L'alimentazione dai primi del secolo al secondo dopoguerra
print this pageLa prevenzione della pellagra
Ministero dell’Interno. Direzione generale della sanità pubblica, Legge 21 luglio 1902 n. 427 e Regolamento 5 novembre 1903 n. 451 per la prevenzione e la cura della pellagra (Roma 1903, 34 pp.)
Carta, cm. 21,7 x 15,3
Prefettura di Milano - Carteggio generale amministrativo, b. 5646
L'Italia dell'inizio del secolo è un paese povero la cui economia è basata prevalentemente sull'agricoltura. L'alimentazione della maggior parte della popolazione è costituita da prodotti quali pane, legumi, verdure, formaggio. La carne è riservata a poche occasioni o alle classi più agiate, insieme ad altri prodotti come zucchero e caffè. Nell'Italia settentrionale è molto diffuso il consumo di polenta, alimento per i poveri se mangiata da sola, per i ricchi se fritta o accompagnata da formaggi, salsiccia, funghi, merluzzo. Questo tipo di alimentazione, basato in gran parte sul mais, dal valore nutritivo molto povero, ha come conseguenza il diffondersi della pellagra, malattia causata dalla mancanza di vitamine. Per contrastare il diffondersi della patologia vengono emanate delle leggi che impongono un controllo accurato della qualità del granturco e la sostituzione di tali coltivazioni con altri cereali nei comuni colpiti.
L'alimentazione "autarchica" nel Ventennio fascista
Il premio all'agricoltore dell'anno. Manifesto del Concorso nazionale per la vittoria del grano. [1925]
Carta, cm. 24 x 17
Prefettura di Milano - Gabinetto - I serie, b. 351
Nel 1925 Mussolini promuove una campagna chiamata battaglia del grano per favorire la produzione di grano e ridurre le importazioni. Le misure adottate sono concorsi a premi, crediti a favore degli agricoltori, dazi sul frumento e altri cereali, compilazione di decaloghi del buon coltivatore di grano. A fini di propaganda, ma anche a causa del pericolo di un'imminente dichiarazione di guerra, l'Italia adotta una politica autarchica per essere in grado di produrre autonomamente ciò di cui ha bisogno. Si agisce sull'opinione pubblica per convincere gli italiani a cambiare abitudini. Sui giornali, sulle riviste e persino su copertine di quaderni e libri scolastici vengono diffusi messaggi pubblicitari volti a indirizzare i consumi verso prodotti nostrani e consigli alle massaie per evitare sprechi e preparare piatti genuini con ingredienti italiani.
Nel 1925 il Ministero dell'economia nazionale bandisce un concorso a premi destinato agli agricoltori che raggiungeranno la massima produzione media di frumento. La Commissione giudicatrice, per assegnare i premi, terrà conto delle razionali rotazioni, la buona lavorazione e sistemazione del terreno, la opportuna scelta delle varietà, la selezione e disinfezione del seme, la semina a righe distanti, la appropriata concimazione, le cure culturali.
L'alimentazione di guerra
Il ventesimo secolo è caratterizzato da due conflitti mondiali. Lontano dal fronte le famiglie italiane soffrono la carestia e le malattie causate dalle carenze alimentari, mentre i soldati sul campo devono fare i conti con la scarsa qualità degli alimenti e la mancanza d'acqua. Il menù è comunque diverso a seconda del rango dei militari. Con il passare del tempo e il protrarsi delle operazioni belliche, le scorte alimentari si esauriscono, le razioni di cibo diminuiscono, mentre i prezzi aumentano.
Durante la guerra vengono razionati olio, strutto, lardo e altri grassi e poi anche pasta, riso e pane. L'unico modo per sopravvivere è il ricorso alla borsa nera, mentre vengono pubblicati riviste e libri di cucina per aiutare le massaie a utilizzare le poche risorse disponibili. Con l'occupazione tedesca la scarsità di generi alimentari costringe ad aprire mense collettive e i cosiddetti ristoranti di guerra per assicurare ai cittadini un piatto di minestra calda.
Gli interessi dell'esercito devono avere la precedenza
Circolare del tenente generale Francesco Stazza ai Comandi di Corpo d'Armata
s.d.
Carta, cm. 38,8 x 21
Prefettura di Milano - Gabinetto - I serie, b. 61
Il decreto luogotenenziale n. 1053 del 11 luglio 1915 stabilisce un'organizzazione per l'incetta metodica degli animali bovini nel territorio nazionale durante la guerra. L'organizzazione comprende una Commissione centrale, con compito essenzialmente direttivo, formata da ufficiali, rappresentanti del Ministero dell'Agricoltura, delle istituzioni agrarie del Regno e della Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato, e da Commissioni provinciali, incaricate di requisire i bovini e avviarli alle destinazioni previste. I Comandi dei Corpi d'Armata mediano fra i due organi.
Constatata la difficoltà delle Commissioni provinciali nel formare i treni di bovini previsti, il presidente della Commissione centrale Stazza (Modena 1854 – Genova 1923) richiama l'attenzione sulla gravità della questione, che porterebbe a compromettere la regolarità delle spedizioni di bovini alle truppe e la lavorazione degli stabilimenti di scatolette di carne.
