medaglia d’oro tra tutti i caduti piacentini. Il busto del Casali fu donato all’Associazione dalla famiglia del caduto
Le informazioni relative alla Casa del mutilato sono ricavate da: Ragazzi: Piacentini alla guerra del '15-'18, pp. 114-115.
Per gli aspetti architettonici si consiglia di consultare anche il sito Luoghi della cultura in Emilia-Romagna
La stazione ferroviaria
Il 21 luglio 1859 fu aperta la tratta Piacenza – Bologna della Strada Ferrata dell’Italia Centrale che a breve avrebbe dovuto allacciarsi con il Piemonte, cosa che avvenne nel 1860 mentre un anno dopo si raggiunse Milano utilizzando un ponte in legno sul Po (quello metallico arrivò nel 1865). Nel corso degli anni si cercò di connettere meglio la piccola stazione con la città allargando la Porta Nuova, razionalizzando le strade a ridosso della stessa e organizzando una ampio giardino antistante, quello del conte Costa poi Regina Margherita. L’Amministrazione Provinciale cercò da parte sua «di sostituire alle asmatiche tramvie a vapore delle vere e modernissime ferrovie elettriche» ma nel 1933 si riuscì solamente ad inaugurare i 32 chilometri della Piacenza – Bettola nonostante il governo avesse deciso nel 1930 di sussidiarne per complessivi 90 chilometri.
Le autorità cittadine manifestavano «la necessità che la vecchia stazione ferroviaria, vecchia di ormai settantacinque anni, dalla caratteristica sagoma piatta voluta dalle autorità militari del tempo» fosse trasformata e potenziata. Il Comune eliminò dal piazzale delle costruzioni ritenute ingombranti mentre con enfasi il Vicepresidente della Provincia ing. Cella affermava che «l’opera compiuta, la prima di qualche importanza che da lunghi anni si inauguri in Piacenza, ha indubbio valore architettonico. Ad essa prossimamente seguiranno il nuovo mercato della frutta e verdura, i nuovi edifici in Piazza dei Cavalli, il nuovo Liceo Classico, la sistemazione delle vie più importanti e della strada delle Benedettine destinata al rapido collegamento della nuova stazione col centro e ad essere, in avvenire, percorsa dai mezzi veloci di locomozione, mentre i più lenti, tramvia compresa, continueranno ad ingolfarsi nella stretta e ritorta via Roma».
Nel 1930 erano stati aboliti i dazi e si asfaltò il tratto fra il Piazzale Milano e la stazione. Nel 1931 fu completato il nuovo ponte sul Po a doppio binario e si decise di mettere mano alla stazione: nuovi edifici con biglietteria, ristorante e alloggi per il personale, sottopassi, pensiline, cabine elettriche a servizio dei diversi tracciati compreso quello nuovo per Cremona, rimozione della cancella verso i Giardini Margherita. Il progetto del «palazzo pubblico con due corpi laterali, secondo lo stile Novecento» fu affidato all’architetto romano Roberto Narducci, agli appalti parteciparono anche imprese piacentine (Rizzi, Boccenti).
L’inaugurazione avvenne il 24 maggio 1934, data fatidica. Nel 1938 la linea per Ancona fu elettrificata, seguita da altre. Una curiosità: nel 1939 nella tratta fra Piacenza e Pontenure un elettrotreno stabilì il primato mondiale di velocità toccando i 203 chilometri orari.
Le informazioni e le citazioni di questa sezione sono in parte ricavate dalle pubblicazioni:
Cella, Sandro, Le comunicazioni nel Piacentino, 1934 e Bua, Daniele, La stazione ferroviaria di Piacenza, 2016.
Casa dei Martiri
La Casa dei Martiri o Casa Littoria fu ricavata nei locali dell'ex convento del Carmine di via Borghetto n. 15, originariamente sede della Camera del Lavoro fondata nel 1891 e occupata da parte del Partito Nazionale Fascista il 22 agosto 1922 che ne fece la sede della Federazione di Piacenza.
La sede piacentina della Casa dei Martiri fu adattata con alcuni rifacimenti architettonici come l'inserimento dell'arco romano all'ingresso e l'allestimento di una Cappella votiva per i martiri della rivoluzione fascista inaugurata il 17 aprile 1933 dal segretario del partito Achille Starace in visita a Piacenza.
Fu lo stesso Mussolini a tracciare nel 1923 le linee guida delle Case del fascio che il Popolo d'Italia chiamò le "chiese della nostra fede" trasformate in luoghi sacri in cui si voleva realizzare la comunione fra combattenti defunti e combattenti in vita. Ad accentuarne il carattere religioso Starace dispose che vi venisse costruita una torre littoria con campane da suonare ad annuncio del rito.
