L&L si propone di raccogliere e mettere a disposizione testimonianze di ogni genere relative all'utilizzazione di biblioteche di
qualsiasi tipo, contenute in scritti autobiografici, diari, memorie, interviste, carteggi, ecc., ma senza escludere testi narrativi o creativi (romanzi, poesie), per restituire la dimensione soggettiva ed esperienziale, sia positiva sia negativa, dell'uso delle biblioteche.
Sono comprese, quando è utile, anche fonti un po' diverse come articoli di giornale, inchieste, materiali promozionali, ecc.
Alle testimonianze si affianca una scelta di documentazione iconografica (utilizzabile anche a scopo didattico), relativa alle biblioteche considerate, ai loro locali e alle loro attrezzature, indispensabile per la piena comprensione delle testimonianze stesse.
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Risultati della ricerca
Croce-Villari (1888-1901)
«Non posseggo le memorie del Gorani, ma le lessi alla Bibl. della Società Storica.»
(Benedetto Croce, lettera a Luigi Antonio Villari, Napoli 28 agosto 1888, p. 5).
«Domani andrò alla Società di St. Pat., dove debbo riscontrare un libro, per ridarle le accennate notizie. Le quali del resto non le serviranno se non come prova che alcuni degli aneddoti – e dei più curiosi – che si raccontano del [Antonio] Villari sono aneddoti tradizionali, raccontati, già molto tempo prima, di altri medici famosi.»
(Benedetto Croce, lettera a Luigi Antonio Villari, [s.d., ma databile tra l’ottobre 1888 e l’agosto 1889], p. 7).
«C’è una raccolta di poesie d’Irene Ricciardi Capecelatro? Io ricordo di averla vista anni sono. Ma nelle biblioteche nostre non l’ho trovata. Potreste darmene il titolo preciso e la bibliografia?»
(Benedetto Croce, lettera a Luigi Antonio Villari, [s.d., ma databile ante 11 febbraio 1896], p. 37).
«Un giovane mi domanda a quale rivista storica dovrebbe a preferenza abbonarsi. Volete avere voi la bontà di suggerirmelo, essendo io alquanto imbarazzato nella scelta?»
(Luigi Antonio Villari, lettera a Benedetto Croce, Cercola 18 novembre 1901, p. 103).
«Se il vostro amico desidera una rivista di storia napoletana, si faccia socio della Soc. Storica Napol. e riceverà i fascicoli dell’Archivio Storico Napoletano. Se una rivista di storia generale, si abboni a quella del Rinaudo Rivista Storica Italiana (Bocca), ch’è però tutta di recensioni. Se una rivista francese, prenda la Revue historique, che si pubblica dall’Alcan di Parigi. Se una tedesca, l’Historische Zeitschrift del Sybel (Monaco). Se una inglese, l’English historical Review, del Poole.
Facendosi socio della soc. storica, potrà leggere queste e tutte le altre riviste storiche nella Biblioteca della Società».
(Benedetto Croce, lettera a Luigi Antonio Villari, Napoli 22 novembre 1901, p. 103).
Croce-Vossler (1941-1945)
«L'amico Dohrn mi dice che tu verrai a Roma per una conferenza in questo febbraio. È una lieta notizia perché contiene insieme la speranza che tu verrai fino a Napoli a trattenerti un po' con noi. [...] Non so se tu venendo non possa portarmi in lettura, prendendolo in prestito da qualche parte, un numero della rivista «Das Neue Russland» (novembre 1931) che contiene un articolo di A. W. Lunatscharski, Hegel und die Gegenwart. Mi interesserebbe molto per un mio lavoro. Vedi se ti è possibile; ma sopratutto vieni.»
(Benedetto Croce, lettera a Karl Vossler, Napoli 17 gennaio 1941, p. 393).
«Abbiamo avuto un tempaccio rigido che mi ha impedito di andare in biblioteca gli ultimi giorni e non so ancora dirti se ci si trova la rivista che cerchi e l'articolo «Hegel und die Geschichte».»
(Vossler, lettera a Croce, München 3 febbraio '41, p. 394).
«Gli studi miei sono gravemente ostacolati per l'incendio della Staatsbibliothek; anche la biblioteca della nostra Università fu colpita ed ha perduto più di centomila volumi e proprio in questi mesi avevo bisogno di consultare testi e riviste che non si prestano più. Son guai che conosci anche tu, come vedo a pagina 5 della tua prefazione al testo di Ehrard [Apologia del diavolo]. Così nel male comune ti stringo cordialmente la mano.»
