In seguito a recenti ricerche d’archivio si è aperto un nuovo filone d’indagine sulla storia personale e professionale di Stefano Lecchi. Il fotografo risulta attivo a Malta con un suo studio e nel marzo del 1864 ritrae Giuseppe Garibaldi durante la sua controversa visita nell’isola.
Stefano Lecchi era già presente a Malta nel 1831 dove nel mese di aprile sposa, in seconde nozze, Maria Anna Rizzo, che risulta possedere alcune proprietà immobiliari ereditate dai genitori. Numerosi documenti attestano la presenza del fotografo nell’isola tra il 1854 e il 1864 e il suo coinvolgimento in numerose liti giudiziarie.
È interessante notare che sul verso delle sue cartes-de-visite appaia lo stemma di casa Savoia mentre molti dei fotografi contemporanei attivi nell’isola vi esibivano quello della famiglia reale britannica.
Sicuramente il fotografo non morì a Malta. Probabilmente aveva seguito, con la moglie, il figlio Achille ad Alessandria d’Egitto.
Approfondimento
Un artista-fotografo, di fondamentale importanza nella storia della fotografia e della comunicazione, sparì dalla natia Italia qualche tempo dopo il 1850. Lo si riteneva morto ma ciò non rispondeva alla realtà. Si era trasferito a Malta ove si era stabilito ed aveva aperto uno studio fotografico.
Stefano Lecchi non fu un fotografo ordinario. Egli fu il primo a realizzare un reportage fotografico di guerra. Il primo a documentare le distruzioni dovute alle battaglie e alle loro conseguenze in un progetto organico e coerente. Non ci fu nessuno prima di lui, ce ne sono stati migliaia dopo di lui. Il suo collegamento con Malta era completamente ignoto prima d’ora. Ciò che ho appurato è meno dettagliato di quanto avrei voluto che fosse ma almeno ora ci troviamo difronte a un nuovo capitolo della sua vita, quello maltese finora sconosciuto e si apre di fronte a noi un nuovo filone di indagine biografica che dovrà essere esplorato a fondo.
Negli archivi di Palazzo Falson, Imdina, è conservata un’antica fotografia, il cui recto suscitò l’attenzione del prof. George Camilleri ai fini dei suoi studi di ricerca ma il cui verso suscitò immediatamente la mia attenzione. Si tratta del ritratto di Giuseppe Garibaldi realizzato a Malta durante la sua brevissima visita nell’isola nel marzo 1864. Il ritratto, raffigurante Garibaldi a figura intera con indosso i suoi caratteristici berretta tonda e poncho, reca sul verso in caratteri tipografici «S. LECCHI, Photographer, 141, Strada Stretta, Malta». Vi è anche incisa l’ulteriore frase: «Taken at the Imperial Hotel, 24 March, 1864». Il negativo è firmato “SL” in inchiostro nero sulla parte bassa della fotografia e tali iniziali appaiono bianche e invertite nella parte inferiore destra della stampa (Palazzo Falson: O.F.G. Photographic Archives, 1262).
Il ritratto di Garibaldi dimostra in maniera definitiva che Lecchi era attivo a Malta come fotografo professionista nel 1864 e che aveva un suo studio fotografico, cosa mai notata fino ad ora. Inoltre il primo piano dei locali dell’atelier, al numero 141 di Strait Street a Valletta, è sufficientemente spazioso per poter essere adibito anche ad abitazione. A quel tempo Strada Stretta era la zona malfamata e licenziosa di Malta, ma era anche, come ho dimostrato altrove, la culla dei primi studi fotografici di Malta (Bonello 2015). Molti, se non la maggior parte, dei primi fotografi professionali di Malta avevano aperto le loro attività commerciali qui. Dopo che Lecchi chiuse il suo studio, esso fu preso da Edward Grech Cumbo che lo utilizzò anch’egli per attività fotografica commerciale per parecchi anni. Ai giorni nostri, con il civico recentemente cambiato in 167, i locali ospitano l’ufficio del notaio Frans Micallef, mio buon amico e compagno di scuola.