Le informazioni di questa sezione sono in parte ricavate dalla pubblicazione:
Achilli, Fabrizio, L'obiettivo del Regine. Fascismo e rappresentazione a Piacenza, 2006, p. 74.
La ex Casa dei Martiri oggi
La Galleria d'Arte Ricci-Oddi
Con atto del 27 dicembre 1924 Giuseppe Ricci Oddi donò alla Città di Piacenza la propria collezione di quadri e sculture di arte moderna, creando i presupposti per l’istituzione della Galleria d'Arte Moderna che sarà a lui intitolata. Nell'atto si legge che onde
«far sorgere una Civica Galleria di pittura e scultura moderna col carattere di una Istituzione che faccia tesoro della produzione artistica per il maggior lustro della Città e per ogni miglior contributo alla coltura ed alla educazione, [Giuseppe Ricci Oddi] si è impegnato di donare al Comune di Piacenza la Collezione d'Arte che ha sviluppato con singolare signorilità in lunghi anni di severo raccoglimento, per numero e varietà di opere una delle più pregevoli raccolte contemporanee».
Si specifica inoltre che il donante «ha nello stesso tempo invocata la sua (del Comune: N.d.r.) cooperazione per avere la gratuita disponibilità di un'area su cui allogare a sue spese l'edificio che dovrà sorgere a sede della Galleria e servizi inerenti e per provvedere l'istituzione di un ordinamento che assicuri la perpetua conservazione e l'indefinito incremento della Galleria stessa secondo ogni più efficace vincolo di inalienabilità e di inalterabilità. Che il Consiglio Comunale, tributato l'omaggio della Città al Munifico donatore e accolto il suo atto di liberalità nel valore fondatizio che egli vi ha impresso, ha provveduto all'acquisto dei fabbricati e terreni annessi posti in questa Città Via San Siro n. 11 e 13».
Il progetto fu affidato all'architetto Giulio Ulisse Arata. Nella parte di nuova costruzione verso levante erano previste, su un solo piano, le sale e i saloni della Galleria. La parte verso ponente, costituita da un preesistente fabbricato, doveva, con opportune demolizioni e ricostruzioni, ospitare i locali per l'amministrazione e la direzione. Il braccio a ovest del cortile d'onore e del giardino, limitato da un porticato ad archi su colonne di granito, era destinato interamente per la sede dell’associazione Amici dell’Arte, uno dei cinque membri del Consiglio di Amministrazione, e più a nord, arretrato di pochi metri dal marciapiedi di via S. Siro, doveva sorgere il Salone per i concerti, per le esposizioni artistiche e per le manifestazioni della associazione stessa.
Giulio Ulisse Arata, amico e consigliere di Giuseppe Ricci Oddi, redasse più progetti. Le sei copie rimaste, che furono depositate dall'architetto all'Ufficio Tecnico del Comune di Piacenza, rappresentano in quattro planimetrie e altrettante sezioni il nuovo complesso destinato a Galleria e a sede degli Amici dell'Arte.
I lavori procedettero inizialmente con grande slancio; formalizzata la donazione furono poi gettate le fondamenta della Galleria in soli tre mesi, da aprile a luglio 1925. La struttura ottagonale cupolata del salone d'onore fu costruita con un'innovativa tecnica, quasi in contraddizione con l'esito spaziale tutto murario: otto pilastri di cemento legati da archi intorno all'ottagono sull’esempio di un’antica aula termale romana. L'importanza della zona d'ingresso fu sottolineata da Arata già nel 1924 in un'intervista rilasciata all'inviato de “Il Secolo” a Piacenza per scrivere un articolo sulla Galleria. La facciata eseguita, se confrontata con i disegni depositati al Comune nel 1925, mostra un'ulteriore evoluzione della ricerca di Arata che abbandona progressivamente l'idea del profondo nicchione lapideo a inquadrare l'accesso per una soluzione più semplice e austera, con un ricco portale in pietra a bugne non iscritto in un'edicola, racchiuso da due piloni in mattone faccia a vista. Si ebbero altri ripensamenti, soprattutto sul piano ornamentale e nella sistemazione delle aree verdi.
Il 1º febbraio 1931 la collezione risulta già trasferita dal palazzo di via Poggiali, residenza di Ricci Oddi, alla via S. Siro, dove il nobile piacentino fu assistito nell'allestimento da Giulio Arata e Aldo Carpi. Il 30 aprile dello stesso anno la Galleria fu riconosciuta Ente Morale con Decreto regio n. 647. Il 17 Luglio il proprietario consegnò ufficialmente al Podestà la raccolta e il 28 agosto, in una sala delle adunanze del Municipio, si procedette all'insediamento dell'Ente con le relative nomine.