(Vossler, lettera a Croce, München 19 maggio '43, p. 406).
«Ad Alda potrei raccontare le mie impressioni spagnuole dell'ultimo viaggio al principio dell'anno passato. Là si poteva studiare, che tutte le biblioteche stavano aperte a Madrid, Sevilla, Granada, Valencia, Salamanca e Barcellona.»
(Vossler, lettera a Croce, München 9 ottobre 1945, p. 407).
Crocetti (1990)
«Anna Banti: questo bellissimo tra gli pseudonimi è noto anche ai bibliotecari più salvatici, per essere assurto a esempio, nel nostro codice di catalogazione, di uno dei ‘casi diversi’ per la forma dell’intestazione: «Se il nome reale figura solo eccezionalmente, oppure è stato abbandonato dall’autore per un altro nome, si preferisce quest’ultimo» (RICA 51.5; ma non è vero quel che poi si dice, cioè che col nome reale – Lucia Lopresti – fu pubblicata la sua tesi di laurea: basta sfogliare questa bibliografia). Ma Anna Banti, se dev’essere obbligatoriamente nota come scrittrice, potrebbe esserlo, nel mondo delle biblioteche, anche per qualcos’altro. Per esempio, credo che non siano in molti a conoscere un suo singolare contatto con una biblioteca, la Nazionale di Firenze, quando lei arrivava quasi ogni mattina, saliva alla 'sala del pulling' e, indossato una specie di camice, si sedeva tra le grandi vetrate a scucire (pulling è, appunto, l’operazione di tirare i fili della cucitura) libri idropici e neri di nafta. Erano i mesi dopo l’alluvione, e Anna Banti era una dei tanti volontari che salvarono la Nazionale. Una dei tanti, ma non come i tanti se, nonostante la dedizione evidente, non passava poi affatto per buone le idee di bibliotecarî e restauratori, e talvolta ci guardava insofferente e sdegnata (ma «Paragone» fu poi ospitale a quelle idee, con un famoso articolo di Casamassima)».
(Luigi Crocetti, recensione a: Laura Desideri, Bibliografia degli scritti di Anna Banti, Firenze, Sansoni, 1990 (stampa 1991), estratto da «Paragone», n. 490 (dic. 1990), «Bollettino AIB», 32, n. 3 (set. 1992), p. 340-341; poi in: Le biblioteche di Luigi Crocetti: saggi, recensioni, paperoles (1963-2007), a cura di Laura Desideri e Alberto Petrucciani, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2014, p. 410-412).
D'Ancona (1873)
«Ma eccolo [il professore di ginnasio di prima nomina] finalmente arrivato al luogo ov'è destinato. Là trova costumi differenti dai consueti, e ai quali pur bisogna adattarsi: la vita è semplice, ma nondimeno costosa, perchè mancano generalmente tutti i comodi di trattorie, camere ammobiliate, dozzine, ecc., proprj dei paesi dove è nato e cresciuto; mancano libraj, mancano Biblioteche, o ve n'ha forse soltanto qualcuna composta di avanzi dei soppressi conventi, e inutile affatto alle necessita dell'odierna cultura. Intanto il borsello è vuoto, e sarebbe impossibile provvedersi da per sè di tutti i mezzi necessarj a ben insegnare. e a progredire, insieme, negli studj. [...]