Fino ad oggi Stefano Lecchi era noto per le sue scene di guerra e fotografo di paesaggi, e non era stato trovato e identificato alcun ritratto che fosse attribuibile a lui. Il Garibaldi di Palazzo Falson è il suo primo ritratto documentato, importante soprattutto come lavoro di Lecchi finora sconosciuto, ma anche perché il personaggio raffigurato era Garibaldi stesso. Il generale italiano era divenuto il soggetto preferito dei fotografi ritrattisti e le sue immagini non mancano di certo, ma l’averne trovata una nuova, ripresa durante la sua visita lampo a Malta, aggiunge qualcosa di piuttosto rilevante al suo corpus iconografico.
Ironia della sorte: questa non è la prima volta che il ritratto viene alla luce. Il Comitato maltese della Società Dante Alighieri aveva organizzato, nel 1961, una importante mostra nell’Aula Magna della vecchia Università per commemorare il primo centenario dell’unificazione d’Italia. Olof Gollcher, di Palazzo Falzon, aveva generosamente prestato questo foto-ritratto originale di Garibaldi agli organizzatori. Il caso vuole che io fossi veramente molto coinvolto nell’allestimento di tale mostra ed avessi messo mano a tutti i reperti esposti, compresa questa immagine unica (Bonello 1963). Ma l’importanza della iscrizione rivelatrice presente sul retro mi era totalmente sfuggita quando la vidi nel 1961. Avevamo dato importanza al recto, ma ignorato il rovescio della medaglia. La sorte è mutata solo recentemente quando il prof. George Camilleri mi ha coinvolto nella sua ricerca.
Stefano Lecchi, figlio di Antonio, nacque in un paese vicino Milano nel 1803 e divenne un pittore di minore importanza e un coraggioso pioniere della fotografica. La sua mente speculativa lo spinse a sperimentare tecniche originali e perfezionamenti nella macchina fotografica. Sembra che agli esordi seguisse il sistema del francese Daguerre, secondo il quale non esisteva negativo, e quindi si poteva realizzare una solta immagine positiva di alta qualità. In effetti scoprì e promosse la prima colorazione dei dagherrotipi. Ma presto egli passò alla tecnica fotografica alternativa di Fox Talbot che alla fine avrebbe universalmente prevalso. Essa si basava su un negativo da cui si poteva ricavare un qualsiasi numero di immagini positive (di qualità inferiore). Egli perfezionò il calotipo a un punto tale che Calvert Jones e George Bridges, entrambi pionieri della fotografia britannica fortemente legati a Malta, rimasero impressionati da Lecchi e dal suo lavoro.
Jones e Bridges erano in costante corrispondenza con l’inventore del calotipo, William Fox Talbot. Entrambi vissero a Malta per un considerevole periodo di tempo; essi eseguirono le prime immagini su calotipo di Malta finora conosciute. Entrambi conoscevano Lecchi e ammiravano il suo lavoro. George Bridges disse a Fox Talbot che Lecchi era notevolmente stimato dai suoi contemporanei sia per l’abilità di ottenere un cielo chiaro senza macchie sia per i brevi tempi di esposizione che egli prediligeva. Egli «otteneva eccellenti risultati, pesino utilizzando carta di povera qualità. Io stesso l’ho visto realizzare quattordici fotografie in un solo mattino a Pompei senza compiere un solo errore» (Sciolari 2015).
Egli viaggiò piuttosto estesamente, dal sud della Francia, a Roma, a Napoli dove Ferdinando II, re delle Due Sicilie, gli commissionò di fotografare le spettacolari rovine di Pompei.
Egli è famoso per l’ampio reportage di guerra del 1849 che registra attraverso un ampio numero di immagini (44 sono quelle finora conosciute) il panorama della lotta mortale tra le forze francesi da un lato e i sostenitori della Repubblica romana, destinata a cadere, dall’altro. Queste immagini sono la prima documentazione fotografica della storia delle devastazioni della guerra, con palazzi bombardati, paesaggi distrutti, edifici butterati dalle bombe e una generale aria di desolazione. Pochissime copie di questi album di guerra pioneristici risultano essere sopravvissuti, acquistati soprattutto dagli sconfitti sostenitori dell’Italia unita.
