«Critici si nasce: poeti si diventa – ha detto Roberto Longhi –. Nella primavera del ’42, il primo impulso a scrivere versi mi venne, più che dalla vita e dalla realtà, dall’arte, dalla cultura. Da tempo mi avevano colpito le poesie di due vecchi compagni di università: Francesco Arcangeli e Antonio Rinaldi; […] Seguivo, oltre a ciò, i miei amici storici dell’arte – lo stesso Francesco Arcangeli, Giuseppe Raimondi, C. L. Ragghianti, Cesare Gnudi, Giancarlo Cavalli – sulle tracce dei pittori ferraresi e bolognesi del Cinquecento e Seicento: cosicché la campagna tra Ferrara e Bologna, che il mio treno percorreva quasi quotidianamente, mi si mostrava attraverso i colori intrisi di una luce come velata, di antiche pitture. La primavera del '42!» (G. Bassani, Postfazione, pp. 1162-1168).
Durante gli anni universitari, Bassani cercò il suo stile, sia come poeta che come prosatore, e pubblicò le sue prime opere. A questi anni preziosi, al magistero di Longhi e al suo modo di commentare le opere d’arte, al confronto continuo con gli amici e sodali, alle esperienze di giovane universitario che percorreva la pianura in treno e viveva la città di Bologna respirandone il clima e la cultura, che venivano intrecciati ai ricordi e alla vita ferraresi, Bassani deve il suo stile e la sua poetica, in uno sperimentalismo continuo e mai soddisfatto. In un sistema perfetto dove tutto si tiene ogni cosa torna, si affolla sulla pagina e nutre la scrittura di Bassani.
La poesia di Bassani vuole essere immagine e vive grazie a immagini colte attraverso la pittura. In questo meccanismo l’apporto di Bologna è apertamente dichiarato: «Le mie poesie del ’42 sono molto visive, molto legate all’immagine, e questo anche in rapporto alla frequentazione di Morandi, Longhi, Raimondi, e secondo come quel particolare ambiente letterario mi suggeriva» (A. Dolfi, Meritare il tempo. Intervista a Giorgio Bassani, in Id., Le forme del sentimento, Liviana editrice, Padova, 1981, p. 82); e ancora, Bassani a Raimondi, il 24 Febbraio 1949: «Lasci che la ringrazi delle lodi in essa contenute per le mie poesie. Esse mi vengono da lei, che stimo e a cui voglio bene, e da Bologna, la città a cui sono più attaccato (Ferrara è fuori questione: non so se più l’amo o odio …)».
Gli esordi narrativi sono inaugurati dal racconto III classe e proseguono nella ricerca di uno stile che possa tradurre l’esperienza umana. Storia di Debora è un chiaro e sublime esempio dell’«officina bolognese» di Bassani: il racconto infatti nasce a Bologna nel 1940, non solo per quanto concerne il concepimento autoriale, ma anche per la veste grafica. Infatti, secondo una testimonianza di Bianca Arcangeli (la sorella di Francesco), fu proprio lei stessa ad occuparsi della battitura del dattiloscritto che qui si può vedere esposto. Storia di Debora, prodotto dell’«officina bolognese», rivisto e rielaborato diventerà poi Lida Mantovani delle Cinque storie ferraresi.
Un appunto illuminante di Bassani, scritto su un taccuino nel 1941, vale da solo a spiegare come sia proprio la pittura che egli ha studiato e conosciuto a Bologna a dare forma alla sua scrittura: «gli oggetti dovevano diventare famigliari al punto da “odiarli” in me per la loro desolante consuetudine. Tutto doveva marcirmi dentro»; una stupenda natura morta.