Dovrebbesi cominciare col far nascere artificialmente quello che si chiama ambiente scientifico, nei luoghi ove manca del tutto, largheggiando nel somministrare i mezzi necessarj allo studio. Incaricato di ispezioni governative nei Licei, ho sempre trovato nelle istruzioni ministeriali la dimanda dello stato in che fossero le Biblioteche scolastiche. In verità, dopo un paio di volte, mi veniva quasi da ridere, ma solo per non piangere, quando mi sentivo costretto di rivolger cotesta dimanda ai Presidi: e notisi che parlo di Licei di prima e seconda classe. Il titolo di Biblioteca, appropriato ad un accozzo fortuito di pochi libri, è veramente uno scherno: nè il Ministero dovrebbe ignorare che cosa sieno coteste Biblioteche liceali. Meno male che trattavasi di istituti posti in città abbastanza grandi e civili, e i professori e gli alunni volenterosi potevano nelle Biblioteche governative o municipali trovar modo di istruirsi, e qualche volta anche tenersi a giorno dei progressi scientifici. Ma che dire dei luoghi ove dal secolo XVI e dall'infausta dominazione spagnola in poi, è cessata ogni cultura ed operosità, e che appena adesso cominciano a sentire i benefici effetti della vita nazionale, materialmente ricongiungendosi coi maggiori centri per mezzo di strade, e intellettualmente coi commerci scientifici e colle scuole? Ivi le Biblioteche o mancano affatto, o sono antiquate ed insufficienti. È necessario adunque che il Governo consacri qualche poco di danaro, invitando a contribuirvi anche i Comuni e le Provincie, per far sorgere in codesti luoghi Biblioteche ginnasiali e liceali, che debbano servire non tanto a quella che chiamasi cultura popolare, alla più seria cultura scientifica e didattica. Così almeno agli insegnanti, e specialmente ai più giovani, lo svantaggio di trovarsi in regioni assai lontane dal moto civile odierno, e fra mezzo a costumanze in gran parte dissimili da quelle più generalmente diffuse, sarà compensato dall'aver modo almeno di pascer l'intelletto e continuare nello studio, anzichè annighittirsi nell'ozio e nel tedio.»
(Alessandro D'Ancona, Placido Cerri, in Ricordi ed affetti, p. 105-153: 113, 119-121. Pubblicato originariamente nel 1873, col titolo Le tribolazioni di un insegnante di ginnasio, su «La nazione», come lettera aperta a Celestino Bianchi).
D'Ancona (1882)
«Avevo diciott'anni, e mi ero messo a leggere l'Introduzione allo studio della filosofia del Gioberti, che pareva mi aprisse dinanzi agli occhi della mente un mondo nuovo di idee e di fatti. [...]
Bazzicavo intanto in Magliabechiana, ove un giorno il Papi mi fece vedere un codice. Chi rammenta il Papi? Era un brav'uomo: e quel ch'è più, un bravo e zelante impiegato, come allora, – in quei tempi d'ignoranza, si dice – ce n'era fra gli addetti inferiori delle biblioteche assai più forse che in questi di universale dottrina e di concorsi. Non so veramente come dall'esser guardia palatina fosse passato in Magliabechiana, ma certo è che sapeva quello che c'era in biblioteca, specie in fatto di manoscritti, come il suo collega Ricci era un indice vivente rispetto a notizie biografiche. Il Papi mi aveva preso a benvolere, e direi quasi a proteggere, ed io ne ero contento; e ricordo ancora la scrollata di capo che fece un giorno quando un certo abate, uno dei pezzi grossi della biblioteca, mi negò la Calandra del Bibbiena, perchè credeva ch'io volessi, Dio ci guardi, la Bibbia! Ma il Papi, quando non c'era il tenebroso abate, o un suo accolito dal viso di cartapecora, con un naso adunco e due occhietti maligni da topo, il Papi aiutava i miei studj e le mie ricerche. Un giorno dunque dovendo riporre un codice, mi disse con quel suo vocione baritonale e quel suo fare fiorentinesco: Oh, la guardi questo! – e mi pose fra le mani un grosso manoscritto di scritture politiche del Campanella. Io che avevo cominciato ad apprezzare i nostri vecchi filosofi dalla lettura del Rinnovamento del Mamiani, lo aprii qua e là, lo voltai e rivoltai, e allettato dai titoli di quegli scritti, lo pregai di lasciarmelo perchè potessi studiarlo. Mi piaceva soprattutto il vedere che quegli scritti del Campanella non fossero di mera speculazione, ma di politica teorica insieme e pratica, e trattassero del modo di rilevare le sorti d'Italia nel secolo XVII.»
(Alessandro D'Ancona, Il mio primo delitto di stampa, in: Il primo passo, p. 3-13: 4-6. Il contributo era comparso già nella prima edizione, 1882, e fu poi raccolto da D'Ancona in Ricordi ed affetti, Milano, Fratelli Treves, 1902, p. 399-415).
