Il luogo e il modo di pena dei dannati per l'invidia
(adunanza ordinaria del 22 ottobre 1950), [s.l., s.n., 1951?], pp. 41-44, 25 cm. Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, anno accademico 1950-51, t. 109, classe di Scienze morali e lettere. BENIN.3233/25
Gli invidiosi occupano due interi canti del Purgatorio, il XIII e il XIV, ma sembrano dimenticati nell’Inferno. Eppure la lettura dei due canti del Purgatorio ci fornisce, secondo Benini, la chiave per capire quale destino Dante avesse riservato per gli invidiosi puniti per l’eternità all’inferno. Aglauro (Purg. XIV, 139), vero prototipo dell’invidia, fu punita dal dio Mercurio per aver ostacolato (per invidia) l’amore di quest’ultimo per la sorella. La sua pena fu quella di essere trasformata in roccia per l’eternità. Benini immagina che anche nell’inferno gli invidiosi fossero sottoposti alla medesima pena, il che giustificherebbe la presenza all’inferno della Medusa. La morte lapidea avrebbe dunque privato i dannati della loro forma fisica e della possibilità stessa di parlare o di lamentarsi: essi, dopo essere stati costretti a guardare la Gorgona ed essere trasformati in pietre, sarebbero immediatamente gettati sul fondo dello Stige, subendo una pena addirittura peggiore di quella degli iracondi e degli accidiosi.