...le Commissioni procurino di conciliare quanto più è possibile gl'interessi dell'agricoltura con quelli dell'Esercito; ma non dimentichino che gl'interessi dell'Esercito hanno e debbono avere nel momento attuale la precedenza, per modo che essi non siano compromessi.
Il rancio dei soldati
L'equipaggiamento del soldato italiano prevede la classica gavetta di forma semiellittica e la borraccia in legno, poi sostituita da quella in lamiera rettangolare e circolare.
(archivio privato)
«Il giudizio dei soldati sulla quantità del rancio risulta, nelle lettere alle famiglie o nei diari, quasi sempre positivo. La razione giornaliera era studiata per apportare mediamente circa 4000 calorie (4700 per le truppe sottoposte a lavoro intenso in alta montagna), salvo che nel corso del 1917 quando scese a poco più di 3000 calorie per mancanza di scorte alimentari; in ogni caso, una dieta sicuramente più ricca di quella cui erano abituati da civili la maggior parte dei militari di estrazione popolare, non esclusi i veneti, cresciuti in un ambiente nel quale la pellagra non era stata ancora del tutto debellata alla vigilia del conflitto. I problemi riguardavano semmai la qualità del cibo, che spesso giungeva freddo e scotto nelle trincee...»
Ricetta per la Zuppa del soldato:
«Ingredienti (da 1 a n+1 persone): Farina 100 gr., Tre cucchiai di olio di oliva, Tre patate, Acqua.
Dopo esservi procurati, in qualsiasi modo, gli ingredienti, trovate un anfratto al riparo dai bombardamenti e procedete come segue.
Mettete la farina nella pentola, o nell'elmetto, e accendete il fuoco piuttosto basso continuando a mescolare finché non raggiunge un bel colore di autocarro incendiato. Aggiungete l'olio e mescolate fino ad ottenere una crema di un color marroncino molto militaresco, della densità di una trincea sotto il diluvio. Aggiungete quindi l'acqua, o aspettate che piova, fino ad ottenere una cremosità... "media". Qui l'occhio del soldato italiano non può e non deve sbagliare. Pelate le patate, tagliatele a dadini e tuffatele nella zuppa. Il vero soldato si mangia anche le bucce. Quando le patate saranno morbide la zuppa sarà pronta, attenzione solo a non rivelare la vostra posizione al cecchino nemico con i vapori della preparazione.»
Le citazioni sono tratte da:
Angelo NATALONI, Forchette e gavette: storie di guerra, uomini e marmitte. L'articolo del dott. Angelo Nataloni, Socio della Società di Cultura e Storia Militare (SCSM) è stato pubblicato nell'agosto 2010 sul sito www.arsmilitaris.org della Società medesima.
leggi tutto l'articolo (PDF, 931 KB - per gentile concessione dell'Autore)
Reportage dal fronte
Fotografie
Vari formati
(archivi privati)
Le fotografie qui riprodotte, ad eccezione dell'ultima, sono state scelte fra quelle scattate da un ufficiale che aveva partecipato al primo conflitto mondiale e raccolte in un piccolo album. Illustrano vari momenti di vita al fronte con riguardo al procacciamento di vettovaglie per uomini e animali (spesa foraggio), alla panificazione (anche con l'uso dei "Forni Weiss"), alla macellazione di bovini e distribuzione delle carni, alla cucina dei cibi e infine al consumo. Si è aggiunta una fotografia più tarda, che ritrae due soldati arruolati durante la Seconda Guerra, per mostrare come le gavette in dotazione non differissero molto da quelle in uso trent'anni prima.
Cara Lisetta, ... noi invece nuotiamo tutt'altro che nell'abbondanza
Trascrizione di uno stralcio di lettera sottoposta a censura militare
1944 ottobre 18
Carta, cm. 14,8 x 21
Prefettura di Milano - Gabinetto - II serie, b. 359 (fascicolo “Valdameri Arturo – Formenti Elisa. Censura lettera”, categoria 029, anno 1944)
Nella lettera a Lisetta Formenti, Arturo Valdemeri descrive la carenza dei prodotti alimentari di prima necessità in città nell'autunno del1944, a più di quattro anni dall'inizio del conflitto. I pasti giornalieri prevedono solo minestra, mele cotte, pasta o riso e un po' di formaggio, mentre il vino, la carne e le uova sono diventati prodotti di lusso sui quali qualcuno specula aumentando arbitrariamente i prezzi.
L'alimentazione nel secondo dopoguerra
Dopo la guerra le abitudini alimentari cominciano a cambiare. Pur rimanendo stabile il consumo di cereali, sulle tavole degli italiani compaiono più frequentemente carne, frutta, ortaggi, latte, formaggio, zucchero e grassi. La modernizzazione tecnologica e in primo luogo la diffusione del frigorifero determinano l'affermazione dell'industria conserviera e la possibilità di nutrirsi di cibi prodotti a migliaia di chilometri di distanza.
Negli anni sessanta, in pieno boom economico, prende avvio la cultura della pausa pranzo fuori casa e del consumo di pasti veloci, favoriti anche dai nuovi elettrodomestici (freezer, forno...) e dall'influenza del modello americano dei fast food. Risale al 1981 l'apertura del primo ristorante fast food italiano a Milano, in Piazza San Babila.