La tradizione classico-cristiana
print this pageTradizione e formazione
Con il crollo dell’Impero romano (V secolo d. C.), per più di 1000 anni il sapere e l’acculturazione in Europa furono assicurati quasi esclusivamente dalle strutture territoriali e dalle istituzioni scolastiche ecclesiastiche, ispirate alle opere e all’insegnamento dei “Padri della Chiesa”. Innanzitutto s. Agostino e s. Girolamo, tra i grandi “fondatori” di quella cultura classico-cristiana che attraverserà l’intero Medioevo (cfr. V. I Padri fondatori). Una cultura che discute, rielabora e fa proprio il patrimonio classico greco-latino (pur andato soggetto a gravi perdite), alla luce degli insegnamenti cristiani e innanzitutto della Bibbia. Il nuovo sistema scolastico mutua dall’antico il cosiddetto ciclo delle sette arti liberali (proprie dell’uomo libero da attività pratiche o servili), organizzate in un primo trittico di discipline consacrate ai verba (Grammatica, Dialettica e Retorica, ovvero il Trivio, cfr. I. Trivio), delegate all’acquisizione di lettura e scrittura e al conseguente dominio del parlato e della capacità di racconto, e in un successivo quartetto di discipline consacrate alle res (Aritmetica, Geometria, Astronomia, Musica, il Quadrivio, cfr. II. Quadrivio), delegate ad acquisire le capacità di “conto” e quelle più elevate di “calcolo” e di “misura”. Queste sette discipline costituiranno fino all’Umanesimo la base della formazione richiesta all’uomo colto nell’intera Europa.
Fondamentale fu la plurisecolare attività di alfabetizzazione, trascrizione e trasmissione di codici, attraverso un’imponente rete di monasteri e di istituzioni ecclesiastiche (Montecassino, VI secolo; Bobbio e S. Gallo VII; Farfa VII, Cluny X, Citeaux XI, ecc. Mappa Monasteri). Momento cruciale è la cosiddetta “rinascita carolina”, una nuova stagione di studi promossa da Carlo Magno (742-814), frutto di una gigantesca riforma dell’istruzione nelle scuole abbaziali ed episcopali (vd. sotto De litteris colendis, La Rinascita carolina, forse di mano di Alcuino, per il quale si veda il manoscritto 40. Casan. 641) e di una forte ripresa e trascrizione di opere classiche mediante una scrittura nuova e chiara, la minuscola carolina, che ricostituì l’unità grafica europea e, ripresa in età umanistica, fu alla base dei caratteri mobili del libro a stampa. Recuperando un forte legame con la cultura latina, la riforma carolina rivelò anche il distacco dal latino delle nuove lingue volgari e la necessità di legittimarle per stabilire un rinnovato rapporto del clero con la massa dei fedeli (vd. sotto Deliberazione XVII del Concilio di Tours, Le nuove lingue volgari).
Carlo Magno [Alcuino ?], De litteris colendis, La Rinascita carolina
«Perciò vi esortiamo non solo a non trascurare lo studio delle lettere, ma a gareggiare in questo apprendimento con intento umilissimo e grato a Dio, per rendervi abili a penetrare più facilmente e rettamente i misteri delle divine scritture.»
Deliberazione XVII Concilio di Tours (813), Le nuove lingue volgari
«All’unanimità abbiamo deliberato che ciascun vescovo tenga omelie contenenti le ammonizioni necessarie a istruire i sottoposti circa la fede cattolica, secondo la loro capacità di comprensione circa l’eterno premio ai buoni e l’eterna dannazione dei malvagi […]. E che si studi di tradurre comprensibilmente le medesime omelie nella lingua romana rustica o nella tedesca, affinché più facilmente tutti possano intendere quel che vien detto.»
Allegoria e Tradizione
Gli autori (cfr. IV. Auctores) latini, fondamento ed exemplum d'ogni insegnamento linguistico, formano col tempo un canone, cioè un gruppo di testi ‘esemplari’. È questa assunzione a canone che assicura la loro perpetuazione fino all’Umanesimo e oltre. Parallelamente è la Bibbia (cfr. III. Bibbia) a costituire una prima fonte di acculturazione. Come già Omero in età antica, così in età cristiana la Bibbia e gli autori classici sono letti, oltre che nel loro significato letterale, anche in un senso ulteriore e simbolico, cioè allegoricamente. L’allegoria (dal greco allon agoreuein, ‘dire con riferimento ad altro’) consentiva, nella forma cosiddetta ‘figurale’, l’interpretazione del Vecchio Testamento alla luce del Nuovo e, nella forma ‘moraleggiante’, il riuso dei testi pagani per trarne insegnamenti morali. Due culture diverse e opposte come la pagana e la cristiana si fondono e confluiscono in una gigantesca ‘trasmissione e consegna’ di valori e di testi, sia scritti che orali, formando, di generazione in generazione, una vera e propria ‘tradizione’ (da tradere, ‘trasferire’, ‘consegnare’). L’arricchimento della tradizione è garantito proprio dall’allegoria che, libera da obblighi di veridicità filologica, per propria natura era indifferente al significato “autentico” dei testi e garantiva per di più ai colti un’interpretazione intellettualmente ed esteticamente più soddisfacente della Bibbia. La Tradizione diviene una vera e propria forma mentale onnicomprensiva, una modalità naturale di approccio per ogni iniziativa intellettuale. I colti (cioè gli “intellettuali”), sono gli interpreti e i garanti della Tradizione classico-cristiana, distinti dalla massa dei fedeli e degli illetterati, e vedono riconosciuta una specifica funzione, purché non interferisca col magistero della Chiesa.