Il fotografo sposò Maria Anna Rizzo da cui ebbe quattro figli: Achille, Mario, Antonio e Adelaide, che nel 1858 si ritirò in convento. A Roma la famiglia abitava in via del Corso e successivamente in via del Babuino, via dei Greci e via Mario dei Fiori, tutte strade predilette dalla estesa comunità artistica nativa e straniera che risiedeva a Roma. Risulta che fosse un assiduo cliente di quel punto di ritrovo per gli artisti di Roma, il Caffè Greco di via dei Condotti, tuttora fiorente come trappola per turisti. Ad un tratto gli successe qualcosa di terribile; anche se ad oggi non si ha contezza dell’accaduto. In una nota biografica contemporanea Augusto Castellani scrive «le sfortune che lo colpirono gli impedirono di perfezionare ulteriormente il suo metodo che non è scarso di meriti in alcuni risultati». Credo di sapere ora in che cosa consistesse questa ignota disgrazia.
Dopo di ciò scompare definitivamente, e lo si riteneva morto.
La storica e controversa visita di Garibaldi a Malta nel marzo 1864 divise in due l’isola. I britannici in generale e una piccola parte dei liberali maltesi l’accolsero con emozione ed entusiasmo. La maggioranza, di tendenze più clericali, gli si oppose; era un rivoluzionario che aveva preso le armi contro il papa nelle sue campagne finalizzate a unificare i vari stati di una nazione frammentata, inclusi gli Stati Pontifici. In Malta, l’intellighenzia in genere favoriva l’emancipazione dell’Italia, ma allo stesso tempo aveva un forte legame emotivo col papato. Numericamente a Malta i sostenitori del Papa-re sopravanzavano di molto quelli favorevoli all’unificazione italiana. I britannici, nel Regno Unito e a Malta, avevano una sconfinata adorazione per l’eroe Garibaldi, fatta eccezione di pochissimi cattolici ultra-conservatori.
Quando sull’isola si parse la notizia dello sbarco di Giuseppe Garibaldi a Malta, il 23 marzo 1864, i suoi sostenitori maltesi e italiani organizzarono un rumoroso benvenuto, con messaggi e visite di cortesia. La baronessa Angelica Testaferrata Abela presentò un “Indirizzo” di benvenuto firmato da oltre 300 sostenitori (altre fonti parlano di 190). Il resto della popolazione mantenne un glaciale silenzio ostile, rotto da occasionali fischi e abbasso. Il generale e i sui due figli, Menotti e Ricciotti, alloggiarono all’Hotel Imperial in Strait Street. Lasciarono l’hotel solo per prendere il piroscafo serale. Più tardi l’hotel pose una targa di marmo all’ingresso, per commemorare questa visita. L’hotel fu distrutto da un’azione nemica nel corso della seconda guerra mondiale, e fu sostituto più tardi dal cinema Embassy
Ovviamente Lecchi ebbe il permesso di fotografare Garibaldi all’interno dell’hotel, e sul retro della fotografia, alle scritte relative al suo studio, aggiunse una dicitura stampata per registrare la data e il luogo dove era stata scattata la fotografia. Il fatto che questa ulteriore scritta fosse, abbastanza eccezionalmente, in inglese, piuttosto che in italiano, dimostra che Lecchi riteneva che il suo mercato principale per questi ritratti di Garibaldi fosse costituto dai britannici residenti a Malta, anziché dai maltesi.
