Vittorio Imbriani è una delle personalità più eminenti ed affascinanti della cultura italiana ed europea della seconda metà dell’Ottocento. Nacque a Napoli nel 1840 da Paolo Emilio, illustre giurista, politico e patriota, e da Carlotta Poerio, sorella dei patrioti Carlo e Alessandro. Il padre Paolo Emilio fu Senatore del Regno e Ministro della Pubblica Istruzione nel 1848: spirito profondamente innovatore e liberale, si adoperò per una radicale riforma del sistema educativo, per lo svecchiamento strutturale dell'Università e degli altri istituti formativi della città di Napoli. Fu costretto, per le sue convinzioni politiche a rifugiarsi a Genova, a Torino, a Zurigo e a Nizza dove apprese di essere stato condannato a morte in contumacia.
Il giovane Vittorio - profondamente legato al padre - fu influenzato da tali vicende segnate dal periodo storico del Risorgimento e maturò un forte impegno civile, sociale e politico. Ma la sua personalità contraddittoria e bizzarra, in precario equilibrio tra individualismo, libertà e ordine costituito, lo condusse su posizioni oscillanti: prima repubblicano ed in seguito rigido sostenitore della monarchia.
La sua innata vocazione per gli studi letterari lo indusse a frequentare i corsi di Francesco De Sanctis, prima a Torino e poi a Zurigo; nel 1860, a Berlino seguì gli studi di filosofia del diritto, approfondendo la dottrina hegeliana. Figura poliedrica ed atipica di intellettuale, fu assiduo frequentatore di biblioteche, accanito lettore e collezionista di volumi, passione che gli valse la fama di raccoglitore onnivoro per la sua «sfrenata bramosia di comprar libri, di esploratore di botteghe e librerie, alla ricerca di rari tomi, pregiate edizioni e peregrini opuscoli, ma anche di fresche tirature» (1). Fu fine novelliere, romanziere, studioso della letteratura classica e popolare italiana, dantista di fama, critico d'arte, saggista, pubblicista; ma anche giornalista letterario e politico, attività che svolse con sfrenata passione e con uno spiccato spirito critico che provocò il confronto, anche acceso, con numerosi intellettuali ed uomini politici del suo tempo. Per oltre venti anni collaborò ad importanti giornali napoletani e nazionali, distinguendosi per il linguaggio pungente, polemico, addirittura sferzante: oltre che appendicista di critica letteraria ed artistica, si occupò delle cronache politiche, sociali, economiche, parlamentari e militari. Dopo l'Unità d'Italia si stabilì definitivamente a Napoli dove ricoprì numerosi incarichi amministrativi, accademici ed universitari, tra i quali la libera docenza in letteratura tedesca e, successivamente, in estetica presso l'ateneo napoletano.
La sua opera fu in parte incompresa e risentì - a detta dei suoi critici e detrattori che lo definirono misantropo - del suo carattere rude e solitario. Ma Vittorio Imbriani nel suo diario (16 agosto 1867) rispondeva indirettamente a tali critiche e, tracciando le linee che avevano guidato il suo percorso umano ed intellettuale, annotava: «Tutti...fanno delle lettere un mestiere, una professione...un mezzo per raggiungere fini e vantaggi personali. Io, francamente, no...Non ho cercato nulla, fuorché la soddisfazione di un'attività onesta, disinteressata, utile all'universale. Amo alcune idee, più di tutto e soprattutto...a me non piace né incensare, né essere incensato» (2). Fu Benedetto Croce, grande e appassionato studioso della poesia e delle tradizioni popolari, che rivalutò e valorizzò la figura di Vittorio Imbriani dopo la sua morte contribuendo, con il suo giudizio equilibrato e lucido, alla giusta collocazione della sua preziosa opera e del suo ruolo di insigne intellettuale nella storia letteraria e culturale del nostro Paese. Da alcune lettere inedite traspare il profondo rispetto e la grande considerazione che il Senatore nutriva per Vittorio Imbriani, al quale si rivolge appellandolo «Signor Professore» e firmandosi quale «suo devotissimo» Benedetto Croce (3). Croce intrattenne relazioni epistolari anche con la vedova di Imbriani, l'intelligente e cara amica Gigia Rosnati, alla quale riconobbe il merito di avere raccolto e preservato carte e documenti delle famiglie Imbriani e Poerio che riguardavano un secolo di patriottismo meridionale.