Agostino, De doctrina christiana, II, vi, 7-8, Fascino e provvidenzialità dell’allegoria
«Ma coloro che leggono superficialmente la Bibbia sono ingannati da innumerevoli oscurità e da ambiguità di ogni sorta, scambiando una cosa per l'altra; e di certi passi non riescono a trovare nemmeno un’interpretazione sbagliata, tant’è densa la tenebra che diffondono alcune espressioni di oscuro significato. Che tutto ciò sia stato organizzato e previsto provvidenzialmente per volere divino, per abbassare con il travaglio esegetico la superbia e per rinfrancare dalla noia l’intelletto, che solitamente non ha interesse per le ricerche troppo facili, io non dubito. […] Ma perché ciò mi sembri più dolce che se non mi fosse offerta nessuna similitudine del genere dai libri sacri, per quanto si tratti dello stesso fatto e dello stesso concetto, è difficile dirlo ed è un'altra questione. E tuttavia nessuno disconosce sia che attraverso le similitudini si apprenda più volentieri ogni cosa, sia che le cose cercate con qualche difficoltà si trovano con molto più piacere. Coloro infatti che non trovano immediatamente ciò che cercano sono travagliati dalla fame; coloro invece che non cercano, poiché hanno tutto a portata di mano, per il disgusto si lasciano spesso marcire: in entrambi i casi invece bisogna evitare di essere indolenti.»
Agostino, De catechizandis rudibus, IX, 13, L’allegoria e i colti
«Vi sono pure alcuni, che provengono dalle scuole più comuni di grammatica e di retorica, i quali tu non potresti collocare tra gli illetterati né tra quegli uomini dottissimi la cui mente è esercitata allo studio dei più grandi problemi. A costoro dunque, che nell'arte retorica sembrano sopravanzare tutti gli altri, quando vengono per divenire cristiani, questo noi dobbiamo insegnare con più insistenza di quel che non si faccia con gli illetterati, cioè che, rivestiti dell'umiltà cristiana, imparino a non disprezzare coloro i quali sono più attenti nell'evitare i vizi morali piuttosto che i difetti d'espressione, e che a un cuore casto non ardiscano neppure di paragonare la forma raffinata, alla quale essi erano soliti dare la preferenza. Soprattutto poi bisogna insegnargli a dare ascolto alle Scritture divine, in modo che non abbiano a fastidio il linguaggio solido, per il motivo che non è pomposo; e non pensino che le parole e le azioni degli uomini, avviluppate e nascoste in involucri carnali, come si trovano in quei libri, non debbano essere spiegate e aperte per essere comprese, ma debbano essere accolte nel loro senso letterale. E a proposito della stessa utilità del segreto, per cui sono anche chiamati misteri, quanto sia utile l’oscurità di tali enigmi per acuire l'amore della verità e per scacciare il torpore derivante dal disgusto, bisogna loro provare con l’esperienza diretta: quel passo che presentato chiaramente non produceva alcun effetto, quello stesso passo viene rivelato grazie alla spiegazione allegorica. A questi colti infatti è utilissimo imparare a capire che bisogna anteporre i concetti alle parole, così come si antepone l'anima al corpo. Dalla qual cosa deriva che debbono preferire l’ascolto di discorsi più veri che eloquenti, così come debbono preferire avere amici più saggi che belli.»
Tommaso d’Aquino, Summa theologica, I, 10, Allegoria e ragione
«La molteplicità di tali sensi non porta all'equivoco o ad altre ambiguità, poiché, come abbiamo detto, questi sensi non si moltiplicano per il fatto che una medesima parola significa più cose, ma semplicemente perché le cose significate dalle parole possono essere un segno di altre cose. E così non c’è da temere delle confusioni nella sacra Scrittura, perché tutti gli altri sensi si fondano su un solo senso, quello letterale, dal quale solo è lecito argomentare, e non già dal senso allegorico, come nota Agostino nell'epistola contro Vincenzo Donatista. Né per questo viene a mancare qualche cosa alla sacra Scrittura, perché niente di necessario alla fede è contenuto nel senso spirituale che la sacra Scrittura non esprima chiaramente in senso letterale in qualche altro testo.»