La visita a sorpresa di Garibaldi a Malta, divise l’isola in due, il che non fu un fatto inaspettato. Coloro che provavano per lui un’ammirazione reverenziale, esultarono; gli altri sminuirono l’importanza dell’evento. Il Portafoglio Maltese, un giornale conservatore che per qualche tempo era stato edito da Tito Vespasiano Micciarelli, una spia al soldo dei servizi segreti austriaci napoletani e russi, sosteneva la supremazia papale, sia in campo temporale che spirituale, e diede un resoconto graffiante della visita (Il Portafoglio Maltese, 26 marzo 1864). Il periodico cattolico londinese The Tablet riportava una traduzione in inglese dell’articolo in cui si affermava: «La mattina del 23 (marzo) di buon’ora molte persone dimostravano la curiosità di veder quell’uomo (Garibaldi) e in conseguenza si riunivano nelle vicinanze dell’hotel, mentre altre si presentavano da sole a lui; ma la maggior parte di esse erano inglesi e italiani residenti qui, e alcuni erano ufficiali della guarnigione e della marina come pure alcune gentildonne inglesi, e circa mezza dozzina di eroine maltesi».
Il giornale metteva in evidenza «l’antipatia e avversione che il popolo professa contro quest’uomo». Persone rispettabili di tutti i partiti si dovettero sforzare al massimo per calmare il popolo «in modo di prevenire la tempesta che stava per scoppiare». Il giornale nota che Garibaldi «per non disturbare la pubblica quiete, non si mostrò in strada, ma rimase chiuso nell’hotel come se fosse un prigioniero, e si imbarcò sul Ripon, con il quale doveva partire, quando il piroscafo britannico era appena entrato in porto, a un’ora in cui la gente non si sarebbe accorta della sua frettolosa partenza dall’hotel, tre ore prima dell’ora alla quale era stato indicato di proposito che sarebbe partito, dopo due ore di vana ricerca di una carrozza, che nessuno gli avrebbe noleggiato»
L’«indirizzo dei maltesi» presentato a Garibaldi dalla baronessa Testaferrata Abela era, in realtà, firmato da «maltesi, inglesi e stranieri messi insieme con molta fatica». Il Portafoglio aggiunge che «quaranta di quegli stessi giovani salirono a bordo del Bulldog per attendere la sua partenza dal porto per esprimergli la loro simpatia e furono fischiati sia all’andata che al ritorno». Nel commento editoriale il giornale protesta in maniera veemente contro i sentimenti espressi dall’Indirizzo, chiamandolo «abusivo, falso e scandaloso, perché si contrappone ai sentimenti del popolo maltese, che professa solo antipatia e avversione contro il calunniatore e diffamatore del Papato» (The Tablet, 16 aprile 1864).
Ma la presenza di Lecchi a Malta in quel periodo è anche testimoniata da una petizione, firmata da un esteso numero di italiani residenti sull’isola. L’originale di tale documento appartiene a una collezione privata. Esso è stato ritrovato dal prof. George Camilleri che lo sta per pubblicare e che mi ha gentilmente concesso di consultarlo.
Poco tempo prima che fosse eseguita la fotografia di Garibaldi, Achille Lecchi e Stefano Lecchi avevano apposto le loro firme a questo documento (Camilleri 2015). La loro presenza là conferma innanzitutto che Lecchi era a Malta con il suo figlio più grande e, in secondo luogo, che entrambi erano attivamente coinvolti nella politica risorgimentale dalla parte dei liberali favorevoli all’unità d’Italia. Ma soprattutto la firma di Stefano Lecchi ci dice quale era la “sventura” che lo aveva colpito. È una firma quasi illeggibile, rinsecchita, tremante, molto diversa dalla firma audace e assertiva posta sulle sue fotografie romane. I miei studi giovanili sulla grafologia comparata non mi lasciano dubbi che la persona che la vergò aveva subito un ictus paralizzante.
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Da quando ho inizialmente pubblicato il mio saggio su Lecchi, nel febbraio 2016 (Bonello 2016), due nuovi flussi di ricerca hanno arricchito in maniera sostanziale le nostre conoscenze relative a questo grande pioniere. Ho esplorato nuovi archivi e così ha fatto Roberto Caccialanza (Caccialanza 2017). Con dei risultati piuttosto stupefacenti. Le ricerche hanno rivelato che Lecchi era già stato a Malta nel 1831, ed è qui che aveva sposato Maria Anna Rizzo il 24 aprile, nella chiesa parrocchiale di Porto Salvo, St. Dominic, Valletta. La sorella di Maria Anna, Epifania, aveva già sposato un fiorentino, Anastasio (o Atanasio) Pini, nella stessa chiesa di Valletta il 30 gennaio 1825. Le sorelle Rizzo, nate a Palermo, devono essersi stabilite a Malta parecchi anni prima che Stefano si maritasse. Questo era il secondo matrimonio di Lecchi, perché nel certificato lo si indica come vedovo di Laura Grammatico. La madre di Lecchi era Giuseppa Rossi.