Domenica 11 ottobre 1931 la Galleria fu aperta con inaugurazione solenne tenuta dai principi Umberto e Maria José: l'evento ebbe una risonanza nazionale e rappresentò per la città una riaffermazione del ruolo risorgimentale della Primogenita. Successivamente proseguirono gli acquisti a cui provvedeva direttamente il fondatore.
Alla sua morte nel 1937 si scoprì che egli aveva lasciato al suo museo quasi tutto il denaro liquido, le azioni e persino i gioielli per consentire la gestione e il continuo arricchimento della raccolta. Continuarono gli acquisti, spesso alla Biennale di Venezia, e le donazioni, effettuate a volte dagli stessi artisti, valga il caso di Filippo De Pisis, che nel 1937 offrì lo splendido Vaso di fiori con pipa appena dipinto.
Le informazioni di questa sezione sono in parte ricavate dalle pubblicazioni:
La Galleria d'Arte Moderna G. Ricci-Oddi, L'Atto di Fondazione, in «Strenna Piacentina», Associazione Amici dell'Arte, 1926;
Alessandro Malinverni, Nuovi materiali per la storia della Galleria Ricci Oddi, in «Strenna Piacentina», 2011;
http://riccioddi.it/la-galleria/ <verificato il 02/10/2019>.
Il famedio dei caduti
Nel 1930 il Comune di Piacenza decise di riservare un’area del cimitero principale della città alla sepoltura dei caduti della Prima Guerra Mondiale. Essa venne identificata un anno dopo: nell’Ara crematoria. L’Ara già da tempo versava in pessime condizioni di manutenzione e il forno non era più attivo. Il presidente e i soci della Società per la cremazione si dichiararono favorevoli a cedere l’edificio al Comune in cambio di una cappella nel cimitero urbano per la conservazione delle urne cinerarie.
Il 27 luglio 1931 il servizio demografico e di stato civile del Comune di Piacenza inviò al Podestà l’elenco dei caduti in guerra inumati nel cimitero cittadino per il loro collocamento decoroso e definitivo nel cimitero principale del Comune di Piacenza. Dal documento risulta che delle 1536 salme 78 furono esumate per essere trasportate in altri comuni mentre 116 erano stati sepolte in posti speciali. Le salme dei caduti che dovevano essere spostate dal campo comune nel nuovo luogo a loro dedicato erano 1342.
Nel 1934 la Giunta Municipale approvò il progetto tecnico e il preventivo di spesa per i lavori di trasformazione dell’Ara crematoria, ubicata nel secondo reparto del Cimitero suburbano, a Famedio per raccogliere le spoglie dei caduti. Il capitolato d’appalto prevedeva la demolizione del forno crematorio, l’adattamento dei locali, il rivestimento di tutte le pareti con targhe in marmo con borchie di ottone, l’impianto di illuminazione elettrica. Alla gara d’appalto, che si tenne il 23 luglio del 1934, parteciparono diciannove ditte piacentine. La ditta vincitrice fu la Società Anonima Costruzioni, che firmò il contratto definitivo il 15 maggio 1936.
I marmi furono forniti dalla Società Italiana Marmifera Henraux con sede a Querceta di Seravezza (Lucca); essa fornì anche quelli dei pavimenti, che inizialmente non erano stati contemplati; per i marmi e le pietre di copertura si spesero 16.000 lire.
La decorazione pittorica del Famedio fu commissionata al Sindacato interprovinciale di Belle arti «sotto la direzione, vigilanza e responsabilità del pittore Luciano Ricchetti, fiduciario provinciale del Sindacato medesimo». I disegni furono sottoposti all’approvazione della Commissione di Ornato e all’Ufficio Tecnico Municipale. Il 25 giugno 1934 il Podestà deliberò un impegno complessivo di spesa di 3500 lire: 3000 per le decorazioni e 500 per l’impalcatura. Il 10 febbraio 1939 l’ingegnere Amilcare Fornero venne nominato collaudatore dei lavori, che terminarono il 30 giugno 1939.
I lavori furono pagati integralmente dal Comune di Piacenza, senza alcun concorso dello Stato. All’interno del Famedio venne collocata anche la targa in bronzo, riproducente i Cantori di Luca della Robbia, fusa nel 1918 per essere collocata sul monumento, posto nel Cimitero già il 2 novembre 1916 ai militari morti negli ospedali della città.
Le notizie relative al Famedio dei caduti sono interamente ricavate da:
Ragazzi: Piacentini alla guerra del ''15-'18, 2011, pp. 116-121.