«Intanto qualche saggio delle mie ricerche avevo stampato nel Genio, e mi aveva fruttato incoraggiamenti e conforti, e tra le altre buone cose l'invito dell'ottimo Giampietro Viesseux [i.e. Vieusseux] alle sue riunioni del sabato sera, ove mi era dato agio di avvicinare tanti studiosi italiani e stranieri. Vero è, per compenso, che nello stesso tempo Francesco Palermo, bibliotecario granducale, mi chiudeva l'adito alla Palatina, e il Bonaini mi licenziava dall'Archivio di Stato sebbene raccomandato a lui dal Vieusseux. Ma il 30 aprile '59 ritrovandolo in un cortile di Palazzo Vecchio, come se nulla fosse stato, mi venne incontro dicendomi: – Caro Sandrino, e come va che non capitate più in Archivio? c'è tante belle cose pei vostri studj! – Com'era mutata l'aria!».
(ivi, p. 12).
Dazzi (1956)
«Non è sempre colpa di bibliotecari, se lo studioso straniero è trattenuto sulla soglia di biblioteche di conservazione, che nei loro regolamenti gelosi hanno clausole di particolare prudenza. Capitò a Ezra Pound, quando attendeva a ricerche su Sigismondo Malatesta, di dover fare una settimana d'attesa perchè la Giunta Comunale doveva prendere deliberazione sulla sua domanda d'ammissione alla Gambalunghiana. I regolamenti della Querini-Stampalia richiedono per l'ammissione dei lettori in generale una malleveria, che per gli stranieri deve essere prestata dal loro Consolato, in alcuni casi non presente a Venezia. Del resto la Biblioteca Nazionale di Parigi richiede per l'ammissione di stranieri una presentazione delle relative Ambasciate, che assicuri della personalità, del recapito, dei fini, pratica che comporta parecchi giorni d'attesa.»
(Manlio Dazzi, Rapporti di cortesia, p. 39)
De André (1991)
«Avevo letto la Storia di Genova di Francesco [ma Federico] Donaver e i testi di autori ignoti o vecchi annali trovati alla Biblioteca comunale, ascoltando anche i racconti fattimi da gente della Foce. Scoprii così l'esistenza di personaggi straordinari.»
(Amico fragile: Fabrizio De André si racconta a Cesare G. Romana, p. 134).
«Terminata la tournée che accompagnò l’uscita dell’ultimo album, i due [Fabrizio De André e Mauro Pagani] iniziarono a lavorare a Crêuza de mä. [...]
Fabrizio si mise al lavoro sulla parte storica e letteraria. Consultò numerosi testi rinvenuti nella biblioteca comunale e in quella paterna, lesse la storia di Genova di Federico Donaver, accertò l’origine fenicia della stessa, e notò come molte delle canzoni genovesi fossero assai lontane dalla tradizione popolare.»
(Luigi Viva, Falegname di parole: le canzoni e la musica di Fabrizio De André, Milano, Feltrinelli, 2018).
De Chirico (1945)
«Cominciai di nuovo a capire che per me in Italia l’aria diventava irrespirabile. [...] Si decise di tornare a Parigi. [...] Malgrado quella situazione disastrosa io continuavo a perfezionare le mie ricerche tecniche. Specialmente nel campo dell’imprimiture feci grandi progressi, aiutato dal geniale intuito di Isabella [Pakszwer] che mi aiutava col suo eccezionale raziocinio a risolvere i problemi e le difficoltà oppostimi dalla materia ribelle ed ostile. Con Isabella si trascorrevano interi pomeriggi alla biblioteca Richelieu a cercare in vecchi trattati e in scritti sulla pittura, apparsi in epoche in cui si sapeva ancora dipingere, i segreti e la dimenticata scienza dell’arte del pennello.»
(Giorgio De Chirico, Memorie della mia vita, p. 155. De Chirico tornò a Parigi alla fine del 1933. Le Memorie furono pubblicate nel 1945 e poi, in forma ampliata, nel 1962).
De Crescenzo (2018)
«Non avrei mai immaginato che Storia della filosofia greca riuscisse a raggiungere un numero così alto di lettori. Ci speravo sì, ma non ne ero del tutto convinto. Grazie a questo successo, però, nel ’94 ho ricevuto persino la cittadinanza onoraria ateniese, e in parte per la felicità di questo riconoscimento, in parte forte delle vendite del primo volume, ho deciso di dedicarmi alla scrittura di Storia della filosofia medioevale e poi a quella Moderna, mescolando aneddoti di vita pubblica e privata dei pensatori che hanno influenzato non solo il corso della storia del mondo, ma anche la mia personale.