Sebbene i contratti affermano che le due sorelle Rizzo erano nate a Palermo, nei procedimenti arbitrali e giudiziari tra Lecchi, quale mandatario di sua moglie e la di lei sorella si fa riferimento a Epifania come ‘figlia di Nicola Rizzo Maltese’.
L’11 febbraio 1854, Stefano condusse la moglie dal notaio Paolo Carosi a Roma ed ella firmò una procura in suo favore.
Contratti notarili e casi giudiziari documentano la presenza di Lecchi a Malta per almeno dieci anni, tra il 1854 e il 1864, molto prima e più a lungo di quanto si supponesse prima. Emerge un quadro di difficoltà finanziarie, con Lecchi braccato dai creditori. Ho svolto la mia ricerca negli archivi di alcuni notai. Altri possono contenere ulteriori notizie
Il 23 marzo 1854, egli appare davanti al notaio Giuseppe Antonio Parodi a Valletta per riconoscere, a suo nome e per conto di sua moglie, un debito di 20 sterline a favore di Salvatore Said, che si impegnò a rimborsare a sei mesi con l’interesse del 6% (NAM Parodi 1854). Il 20 luglio 1854 il notaio Rossignaud stila un’altra costituzione di debito tra Lecchi e Giovanni Busuttil per 48 sterline. Il 17 ottobre, il notaio emette un protesto per una cambiale non onorata da Stefano Lecchi residente a ... Strada Stretta, Valletta (il notaio lasciò uno spazio vuoto al posto del numero, ma è corretto ritenere che si tratti del numero 141). Il giorno successivo Stefano prende in prestito 7 sterline e 10 scellini da Giuseppe Vella come attestano i documenti dello stesso notaio. Egli si indebita di nuovo l’anno successivo, questa volta con Paolo Busuttil (NAM Rossignaud).
Ma la moglie di Stefano Lecchi possedeva alcune proprietà immobiliari in Malta, ereditate dai suoi genitori, il che alla fine gli diede un po’ di respiro. Tali proprietà erano costituite dalla metà indivisa della casa sita al numero 10 della Strada Britannica (anche nota come Strada Botanica o Strada Giardini) a Floriana, e da un giardino al numero 6 di Strada Collegio a St. Julian. Egli li vendette il 3 maggio 1855 a Angelo Caruana al prezzo di 300 sterline, delegando il notaio a pagare i suoi creditori col ricavato (Ganado 2015). Questi erano: l’avvocato di Lecchi, Dr Lorenzo Xuereb, lo stesso notaio, Margherita Pace, gli eredi di Giovanni Busuttil, Giuseppe Vella, Maria vedova Busuttil. Il magro resto della somma (poco meno di 44 sterline) sopravvissuto al pagamento di questi debiti, andava a Lecchi e a sua moglie che non era presente alla stesura dell’atto (NAM Parodi 1855).
Stefano appare nuovamente nel contratto stilato dal notaio Carlo Curry il 26 novembre 1860, mediante il quale Concetta Caruana vedova di Angelo, vendeva al reverendo Charles Popham Miles del Protestant College, il piccolo giardino di St Julian che aveva acquistato da Lecchi (NAM Curry).
A Malta Stefano Lecchi si trovò pesantemente coinvolto in liti giudiziarie. Ho rintracciato quattro casi, tutti relativi all’eredità della moglie. Sebbene gli incartamenti del tribunale siano piuttosto voluminosi, essi non aggiungono pressoché nulla alla nostra conoscenza del fotografo Lecchi. I primi due casi furono intentati da Stefano come procuratore della sua assente moglie Maria Anna e da Pietro Ferrante, come procuratore della di lei sorella Epifania, vedova di Augusto Autin o Autine. Nella causa principale le sorelle avevano citato a giudizio l’orefice per diffamazione.
