La diffusione delle macchine da scrivere fu piuttosto lenta nelle biblioteche italiane, e anche più in generale negli uffici pubblici.
La prima biblioteca italiana a dotarsi di una macchina da scrivere di livello professionale fu la Biblioteca Marucelliana, per volontà del direttore Guido Biagi e con l'assenso del Ministero. Biagi scelse la macchina che negli Stati Uniti era ritenuta migliore per la catalogazione e altri lavori di biblioteca, il modello Card Cataloguer della Hammond, che era commercializzato anche dal Library Bureau di Chicago. La macchina fu acquistata nel 1889 al prezzo di 500 lire (equivalenti a circa 4 mesi di stipendio di un distributore).
Anche alla Biblioteca nazionale di Roma fu acquistata, all'incirca nello stesso periodo, una macchina da scrivere, ma si trattava di un modello con caratteristiche molto limitate (e molto economico, tanto da essere destinato anche a ragazzi), utile per battere scritte o brevi avvisi più che per testi veri e propri.
Nel 1890 si dotò di una macchina da scrivere anche il Circolo filologico di Milano.
Negli anni Ottanta del Novecento vennero utilizzate anche macchina da scrivere elettriche con memoria, in particolare per la produzione di più copie delle schede di catalogo.