Ora, Bellavista lo avevo scritto in maniera per così dire preistorica, ovvero a mano. Per il primo dei volumi della serie dedicata alla filosofia, ho comprato invece un word-processor dell’Olympia. A convincermi ad affrontare questa spesa è stato il mio modo di lavorare. Ogni giorno andavo alla Biblioteca nazionale [di Napoli] e mi dedicavo alla ricerca di materiale sui filosofi di cui volevo spiegare il pensiero. Mi organizzavo più o meno così: se cercavo Empedocle e scoprivo che c’erano trenta libri che parlavano di lui, allora mi segnavo su un block-notes i titoli più interessanti e le notizie che più mi incuriosivano. Oppure, se cercando una notizia su Zenone scoprivo che era andato ad Atene con Parmenide, e che lì avevano incontrato Socrate, a quel punto nella scheda di Zenone finivano anche altri personaggi. È stato per questo che alla fine ho comprato l’Olympia.»
(Luciano De Crescenzo, Sono stato fortunato).
Lo scrittore napoletano ha pubblicato il suo primo romanzo, Così parlò Bellavista: Napoli, amore e libertà, nel 1977. Negli anni successivi si è tra l'altro dedicato alla stesura del volume Storia della filosofia greca. I presocratici (1983).
De Gasperi (1930)
«Illustre Senatore, non so se ho capito bene la questione; ma, per abbondare, Le mando tutto quello che ho trovato.
Le schedine indicano le ediz. di cui dispone la Vatic. Ci ho messa la "collocazione", caso mai potessero [!] servire per ulteriori ricerche.
Risulta chiaro, mi pare, che la famosa Capp.67-87 non è che una parte dell'ediz. veneta del 1581.
Suppongo ch'Ella desiderasse rilevare soltanto questo.
Tutto il resto ho aggiunto, perché m'era venuto il desiderio di scoprire la sorte dei sei o almeno dei tre libri, se pur sono mai esistiti.
Come vede, non ho scoperto nulla. Comunque Le mando le note, per quanto sia convinto ch'Ella ne sappia oramai molto di più. Ma penso che il Suo cestino sia profondo e capace.
Se non ho capita la questione o altro desiderasse, prego di un appunto scritto e sarò onoratissimo di servirla.
Alcide Degasperi».
(Alcide De Gasperi, lettera a Benedetto Croce, datata «Biblioteca Apostolica Vaticana, li 7.3 1930», conservata nella Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, a Napoli).
De Gasperi (1933)
«Vivo – come saprai – tra la famiglia e la biblioteca [Vaticana], all'ombra del Cupolone, ringraziando la Provvidenza di avermi riservata almeno un po' di pace esteriore. [...]
Ma la mia situazione m'impone di astenermi non solo dalla politica, ma anche da qualunque attività che possa interpretarsi, sia pure in senso lato, come affine alla politica. Perciò il mio destino è di schedare oggettivamente e musulmanamente i libri altrui. Anche il mio più accanito avversario, se mi vedesse alle prese con questo sistema di pedantesca acribia, si sentirebbe forse riconciliato.
Non credere tuttavia ch'io viva nel passato, come molti fanno per loro comodità spirituale: mi sforzo invece di «aggiornarmi», di comprendere l'evoluzione dei tempi e di rendere giustizia alle nuove generazioni. M'interessa sovrattutto il corporativismo. Avrai ricevuto il libro del Razza che ti feci spedire. Dell'estero in biblioteca si legge specialmente la «Vie intellectuelle», la quale ha ereditato il ruolo di München-Gladbach. [...]
Se mai volessi scrivermi qualche volta in biblioteca, indirizza: Augusto Frati, Bibl. Vaticana – perché i superiori non desiderano che noi, avventizi, ci facciamo dirigere colà la nostra corrispondenza. Il Frati è un custode che mi passerà certo la lettera: l'ho ben rassicurato che il nostro raro carteggio non potrà preoccupare nessuno.»
(Alcide De Gasperi, lettera a Luigi Sturzo a Londra, Roma, 28 dicembre 1933, in Luigi Sturzo - Alcide De Gasperi, Carteggio (1920-1953), p. 116-118).