Dietro questo fatto si nasconde una triste storia. I coniugi Nicola e Antonia Rizzo, genitori delle due sorelle, avevano fatto un testamento congiunto il 23 giugno 1839, che lasciava al coniuge sopravvissuto l’usufrutto della proprietà immobiliare fino a quando rimanesse in vita, e le loro due figlie eredi a pari titolo. Essi altresì testarono che il coniuge sopravvivente avrebbe perso l’usufrutto se si fosse rimaritato. Ed è esattamente questo che fece la vecchia vedova Antonia Rizzo. Il giovane gioielliere Felice Attard la circuì e rilevò tutto il suo patrimonio compresa l’attività del negozio di Strada Reale 281 a Valletta.
Sentendosi truffate le due sorelle fecero causa al secondo marito della loro madre dopo che ella morì. La Corte civile emise il verdetto il 29 novembre 1854 e la causa si concluse in Corte d’appello il 25 marzo 1855.
Ma poi le due sorelle litigarono tra di loro. Stefano Lecchi a nome di sua moglie Maria Anna citò in giudizio Epifania Autin. All’inizio Maria Anna ed Epifania avevano raggiunto un arbitrato amichevole per risolvere le divergenze esistenti tra loro “per evitare gli enormi costi”; esse redassero persino un accordo formale arbitrato nei registri del notaio Stefano Antonio Micallef il 2 ottobre 1854. Ma quando gli arbitri si pronunciarono contro di lei, Epifania dichiarò nullo l’arbitrato e di oppose all’esecuzione del lodo. il giudice della Corte civile, diede ragione a Lecchi il 9 luglio 1855, ma il 9 novembre 1855 la Corte d’Appello ribaltò il giudizio.
Nel frattempo Epifania aveva fatto causa a Stefano come rappresentante della sorella Maria Anna per il costo delle spese dell’esperto della corte (nel caso contro Attard), che ella aveva dato a Stefano Lecchi da pagare, ma che Stefano aveva usato per altri scopi e l’avvocato Dr. Xuereb aveva dunque dovuto tirar fuori di tasca propria. Lecchi ammise il reclamo e il giudice Antonio Micallef il 29 maggio 1855 lo condannò a ripagare la cognata dei costi (Gli atti processuali e le sentenze sono conservate nei National Archives di Imdina).
La ricerca di Roberto Caccialanza ha anche riportato alla luce un secondo ritratto in formato carte-de-visite scattato nello studio di Stefano Lecchi in Strada Stretta numero 141. Tale ritratto appartiene ora alla collezione di Ruggero Pini. Il soggetto non identificato ha scritto una dedica a mano datata 17 giugno 1866. Una sedia identica a quella presente nel ritratto di Lecchi, appare come sostegno nella carte-de-visite di James Conroy, il cui studio si trovava anch’esso in Strada Stretta, al numero 56, sebbene lo studio di Lecchi fu più tardi usato da un altro fotografo maltese, Edward Grech Cumbo. Mentre molti fotografi contemporanei che lavoravano a Malta in quel tempo sfoggiavano lo stemma della famiglia reale britannica sul retro delle loro fotografie, le cartes-de-visite di Lecchi appaiono essere le uniche con lo stemma del re di Savoia, in una xilografia piuttosto rozza, un’ulteriore conferma delle sue tendenze politiche.
Finora non sono riuscito ad appurare quando Stefano e Achille Lecchi lasciarono Malta, dopo aver allestito lo studio fotografico in via Strait, Valletta, sebbene una più approfondita ricerca nei National Archives possono rivelare tali date. Quello che è certo è che Stefano Lecchi non morì a Malta. Lo conferma un’esaustiva ricerca al Public Registry. Dove è andato da qui? Molto probabilmente egli seguì il figlio, il pittore Achille Lecchi, che era con lui a Malta, ad Alessandria d’Egitto. La sua vedova Maria Anna vi morì il 9 maggio 1882, seguita da Achille, nel 1898.
(Giovanni Bonello)