De Gasperi (1941)
«Città del Vaticano, 22 febbraio 1941
È opportuno far vigilare moltissimo l'ex on. Alcide De Gasperis [!] (egli abita in Roma). Egli attualmente riveste la carica di segretario della biblioteca apostolica vaticana. È un protetto di mons. Montini con quale ci risulta che si incontra non in Segreteria di Stato.
La Biblioteca Vaticana in se stessa ha dato sempre luogo a sospetti per tutta quella folla di studiosi italiani e stranieri che la frequentano, molti dei quali antitaliani e antinazisti.»
(documento di polizia pubblicato da Ruggero Moscati, Informazioni della polizia su De Gasperi (1927-1941), p. 535. Il curatore, in nota, aggiunge: «Alla «propaganda ostile fatta nei locali della Biblioteca» è cenno in informazioni del 2 luglio 1941.»
De Gregori (1933)
«9-11 ottobre [1933], lunedì-mercoledì
[...]
Passeggiate sulle verande, sui ponti, sosta in biblioteca in conversazione col cameriere-bibliotecario, Medoni. Mi faccio prestare e leggo il libro di Paul Bourget: "La dame qui a perdu son peintre", che non avevo mai letto.»
(Luigi De Gregori, [Diario], in Giorgio De Gregori, Vita di un bibliotecario romano, p. 145. De Gregori viaggiava sul transatlantico Rex da Napoli a New York).
De Libero (1974)
«Venuto a Roma per gli studi universitari nell'ottobre 1927 ero già pronto a compiere il mio itinerario, entrai subito nell'ambiente di letterati e artisti. [...] Mi diedi subito a frequentare la Biblioteca Nazionale e l'Alessandrina per leggere libri e riviste che avevo elencato a poco a poco durante il liceo, ogni volta che mi colpissero nelle recensioni e rubriche letterarie dei giornali. Scoprivo autori che mi venivano incontro col fiato di citazioni che mi stimolavano fortemente, e il taccuino era piuttosto folto, respiravo coi polmoni della cultura ovvero d'una curiosità inesauribile, l'odore della carta mi eccitava, anche quello delle scansie nelle biblioteche polverose.»
(Libero De Libero, Un po' di postfazione e un po' di storia, 1974, 22 marzo, in Borrador, p. 257)
De Luca-Baldini (1931-1936)
«In conclusione, bellissime giornate, che se le paragono ai sogni di quand’ero seminarista, non mi pare che sfigurino. E c’è da ringraziare il cattivo stato dei nervi, letteralmente. Soltanto, non ho voluto metter i piedi alla Bibl. Nazionale: ma volevo riposare, e in Biblioteca dovevo veder troppe cose.
Oggi a Firenze c’è un velo, sdrucitissimo, di neve; e col sole, le dico io che il Lungarno delle Grazie è una cosa leopardiana, gelido e consolato, e senza malizie. Tranne, un po’ più su della mia pensione, la casa ove morì Tommaseo.»
(Giuseppe De Luca, lettera a Antonio Baldini, [Firenze] 12 dicembre 1931, p. 55).
«Caro Baldini, mi sappia dire se lei va mai a Rimini e in Rimini alla Biblioteca [Gambalunga]. Ho scoperto un Riminese che ha scritto un Elogio della Pazzia poco prima o dopo di Erasmo: e vorrei vedere se è come la maggior parte delle mie scoperte, cioè per uso strettamente personale, non buona per nessun altro.».
(De Luca, lettera a Baldini, Roma 2 agosto 1936, p. 86).
«Qui alla civica Biblioteca Gambalunga non figura di Faustino che un’opericciuòla (v.s.) in volgare stampata in Rimini dall’Albertini nel 1844: Al m.r. Padre Angelo da Bertinoro, versi di Pier Paolo Faustino da Terdozio poeta del sec. XVI: e altra notizia non ho saputo scovarne. Ma chi voglia sapere di più non ha che da rivolgersi ad Augusto Campana che trovasi adesso costì, alla Bibl. Vaticana, il quale è armatissimo di schede – a quanto mi diceva un suo amico di qui – sul Faustino, che a lui interessa doppiamente e per essere modiglianese, terra di origine anche dei Campani, e per l’edizione sonciniana che è uno dei cavalli di battaglia di quel giovane occhialuto e riccioluto erudito.».
(Antonio Baldini, lettera a Giuseppe De Luca, Viserbella (Forlì) 6 agosto 1936, p. 88).